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Da “Avvenire” di giovedì 18 febbraio 2010
L’INIZIO DELLA QUARESIMA CON IL SEGNO CHE
Quella cenere sul capo per apprezzare la bellezza della vita
MAURIZIO PATRICIELLO
Della morte non si dirà mai abbastanza. Ogni generazione è chiamata a misurarsi con il suo mistero. C’è chi la teme, chi la invoca e chi semplicemente finge di ignorarla.
Non vuole spaventarli, ma allontanarli dallo spavento. Non aver paura, dice, perché la morte è stata vinta e tu non morirai; gusta la gioia di essere un uomo vivo. Prezioso è il tempo, e questo è il tempo tuo: vivilo appieno, vivilo bene. Allarga i polmoni e inspira a piene sorsate l’aria della vita.
Chiunque tu sia, qualunque sia la tua condizione, il tuo passato, il tuo peccato. Riprendi il largo, esci dalle secche. Confessa con umiltà le tue angosce, i tuoi limiti, le tue paure. Non temere il giudizio degli amici, gli uomini si somigliano tutti, appena lasciano cadere le difese: innamoràti della vita, timorosi della morte; desiderosi di amare ed essere amati, tormentati al pensiero di essere traditi. Gli uomini sono tanto cari, e tanto strani. Si scandalizzano di Dio perché ai poveri manca il pane, e poi a tonnellate lo riversano nell’immondezzaio. Capaci di farsi solidali con chi vive al di là del mare, e di diventare lupi con chi nacque nella stessa casa. Tu ascolta. Il cuore innanzitutto. Non trattarlo male, non chiudergli la porta ogniqualvolta lo senti sussurrare. Vieni.
Abbassa lievemente il capo e lascia che la polvere ti racconti la tua storia. Porgi il capo e ascolta l’invocazione che ti rivolge il Divino Pezzente: «Figlio, dammi il tuo cuore». Donarlo a Lui è il migliore investimento che possa fare sulla terra.
Come il profeta antico, come Maria, pronuncia il tuo «eccomi, Signore». È Lui che ci rimette in piedi, ci risolleva dalla nostra umiliazione, ci rende liberi. Ci fa finalmente uomini. Da sempre attende alla finestra il figliolo che scappò via sbattendo la porta. Sa che lontano dalla casa vera finiamo con l’andare a pascolare i porci. E ci attende per gettargli le braccia al collo e mettergli l’anello al dito; per ridonargli gioia, per rimproverargli niente. Io torno. Sono stanco di starmene lontano. Senza di Lui l’esistenza pesa, la vita mi è tormento.
Accolgo il suo invito e metto nelle Sue mani il cuore. Digiuno. Per meglio assaporare il pane. Per spezzarlo con il fratello, chiunque egli sia. Mi guardo attorno, vedo l’immigrato, mi metto nei suoi panni, gli faccio compagnia sotto i ponti, nella casa di cartone. In molti luoghi c’è la neve. È bella la neve, ma non sempre, non per tutti. A volte è spietata e uccide chi non ha il cappotto e ha mangiato poco. Allora corro dal mio fratello. Gli porto la mia fede, la speranza, la carità. Vado da lui per incontrare Gesù: quello è l’indirizzo giusto, in quella casa lo trovi sempre. Vado dove i bimbi appena nati giungono per rinnovare l’umanità. Dove la vita trionfa, ma tanto spesso arranca.
Incontro chi non vuole che nasca il piccolo che già vive nel suo grembo. Le tendo la mia mano, offro sostegno ricordando che tutti siamo figli della misericordia di qualcuno che ci accolse un giorno. Gesti semplici e piccini, come piccino è il bimbo che implora di vedere il sole.
Cenere siamo, ma cenere preziosa. Cenere di uomo, polvere di stelle. Creta per la quale Gesù Cristo è morto.
