sabato 2 aprile 2011

Portaparola ravenna del 2/4/2011







DI FRONTE ALL’'UOMO DEI DOLORI'

SINDONE, ICONA DELLA QUARESIMA RICCARDO MACCIONI

Il suggerimento arriva da un amico sacerdote: non avere paura della Sindone, tieni una sua immagine in casa. Ho seguito il consiglio. La riproduzione, poco più di un santino, sta lì nella stanza con i grandi vetri, quasi davanti alla Bibbia, che non apro abbastanza. È un modo per ricordare l’Ostensione dell’anno scorso, che dal 10 aprile al 23 maggio portò a Torino oltre due milioni di fedeli. Qualche volta guardarla fa male perché, come in uno specchio che ti scruta dentro, vedi riflessa l’enorme distanza tra il piccolo uomo che sei e la grandezza cui tutti siamo chiamati. Succede soprattutto in Quaresima, quando lo Spirito chiede più spazio e il cuore ha bisogno di aria fresca. Su quel volto segnato dalla sofferenza, scorrono le persone trascurate, le parole non dette, gli abbracci non dati. Eppure non è lo sconforto a sorprenderti, e neanche la voglia di fare. Se ti immergi in quell’icona di dolore, se ti lasci interrogare dalle ferite che ne segnano i tratti, senti soprattutto un grande bisogno di silenzio. L’unica risposta possibile di fronte alla violenza disumana, il modo più diretto che abbiamo di aprirci all’eterno presente di Dio. Per essere riempiti occorre svuotarsi, lasciare che il vento dello Spirito spazzi via il fragile castello di carta delle nostre certezze, saper rinunciare a un po’ di noi stessi. È l’itinerario della Quaresima. È il messaggio della Sindone. Visto attraverso il Vangelo della Passione, l’uomo dei dolori racconta il miracolo di chi accetta la morte più atroce per dare vita agli altri, viene esaltato perché ha scelto l’umiliazione, sana le nostre ferite più profonde con le sue piaghe. Non resta che ringraziare. E chiedere perdono. La nostra colpa è il bisognoso che fingiamo di non vedere, la preghiera barattata in cambio di inutili chiacchiere, il vocabolario che, anziché pace, diffonde rabbia e violenza. Capirlo non è facile, lo è ancora di meno riconoscere che i responsabili siamo proprio noi, con il nostro povero bagaglio di frasi fatte e di risposte scontate. Ma se ce ne rendiamo conto, se accettiamo di non potere fare tutto da soli, significa che cambiare è possibile. Trasformando da dentro la vita che facciamo, preferendo, allo scintillio dell’ennesima vetrina, il buio di una cappellina e i consigli di un confessore. Perché, da quei presuntuosi analfabeti dello Spirito che siamo, non lo ammetteremo mai però cerchiamo maestri veri, testimoni autentici, e il modo per riconoscerli. Torino ne ha dati e avuti tanti. L’anno scorso i pellegrini in fila per l’Ostensione erano immersi proprio nel cuore della sua santità sociale, dove uomini e donne di fede, da don Bosco a Giulia di Barolo, dal Cottolengo al Cafasso, dal Murialdo a Faà di Bruno, hanno costruito l’Italia della carità. La Sindone non poteva che «abitare» dentro quella cittadella ideale senza confini e frontiere, dove tante esistenze perdute si sono ritrovate alla luce del Vangelo. È lì, a ricordarci che dalla morte può venire la vita, che umiltà e grandezza sono sorelle gemelle, che in fondo siamo tutti viandanti lungo il perimetro del nostro cuore. Bisognoso di Assoluto.

