sabato 1 gennaio 2011

In ogni uomo un frammento di Dio

Il Vangelo di Ermes Ronchi

II Domenica dopo Natale
In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio.
Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è sta­to fatto di ciò che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta.
Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina o­gni uomo. Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha ricono­sciuto.
Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. A quanti però lo hanno ac­colto ha dato potere di di­ventare figli di Dio (...).

In principio era il Verbo e il Verbo era Dio.
Giovan­ni inizia il suo Vangelo con una poesia, con un can­to, con un volo d’aquila che proietta subito Gesù di Na­zaret verso l’in principio e verso il divino. Nessun altro canto, nessun’altra storia può risalire più indietro, vo­lare più in alto di questa che contiene l’inizio di tutte le cose: tutto è stato fatto per mezzo di Lui. Nulla di nul­la senza di lui .
In principio, tutto, nulla, so­no parole che ci mettono in rapporto con l’assoluto e con l’eterno. La mano di Dio su tutte le creature del cosmo e «il divino traspare dal fondo di ogni essere» (Tehilard de Chardin). Non solo degli esseri umani ma perfino della pietra. «Nel cuore della pietra Dio sogna il suo sogno e di vita la pie­tra si riveste» (Vannucci).
Un racconto grandioso che ci da un senso di vertigine, ma che poi si acquieta den­tro una parola semplice e bella: accogliere. Ma i suoi non l’hanno accolto, a quanti invece l’hanno ac­colto ha dato il potere di di­ventare figli.
Accogliere: parola bella che sa di porte che si aprono, di mani che accettano doni, di cuori che fanno spazio alla vita. Parola semplice come la mia libertà, parola verti­ce di ogni agire di donna, di ogni maternità. Dio non si merita, si accoglie.
«Accogliere» verbo che ge­nera vita, perché l’uomo di­venta ciò che accoglie in sé. Se accogli vanità divente­rai vuoto; se accogli disor­dine creerai disordine at­torno a te, se accogli luce darai luce.
Dopo il suo Natale è ora il tempo del mio Natale: Cri­sto è venuto ed è in noi co­me una forza di nascite. Cri­sto nasce perché io nasca. Nasca nuovo e diverso: na­sca figlio! Il Verbo di Dio è come un seme che genera secondo la propria specie, Dio non può che generare figli di Dio. Perché Dio si è fatto uomo? Perché Dio na­sca nell’anima, perchè l’a­nima nasca in Dio (M. Eckart).
E il Verbo si è fatto carne.
Non solo si è fatto Gesù, non solo uomo, ma di più: carne, esistenza umana, mortale, fragile ma solidale.
Bambino a Betlemme e car­ne universale. Dio non pla­sma più l’uomo con polve­re del suolo, come fu in principio, ma si fa lui stes­so polvere plasmata. Il va­saio si fa argilla di un picco­lo vaso. E se tu devi piangere, anche lui imparerà a piangere. E se tu devi morire anche lui conoscerà la morte.
Da allora c’è un frammen­to di Logos in ogni carne, qualcosa di Dio in ogni uo­mo. C’è santità e luce in o­gni vita. Il Verbo entra nel mondo e porta la vita di Dio in noi. Ecco la vertigine: la vita stessa di Dio in noi. La profondità ultima del Nata­le: Dio nella mia carne. E destino di ogni creatura è diventare carne intrisa di cielo.

( Letture: Siracide 24,1-4.8-12; Salmo 147; Efesini 1,3-6.15-18; Giovanni 1,1-18 )

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