«In questi giorni – scriveva don Giuseppe De Luca – quel che possono far di meglio i nostri poveri occhi è leggere
Da “Avvenire” di venerdì 19 febbraio 2010
BENEDETTO XVI AL CLERO DI ROMA
La forza della generosità lo sfregio del tornaconto DAVIDE RONDONI
I preti sono uomini tra gli uomini. Ieri il Papa li ha invitati fortemente ad essere 'completamente' uomini. A essere uomini di contemplazione ma anche uomini di 'compassione' verso l’uomo che è ferito dal peccato. Per la loro stessa condizione di verginità e di dedizione, i preti possono vivere l’umanità di tutti, e non una parziale umanità, non una parziale dedizione. Il richiamo di ieri al clero romano è di grande importanza. Parlando ai preti, il Papa sa di parlare, per così dire, alla società guardata con gli occhi di Gesù. Alla società abitata da Gesù.
Per questo ciò che ha detto ieri interroga la nostra intera società. Non è un discorso per un gruppo separato. Non un programma per una certa fascia sociale o per un certo gruppo di interesse. Non per un partito. Ma per uomini che hanno accettato di farsi di tutti. Che hanno accettato di essere servi di tutto e di tutti. In un certo senso dei veri sovvertitori, in questa epoca dove spesso gli uomini giocano a fare i presunti padroni e padroncini della vita propria e altrui. Per questo ieri ha osato ricordare il più grande sovvertimento della storia. Ovvero lo sguardo di Cristo sull’uomo. Lo sguardo che sa che cosa è veramente umano, degno d’uomo. Lo sguardo che anche nel peccatore vede la possibilità della scoperta del vero bene. E della piena soddisfazione.
Il vero sguardo rivoluzionario. Che non lascia le cose come stanno. Che non lascia in pace nessuno. Così quando ieri il Papa si è soffermato sul fatto che non si può dire che mentire o rubare è umano, devono tremare i petti di tutti. Così quando ha detto che invece è veramente umano l’essere generosi, devono tremarci i polsi in questa società dove la generosità sembra perdere terreno in favore del bieco e a volte scorretto tornaconto. Il Papa non ha detto: rubare non è legale. Sarebbe stato troppo poco. E troppo comodo, in un certo senso. Ha detto: non è umano. Ha detto ben di più. E ha usato la parola 'peccato'. Che è come dire la ferita più dura. L’orrendo. E’ un peccato di disumanità. E ha detto ai suoi: chiamatelo con il suo nome. Non dite che rubare è umano. No, è disumano.
Perché invece la generosità è veramente umana, la ricerca della giustizia è veramente umana. E lo sappiamo, se lasciamo parlare un poco la nostra esperienza lo sappiamo: avvertiamo molto più compiuta la nostra vita quando è generosa, quando sa donarsi, di quando ricaviamo per noi stessi gioie rubate. La compassione, il farsi vicino all’uomo come è, segnato dal peccato, significa ricordare sempre cosa è l’uomo veramente. Cosa lo rende veramente tale. Cioè dove sta la sua vera soddisfazione.
Ha osato per questo, il Papa, soffermarsi sulla parola più temuta della nostra epoca: la parola obbedienza. La parola rigettata da tutti come fonte di alienazione, dice, è invece la descrizione della esperienza che conforma il nostro essere a ciò che è più suo, più adeguato a noi. Per questo l’obbedienza è una forma della libertà. Poiché ascoltando Dio, si ascolta il bene della natura del nostro essere più profondo.
Parlando ai suoi preti, il Papa vescovo di Roma, non ha girato intorno ai problemi. Ha descritto un clero appassionato alla vita degli uomini. Che non si fa dettare le categorie di giudizio e di pensiero sulla vita da altro che non sia il Vangelo. E perciò sa essere dalla parte della persona sempre. Parlava ai suoi, il Papa. Ma poiché la sua è l’unica leadership mondiale che si fonda sull’essere servo, parlava in un certo senso come servizio a tutti. E infatti sono parole che, in mezzo al troppo chiacchierume anche di queste settimane, servono veramente.