Sul sito della Chiesa cattolica di Torino è possibile “leggere” virtualmente il telo sacro: http://www.sindone.org La Sindone, per le caratteristiche della sua impronta, rappresenta un rimando diretto e immediato che aiuta a comprendere e meditare la drammatica realtà della Passione di Gesù. Per questo il Papa l’ha definita “specchio del Vangelo”


Da E’ vita supplemento di Avvenire di giovedì 31 marzo 2011

«DECIDO IO». MA I CAPRICCI NON DETTANO LEGGE

di Tommaso Scandroglio

Dalla 194 sull’aborto all’ipotesi di eutanasia legalizzata: così un’interpretazione deformata del principio di autodeterminazione ha influito sull’opinione pubblica. E ha distorto la lettura del dettato costituzionale sull’assistenza medica

Un erroneo concetto di autodeterminazione è il minimo comun denominatore di alcuni fenomeni sociali che fanno a pugni con i «principi non negoziabili». Nell’aborto lo slogan «l’utero è mio e decido io» sarà pur vecchio di quaranta anni ma è ancora alla base dell’interpretazione corrente della legge 194. Legge nata dalla pressione ideologica per «tutelare» simile esigenza. Se invece madre natura non dona il bebè tanto desiderato, si pretende di averlo per vie artificiali e inoltre si esige che sia perfetto e che la legge accondiscenda a tutto ciò. Non acconsentire a simili richieste sarebbe ledere la libertà della persona. Oggi infine tocca all’eutanasia: la vita è mia e determino io la soglia minima di apprezzabilità della stessa, i requisiti minimi di sopportabilità per determinare se è degna di essere vissuta. Come negli esempi precedenti si pretende una legge che dia tutela a questa autonomia e che la sacralizzi. Ovvio che in tale prospettiva le Dat non possono che essere vincolanti per il medico perché espressione di un libero volere che non deve conoscere limiti. Tale interpretazione del principio di autodeterminazione però non è proprio condivisibile alla luce della ragione e del diritto vigente. La libertà non può essere intesa in senso assoluto, cioè sciolta da qualsiasi legame. Bensì la nostra libertà è relativa, è agire in relazione a ciò che mi detta la natura umana la quale pretende che si conservi la vita e la salute, mia («no» all’eutanasia) e degli altri («no» all’aborto e alla fecondazione artificiale). Un’autodeterminazione vincolata dunque. Intendere in modo diverso il principio di autonomia significa comprimere e quindi svilire il naturale anelito al bene dell’uomo e non aver compreso la sua intima essenza, così come ricordò Benedetto XVI nell’ottobre del 2008 in occasione del Congresso nazionale della Società italiana di chirurgia: «L’esaltazione individualistica dell’autonomia finisce per portare ad una lettura non realistica, e certamente impoverita, della realtà umana». Da ciò discende che le leggi dello Stato devono essere certamente al servizio dell’uomo, ma al servizio del suo vero bene, non delle sue vogliuzze, dei suoi capricci, dei suoi impulsi autolesionisti. Da parte del legislatore ci deve essere perciò un riconoscimento oggettivo delle esigenze naturali dell’uomo: la vita, la salute, la libertà, etc. E un rigetto di tutte quelle condotte che seppur volute dall’interessato stesso vanno a ledere questi suoi diritti indisponibili. Qualcuno potrebbe obiettare: «Ma l’articolo 32 della Costituzione sancisce il diritto al rifiuto delle cure». Non è così. Il rifiuto di trattamenti sanitari è una mera facoltà di fatto, non un diritto. Vi sono almeno due ragioni a sostegno di ciò. Inprimo luogo l’articolo 32 della Costituzione non sancisce un diritto alla non cura, ma impone un limite alla cure coattive prestate dallo Stato. È una differenza non da poco: porre un «alt» al dovere di cura da parte dei medici non significa corrispettivamente riconoscere un diritto soggettivo a rifiutare le terapie. In secondo luogo la salute è qualificata dall’articolo 32 come «diritto fondamentale». Di conserva discende il fatto che non può esistere un diritto diametralmente opposto a questo, cioè il «diritto fondamentale» alla malattia, alla mancanza di salute. E quindi non ci può essere il diritto ad evitare quelle cure che potrebbero farmi recuperare il mio stato di salute intaccato da una patologia. Se dunque non si può predicare un diritto alla non cura, non esiste parallelamente nessun obbligo giuridico in capo al medico nell’interrompere le cure rifiutate dal paziente. Infatti laddove si predica un diritto ci deve essere un dovere in capo a qualcuno di soddisfare questo diritto. In buona sostanza la persona ha la facoltà di sottrarsi alle cure, ma non pretenda che il medico collabori con lui in questo intento. Puoi buttarti da un cornicione, ma non venire a chiedere che qualcuno ti dia una spinta. A questo punto però viene da domandarsi: il principio di autodeterminazione che fine fa? Il suo ambito di applicazione in realtà è assai esteso. Di fronte a una patologia il medico illustrerà tutte le possibili soluzioni e i rischi connessi. Starà poi al paziente, sostenuto dai familiari, decidere quale strada terapeutica intraprendere, conscio che l’unico limite impostogli è il rifiuto di cure salvavita.


Da Avvenire di venerdì 1 aprile 2011

Nuova legge. Dopo le regioni, strategia nazionale

CONSULTORI, SVOLTA PER IL BENE COMUNE

Dalla Lombardia e dal Lazio la riforma destinata a cambiare il volto dei servizi e dei presidi familiari di Davide Re Presidi multidisciplinari per la tutela e la promozione della famiglia. Realtà caratterizzate da un alto livello di specializzazione in grado di accogliere, consigliare,assistere, accompagnare nuclei familiari, ma anche giovani, anziani, persone segnate dal bisogno e dalla fragilità. Ecco come dovranno diventare i consultori familiari nel progetto di legge nazionale rilanciato ieri a Milano, in un convegno organizzato dalla Confederazione italiana consultori familiari di ispirazione cristiana. Una strategia a centri concentrici che dalla Lombardia e dal Lazio è destinata ad allargarsi alle altre regioni, con l’obiettivo neppure troppo velato di rinnovare la legge nazionale in materia ormai sfaldata e inattuale sotto il peso dei suoi 37 anni d’età. I contorni della nuova legge sono stati tratteggiati dal presidente della Confederazione, l’avvocato Goffredo Grassani, con una premessa importante. La normativa riguarda consultori pubblici, privati e del privato sociale senza scopi di lucro, perché se è vero che la struttura pubblica è «sussidiaria dell’associazionismo», è altrettanto indubitabile che la stessa struttura pubblica non può lasciare spazio ad associazioni incompetenti ed inerti. Non solo, per il consultorio «del nuovo millennio» ci vorrebbe pure un riconoscimento di natura fiscale. In modo da renderlo «indipendente» e in grado di supportare le persone in difficoltà, attraverso la consulenza di professionisti. Presenti alla mattina oltre al presidente del Cfc Grassani e l’assessore lombardo alla Famiglia Giulio Boscagli. Al termine delle relazioni una tavola rotonda, alla quale hanno partecipato Dino Verdolin, Luciano Viana, Olimpia Tarzia, Elda Fainella, Antonio Adorno e Raffaele Cananzi, moderata da Gabriella Moschioni, ha messo in evidenza varie la situazione delle realtà locali. Primo obiettivo della legge è la tutela e la promozione della famiglia fondata sul matrimonio. I motivi sono evidenti. Oggi una percentuale crescente di matrimoni (dal 40 al 50% nelle diverse regioni) si dissolve nei primi dieci anni e ormai un terzo dei figli nasce fuori dal matrimonio, con derive sociali e culturali pesantissime. Non si tratta di una preoccupazione “confessionale”. La famiglia che si disgrega e non riesce più ad assolvere i suoi obietti primari sul fronte educativo, apre la strada a conseguenze che intaccano innanzi tutto le fondamenta del bene comune. Il secondo obiettivo della legge è quello di valorizzare le associazioni che promuovono la famiglia, con particolare attenzione al bene primario della stabilità familiare. A queste associazioni viene assegnato la qualifica e il ruolo di “istituzioni sociali”, perché impegnate nella tutela, ha spiegato ancora Grassani, dei diritti fondamentali della libertà della persona. Terzo obiettivo, ma non meno importante dei primi due, la funzione educativa attribuita al consultorio, che non significa privare la famiglia da uno dei suoi compiti fondamentali, ma «attualizzare la cultura familiare fondata sulla famiglia, sulla solidarietà intergenerazionale e sui principi di promozione di tutte le condizioni per il pieno sviluppo della persona». E la Lombardia, attraverso il suo sistema sanitario e sociale, è un po’ l’apripista del percorso di riforma che si è intrapreso. «L’idea di fondo – ha detto Boscagli – è la creazione di una rete capillare di supporto alle famiglie, attorno a cui si muovono, operando in stretta collaborazione, tutti i soggetti: dai consultori pubblici e privati, alle Asl». Particolarmente positiva si sta rivelando in Lombardia anche l’esperienza del Fondo Nasko, che fa proprio della collaborazione tra i consultori e i Cav uno dei suoi punti caratterizzanti. «La politica di difesa della maternità è una politica di bene comune – ha concluso Boscagli –, su cui dovrebbero convergere tutte le forze politiche e sociali».