Da “Avvenire” di venerdì 19 febbraio 2010
«Gli aborti? Diminuirebbero del 90% se ci fossero più aiuti economici»
Basterebbero 4 mila euro per seguire e aiutare una donna per 18 mesi durante e dopo la gravidanza, e per scongiurare che scelga di abortire a causa di difficoltà economiche. Eppure questi soldi non ci sono: ed è una situazione che incute inquietudine e disagio ai volontari del Centro per l'aiuto alla vita (CAV) della Clinica Mangiagalli di Milano, soprattutto perché dicono, "se aiutate seriamente,8-9 donne su 10 non vanno più ad abortire". "Queste donne devono essere aiutate - spiega Paola Marozzi Bonzi, fondatrice e direttrice del CAV - perché noi non siamo più in grado di farlo. Noi incontriamo ogni mese circa 70 donne entro il primo trimestre di gravidanza che stanno pensando di abortire, e circa tre quarti di queste hanno bisogno di aiuti anche economici, che noi non riusciamo più a dare".
Attualmente, al CAV "abbiamo in carico circa 800 famiglie, a cui regaliamo pannolini, latte, cibo. L'anno scorso abbiamo speso 800 mila euro solo per gli aiuti economici". Per questo Bonzi lancia un appello a Regione, Provincia e Comune perché li sostenga economicamente: "Ci vorrebbero almeno 3 milioni di euro l'anno, noi possiamo garantirne solo uno. Gli altri due dove andiamo a prenderli? Basterebbero circa 4 mila euro per ogni mamma, per seguirla in 18 mesi di aiuti, anche solo sotto forma di buoni acquisto. È assurdo che per questi 4 mila euro ci sono bambini che non nascono". Il Centro di aiuto alla vita ha incontrato e aiutato nel solo 2009 circa 2.200 donne. Ora si trovano nell'impossibilità di sostenere economicamente le prossime che arriveranno:"Vorremmo aiutarle - conclude Bonzi - ma stiamo male all'idea di non poterlo fare solo perchè le casse sono vuote".
Da “Avvenire” di martedì 16 febbraio 2010
IL PD E IL PROGRESSIVO DISTACCO DEGLI ESPONENTI CATTOLICI
La sofferta decisione di Paola Binetti di lasciare il Partito democratico per aderire all’UdC ha suscitato freddi commenti burocratici nel vertice e un irrefrenabile moto di soddisfazione nei settori più laicisti di quel partito. Com’è noto Binetti aveva più volte chiesto che il carattere pluralistico e accogliente del PD venisse effettivamente espresso nelle scelte politiche concrete, ma la sua richiesta è stata ignorata anche nel momento di massimo dissenso, quello originato dall’accodamento dei democratici all’autocandidatura della leader radicale Emma Bonino alla guida della regione Lazio.
Lo stillicidio di personalità di cultura cattolica che abbandonano il PD ormai rappresenta un elemento permanente del nostro panorama politico, che ha nella scelta di Paola Binetti l’ultima – nel senso di più recente – conferma. Il fatto che questo fatto non venga considerato un problema ai piani alti del partito, con Pierluigi Bersani che, dopo aver espresso il suo dolore di circostanza, parla di nuove acquisizioni che faranno del suo, addirittura, «il partito del secolo», è piuttosto sorprendente.
Da quando è stato progettato nei congressi paralleli dei DS e della Margherita, il Partito democratico ha già subito altri abbandoni o secessioni preventive. In quei casi, come la scissione promossa da Fabio Mussi e altri esponenti della sinistra dei DS, nessuno espresse giubilo, nemmeno tra le file della Margherita. Al contrario, parve grave che nella fase di costruzione di un contenitore pluralista, come sono in sostanza tutti i grandi partiti occidentali, venisse meno una componente, per quanto collocata su posizioni piuttosto eccentriche rispetto all’asse riformista dato come fondamentale. Nei confronti, invece della secessione di esponenti moderati o cattolici, già più di una mezza dozzina solo tra i parlamentari, pare si riscontri, nel migliore dei casi, un disinteresse colmo di sufficienza. A questo si aggiunge un diffuso dileggio incomprensibile (o fin troppo comprensibile...) nei confronti dell’Opus Dei, ai funerali del cui fondatore avevano invece partecipato con rispetto e commozione esponenti della sinistra, dal leader storico Massimo D’Alema a Cesare Salvi, riferimento dell’area più legata al radicamento 'socialista' dei DS.