Da E’ vita supplemento di Avvenire di giovedì 31 marzo 2011

MATERNITÀ «DIFFICILI», C’È IL COMUNE di Edoardo Tincani

Una bella notizia per il popolo della vita arriva dalla provin¬cia di Reggio Emilia. Il Comune di Correggio, guidato dal sindaco Marzio Iotti, il 3 marzo ha siglato un accordo che mette risorse pubbliche – 10.000 euro, per il primo anno di sperimentazione – a sostegno delle maternità inattese e difficili, in piena attuazione della legge 194/1978 e della direttiva regionale 1690/2008. A 33 anni dalla legge sull’aborto in Italia, finalmente un passo concreto verso l’attuazione della sua parte preventiva. Il protocollo d’intesa porta la firma dell’as¬sessore Maria Paparo, a nome del Comune e del Servizio sociale integrato, di Giu¬liana Turci per il distretto Ausl e di tre associazioni di volontariato: Movimento per la vita, Caritas e la se¬zione femminile della Cro¬ce Rossa. Questa rete pub¬blico-privato favorirà un percorso per ridurre il ricor¬so all’aborto volontario, se motivato da problemi so¬cio- economici. In secondo luogo, il sostegno alla genitorialità attraverso il «potenziamento delle attività di informazione, orientamen¬to, prevenzione» per la donna e per la coppia, in modo da favorire una maternità consapevole. A Correggio – spiegano i volontari Alfonso Chies¬si e Rita Nicolini, marito e moglie – si è scelto di valorizzare il consultorio, come luogo in cui la donna in difficoltà potrà sentirsi accolta e decidere se farsi accompagnare dai servizi so¬ciali o dalla 'squadra' delle associazioni per la vita. È il coronamento di un lavoro durato oltre quattro anni e portato avanti da persone appassionate che hanno trovato la collaborazione negli interlocutori istituzionali. Beneficiarie del progetto so¬no le donne entro il 3° mese di gravidanza residenti nel territorio correggese che si rivolgono al consultorio familiare con richiesta di Ivg. Da oggi, se quella domanda fosse motivata da preoccupazioni economiche, verrà presentata una gamma di aiuti: il contributo integrativo del reddito dal 4° al 9° mese di gravidanza, quanti¬ficato dal Comune in base al singolo progetto di assi¬stenza socio-sanitaria; l’accompagnamento oltre la nascita del bebè, con sostegno morale alla mamma e poi fornitura di latte, pannolini,vestitini.

Da Avvenire di giovedì 31 marzo 2011 FINE VITA: DIRE SÌ ALLA NORMATIVA SULLE DAT PER UNA LEGGE CHE SIA UTILE DOMENICO DELLE FOGLIE Sì, questa è la stagione in cui per i cattolici è ancor più importante rendere visibile e tangibile la 'cultura della vita'. Una cultura che come cittadini italiani sappiamo di condividere con tanti non credenti, dentro e fuori le aule del Parlamento, nelle corsie degli ospedali come nelle aule scolastiche, nelle stanze dei tribunali e delle università, nelle famiglie come nelle associazioni e nei movimenti, nelle parrocchie e negli oratori come nei circoli, nei media tradizionali come nella rete, nei gruppi di amici e nelle più diverse articolazioni di questa nostra società complessa e post¬moderna. Una 'cultura della vita' che può e deve ispirare – e accompagnare – i passi decisivi della legge sulle dichiarazioni anticipate di trattamento (Dat) all’esame del Parlamento italiano. Una legge «necessaria e urgente» come ci ha ricordato il presidente della Cei, il cardinale Angelo Bagnasco. Una legge che si rende «necessaria » se, da cittadini consapevoli, ci lasciamo guidare da quel sano principio di realtà che non dimentica quanto è accaduto solo due anni fa in questo Paese: a una persona indifesa furono sottratti acqua e cibo, in forza della sentenza creativa e intrusiva costruita da taluni magistrati. Dimenticare questa drammatica circostanza, o considerarla secondaria, questo sì che sarebbe colpevole agli occhi dei cittadini più avvertiti del valore di ogni singola vita, della sua insostituibilità e non replicabilità. Ecco perché, nel considerare «urgente» una legge che ponga dei limiti a ogni tipo di scorciatoia eutanasica, il pensiero va allo stesso significato del concetto di democrazia, come strumento dei 'moderni' per rappresentare tutti e garantire e tutelare i più deboli. Quando si fa osservare che ai credenti questa legge non aggiunge nulla, perché i credenti difficilmente farebbero ricorso allo strumento delle Dat, se non in funzione positiva, si dimentica che ciascun cittadino ha una responsabilità che travalica il proprio particolare. È que¬sta responsabilità che spinge i credenti anche a servirsi di una legge che 'cattolica' non è, per tutelare gli interessi dei più deboli che a tutti debbono stare sommamente a cuore. Questa legge, infatti, risponde a un forte principio solidaristico, anche nella prospettiva di uno sviluppo sociale che vedrà crescere, a dismisura, la popolazione degli anziani. Uomini e donne che sempre più spesso si troveranno purtroppo a dover affrontare il 'transito' in solitudine, a causa dell’espandersi delle famiglie mo¬nonucleari e dell’assottigliarsi e indebolirsi dei vincoli parentali. Per loro, forte sarà il rischio sia dell’abbandono terapeutico sia dell’accanimento. Di tutto questo un legislatore accorto può e deve farsi carico, proprio nello spirito dell’«alleanza di cura» che si fa espressione tangibile della scelta solidaristica scolpita a chiare lettere nella nostra Costituzione repubblicana. Una legge 'buona e giusta' quella sulle Dat? Si è lavorato al Senato e si sta lavorando alla Camera perché sia così. Ricordiamoci, però, che ogni legge è sottoposta al vaglio delle maggioranze – a volte trasversali, come in questo caso, e comunque transitorie in un regime di alternanza politica. E per tutte le maggioranze, presenti e future, dovrebbe valere il criterio di garantire, a ogni singola legge, una volta approvata, un periodo di rodaggio. È civile e necessario, insomma, che a queste disposizioni non venga riservato il trattamento ostile e la propaganda deformante già riservati, ad esempio, alla legge 40 sulla fecondazione artificiale, altra normativa 'non cattolica' ma accettata dai credenti per chiudere l’era di 'provetta selvaggia'. Abbiamo già visto una parte dell’opinione pubblica, più ideologizzata e meno disponibile ad accettare il voto (trasversale, torniamo a ricordarlo) di un libero Parlamento, allearsi con una frazione della magistratura per tentare di demolire o, comunque, manomettere la legge sin dal giorno seguente la sua entrata in vigore. Chi come noi alimenta con la ragione e le opere la 'cultura della vita', sa di dover innanzitutto agire nella società per diffonderla in modo credibile e convincente. E questo facciamo, senza progettare scorciatoie ed elitarie manovre di potere e di (dis)informazione per far prevalere il nostro punto di vista. Parliamo chiaro e accettiamo il confronto a viso aperto