Quella che Binetti denuncia come «deriva zapaterista», anche se forse non coinvolge l’intero partito, si presenta come una tendenza rilevante e forse prevalente nel Partito democratico, che ovviamente non esclude gli apporti cattolici, ma rifiuta di fatto una loro pari dignità che può essere garantita solo dal limpido e pieno rispetto della libertà di coscienza nelle scelte che hanno un oggettivo rilievo etico. C’è chi pensa che in questo modo si realizza un progetto strategico attribuito a Bersani, quello di lasciare fuori dal partito i settori moderati e cattolici, per poi recuperarli 'dall’esterno' con un’alleanza organica con l’UdC.
Però è proprio sul terreno delle alleanze che si sono determinate le condizioni per l’abbandono di Binetti e di altri. Una tattica studiata a tavolino, che pensa di poter spostare le truppe come in un gioco di soldatini di piombo, trascura la soggettività delle scelte politiche, che è poi il connotato fondamentale della libertà in generale e dell’agibilità effettiva di una formazione che si autodefinisce come presidio fondamentale della democrazia.
Da “Avvenire” di domenica 14 febbraio 2010
Una nota dottrinale del presule richiama il valore del matrimonio tra uomo e donna
«NO ALLE NOZZE GAY NON SI DICA CATTOLICO CHI LE PROMUOVE»
Il cardinale Caffarra sottolinea le responsabilità anche di chi dovesse attuare una tale legge
DA BOLOGNA STEFANO ANDRINI
È’ impossibile ritenersi cattolici se in un modo o nell’altro si riconosce il diritto al matrimonio fra persone dello stesso sesso ».
È chiarissimo il cardinale Carlo Caffarra, arcivescovo di Bologna, in una nota dottrinale dal titolo “Matrimonio e unioni omosessuali” che intende illuminare «quei credenti cattolici che hanno responsabilità pubbliche di ogni genere, perché non compiano scelte che pubblicamente smentirebbero la loro appartenenza alla Chiesa». Il segno di una crescente «disistima intellettuale» nei confronti del matrimonio, afferma Caffarra « è il fatto che in alcuni Stati è concesso, o si intende concedere, riconoscimento legale alle unioni omosessuali equiparandole all’unione legittima fra uomo e donna, includendo anche l’abilitazione all’adozione dei figli » . A prescindere dal numero di coppie che volessero usufruire di questo riconoscimento - fosse anche una sola! - una tale equiparazione, osserva il cardinale «costituirebbe una grave ferita al bene comune » . Essa, continua Caffarra «avrebbe il significato di dichiarare la neutralità dello Stato di fronte a due modi di vivere la sessualità, che non sono in realtà ugualmente rilevanti per il bene comune. Mentre l’unione legittima fra un uomo e una donna assicura il bene - non solo biologico! - della procreazione e della sopravvivenza della specie umana, l’unione omosessuale è privata in se stessa della capacità di generare nuove vite» E neppure le possibilità delle nuove tecniche artificiali di riproduzione «mutano sostanzialmente l’inadeguatezza della coppia omosessuale in ordine alla vita».
Per non parlare dei figli: « L’assenza della bipolarità sessuale può creare seri ostacoli allo sviluppo del bambino eventualmente adottato ». L’equiparazione, insiste il cardinale avrebbe « una conseguenza che non esito definire devastante. Significherebbe che il legame della sessualità al compito procreativo ed educativo, è un fatto che non interessa lo Stato, poiché esso non ha rilevanza per il bene comune ».
E con ciò, commenta Caffarra «crollerebbe uno dei pilastri dei nostri ordinamenti giuridici: il matrimonio come bene pubblico.
Un pilastro già riconosciuto non solo dalla nostra Costituzione, ma anche dagli ordinamenti giuridici precedenti».
L’arcivescovo smentisce anche che così facendo ci si troverebbe di fronte a una discriminazione. «Non attribuire lo statuto giuridico di matrimonio a forme di vita che non sono né possono essere matrimoniali, non è discriminazione ma semplicemente riconoscere le cose come stanno » . L’obbligo dello Stato di non equiparare nasce dalla considerazione, ricorda il cardinale « che in ordine al bene comune il matrimonio ha una rilevanza diversa dall’unione omosessuale. Le coppie matrimoniali svolgono il ruolo di garantire l’ordine delle generazioni e sono quindi di eminente interesse pubblico. Non svolgendo un tale ruolo le coppie omosessuali non esigono un uguale riconoscimento».
Il cardinale si rivolge inoltre ai credenti che hanno responsabilità pubbliche. « È impossibile fare coabitare nella propria coscienza e la fede cattolica e il sostegno alla equiparazione fra unioni omosessuali e matrimonio: i due si contraddicono» E se «la responsabilità più grave è di chi propone l’introduzione » di questa equiparazione, «o vota a favore in Parlamento di una tale legge», esiste anche la responsabilità «di chi dà attuazione ad una tale legge. Se ci fosse bisogno, quod Deus avertat, al momento opportuno daremo le indicazioni necessarie».
Da “Avvenire” di domenica 14 febbraio 2010
PD, BERSANI APPOGGIA LE RICHIESTE DEGLI OMOSESSUALI
DA ROMA PIER LUIGI FORNARI
In piena campagna elettorale per le regionali Pier Luigi Bersani sposa integralmente le tesi del movimento degli omosessuali, partecipando al congresso dell’Arcigay in corso a Perugia. Accetta senza riserve la identificazione tra l’uguaglianza sancita dall’articolo 3 della Costituzione e le rivendicazioni gay. Quella norma, afferma il segretario del PD, «ha un risvolto sociale e sui diritti». «Sono qui per testimoniare questo», dice equiparando le difficoltà sociali ai problemi che pongono le richieste omosessuali.
«Bisogna reagire sul piano culturale, sul piano politico, sul piano legislativo », rincara il leader dei Democratici, ripetendo argomenti usati dalle lobby gay per aprirsi la strada all’adozione: «Nessuno di quei bambini che anche in Italia già vivono con coppie di genitori omosessuali si dovrà mai sentire discriminato». Sfodera una certa conoscenza del linguaggio religioso per sostenere che «se lo Stato non regola la materia delle coppie di fatto, commette un peccato di omissione ». Suona ambiguo anche il riferimento al fatto che «il nostro Paese comunque è in Europa» a proposito dei prossimi pronunciamenti della Consulta sui matrimoni gay. Bersani sollecita infine l’iter di una proposta di legge che dovrebbe combattere la cosiddetta 'omofobia', introducendo profonde modifiche nel nostro ordinamento.
In Emilia-Romagna Gian Luca Galletti, candidato dell’UdC, assicura che il suo partito andrà da solo fino al 28 marzo, poi si vedrà. Navigata in solitario per i centristi anche in Veneto con Antonio De Poli, convinto che la partita sarà tra lui ed il leghista Luca Zaia per il Pdl, perché Giuseppe Bortolussi ed il centrosinistra «non sanno più nemmeno dove stanno di casa, sul tema del Veneto, della sua identità, dei suoi valori». «Non sono qui per testimoniare o per partecipare, sono qui per vincere », ribatte Bortolussi. Mercedes Bresso, alla ricerca di un altro mandato per il PD in Piemonte, annuncia che intende approvare una legge ad hoc per la famiglia: c’è da augurarsi che non sia influenzata da un big del PD, come il sindaco di Torino, Sergio Chiamparino che il 27 febbraio vuole dare un segnale politico partecipando ad un simbolico matrimonio tra due donne.
Per quanto riguarda il Lazio il quotidiano di area PD 'Europa' in un fondo di prima pagina sostiene che Emma Bonino «sta prendendo la direzione giusta».
La lista intitolata a lei e a Marco Pannella ieri ha organizzato a Milano un convegno sulla Cannabis con consigli sull’autocoltivazione.
Dal presidente del Comitato scientifico delle «Settimane sociali» l’invito a difendere i valori che contano e a non ingrossare il partito dell’astensionismo
«Etica e solidarietà? Nessuna dicotomia»
Il vescovo Miglio sui candidati alle prossime elezioni: certe storie personali inconciliabili con i principi cristiani
DA ROMA MIMMO MUOLO
Per prima cosa prendere sul serio le elezioni. «Non bisogna ingrossare il partito dell’astensionismo». Quindi scegliere accuratamente i candidati da votare. «Certe militanze e storie personali sono inconciliabili con i principi cristiani». Infine non cadere nel tranello della presunta dicotomia tra etica e solidarietà. «I principi sono un insieme. Non si possono dividere». Sono i tre semplici criteri che monsignor Arrigo Miglio indica a chi si appresta a votare alle elezioni regionali. Il vescovo di Ivrea, presidente del Comitato scientifico e organizzatore delle Settimane sociali, spiega: «Prendere sul serio le elezioni significa informarsi, seguire i dibattiti, rendersi conto della personalità e della storia personale dei candidati. In definitiva il voto va preparato attentamente, tenendo presente il criterio del bene comune, cioè il bene di tutto l’uomo, di ogni uomo e di ogni donna in tutte le sue dimensioni ».
Come ritrovare il bene comune nei singoli programmi?
In elezioni regionali e locali come queste, teniamo d’occhio gli eventi che vengono promossi sul territorio, poiché sono indicativi della cultura di riferimento. Al momento della scelta elettorale siamo chiamati a far funzionare la ragione, a portare le ragioni per difendere i valori umani e cristiani e tradurre in argomentazioni ragionevoli i nostri principi.
Lei accennava anche alle storie personali dei candidati. Qualcuno dice che sono più importanti i programmi. È d’accordo?
È la stessa storia dello spartito e del suonatore. Se il musicista stecca, anche lo spartito più bello finisce per diventare poco gradevole. Fuori di metafora, è bene che ci siano programmi validi, chiari e verificabili. Ma è altrettanto importante, se non di più, che vi siano persone affidabili chiamate a metterli in opera. Da questo punto di vista le storie personali sono un’ipoteca molto pesante.
Dunque non tutte le storie personali sono conciliabili con la fede cristiana.
A meno che non vi siano segni reali di cambiamento, le storie personali dei candidati non possono essere ignorate al momento del voto. Specie di fronte a certe militanze assolutamente non condivisibili da parte di noi cristiani. Oggi poi si sente il bisogno di un rinnovamento generazionale, poiché molte storie personali di candidati sono legate a visioni dell’uomo decisamente obsolete. Ritengo sia venuto il momento di chiedersi se, ad esempio, una certa cultura di tipo radicale e libertario abbia portato l’Europa a essere giovane o a invecchiare, a dare speranza di vita o a causare l’inverno demografico, a creare posti di lavoro per i giovani o a moltiplicare il precariato. Penso che le risposte siano sotto gli occhi di tutti.
Lei ha messo in relazione istanze etiche e sociali. Eppure c’è chi vede l’impegno per la bioetica in contrapposizione a quello per la solidarietà. Non ritiene che si tratti di un falso problema?
Il Papa l’ha chiamata una dicotomia nefasta. Una simile visione non considera la ricaduta sociale e anche economica dei principi cosiddetti etici. E viceversa non considera la dimensione etica dei principi sociali. Ci sono vari passaggi della Caritas in veritate (ad esempio al numero 51) che mettono in rapporto ecologia ambientale e umana. I principi, infatti, sono un insieme. Trascurato uno, si indeboliscono tutti gli altri. Del resto possiamo anche fare delle verifiche in base all’esperienza di tutti i giorni. Quali costi ha per il Paese la crisi della famiglia? E le derive etiche dell’Europa e dell’Occidente non hanno nessuna relazione con la crisi economica in cui siamo caduti? O ancora, la fame nel mondo non dipende da ingiustizie colossali e purtroppo consolidate? Ecco perché occorre una visione che tenga insieme solidarietà ed etica.
Centro Culturale “Il Seme” e Parrocchia di Piangipane Ravenna
“Il Volto dell’amore”
Incontro sulla Sindone
interverrà Don Giandomenico Tamiozzo
(sindonologo – Diocesi di Vicenza)
VENERDI’ 26 FEBBRAIO 2010
Ore 20,30 CHIESA di PIANGIPANE
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