nello spazio pubblico, forti delle nostre ragioni e della richiesta di non cancellare le voci nostre e di malati e disabili. Magari, per qualcuno, politicamente scorrette e scomode. Dalla Redazione del Portaparola Ravenna A RAVENNA IL REGISTRO PER IL TESTAMENTO BIOLOGICO A fine marzo è stato votata l’istituzione del registro della DAT "Il Comune - ha detto l'assessore Piaia della giunta del sindaco PD Matteucci - avrà un registro nel quale i cittadini potranno iscriversi attraverso una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, dando conto di aver redatto una dichiarazione anticipata di trattamento (Dat) e di averla depositata presso una persona di fiducia o notaio. E' questo il risultato di un lavoro svolto in più fasi con la discussione di più ordini del giorno e di una petizione di iniziativa popolare". Il provvedimento ha però spaccato il PD locale la cui componente cattolica ha votato contro l’istituzione del registro. Per Giancarlo Frassineti (Lista civica Per Ravenna) il "testamento biologico e Dat sono contrari alla cultura della vita e sotto questo profilo la delibera è un'iniziativa vana. Tanto più che, fino a quando non ci sarà una legge nazionale, il registro non avrà alcuna utilità pratica. Questa iniziativa è strumentale, inapplicabile e fatta con uno spirito puramente propagandistico". Manifesto Scienza & Vita -Area Tematica 2011/2012 Scienza e cura della vita: educazione alla democrazia - La democrazia, come concezione politico-sociale e come ideale etico, si fonda sul riconoscimento dei diritti inviolabili di ognuno, indipendentemente da qualsiasi giudizio circa le sue condizioni esistenziali. - Il che corrisponde all’impianto, di straordinario rilievo, definito dagli articoli 2 e 3 della Carta costituzionale, i quali fondano su tale affermazione il principio di uguaglianza, sollecitando all’assunzione dei doveri necessari perché in ogni contesto di vita il rispetto della dignità umana non sia soltanto dichiarato, ma anche concretamente perseguito. - La titolarità dei diritti umani dipende esclusivamente, pertanto, dall’esistenza in vita di ciascun individuo. E la tutela della vita costituisce il presidio del mutuo riconoscimento degli esseri umani come uguali nei loro diritti. - “Un’autentica democrazia non è solo il risultato di un rispetto formale di regole, ma è il frutto della convinta accettazione dei valori che ispirano le procedure democratiche: la dignità di ogni persona umana, il rispetto dei diritti dell’uomo, l’assunzione del bene comune come fine e criterio regolativo della vita politica”. Fondamento della democrazia è, dunque, la rilevanza per l’intero corpo sociale – in pari dignità, diritti e doveri – di ciascun individuo umano, con particolare attenzione per la tutela di coloro che si trovano in condizioni di particolare vulnerabilità, come, per esempio, nello stato di malattia o di diversa abilità. - In altre parole, fondamento della democrazia è la premura verso la realtà esistenziale di ogni essere umano, la quale presuppone il rispetto del diritto alla vita: da assistere (ad-sistere), secondo le potenzialità che ci offre la scienza, nella relazione di cura. - “Ogni giorno ci viene incontro la vita con la sua carica di novità e di sfide, di luci e di ombre. Essa chiede a qualunque età di essere guardata, compresa, accolta con responsabilità. Possiamo dire che educare significa aprire alla vita: vuol dire incontrarla e dialogare con lei”. - La scienza biomedica ci permette di acquisire verità oggettive circa la salute di un dato individuo e di operare per la sua salvaguardia. E’ una ben nobile disciplina, finalizzata a comprendere razionalmente le dinamiche fisiopsichiche della vita umana e a promuovere il benessere di ogni essere umano. Tuttavia l’esaltazione della scienza come forma esclusiva di approccio alla realtà umana ne compromette la fecondità, presentandola come unica modalità interpretativa della vita. - Nell’ambito dell’assistenza sanitaria il supporto delle scienze biomediche e delle biotecnologie è ovviamente indispensabile. Basti considerare gli evidenti e costanti sviluppi che ha prodotto nel campo della diagnostica e della terapia. Ma ciò non basta. E’ necessario che a quel supporto si affianchi il ricorso alla cura, vale a dire al prendersi cura di un essere umano che, nella vulnerabilità propria di uno stato di malattia, manifesta il bisogno di essere aiutato. - Non tutte le malattie sono guaribili, eppure ogni persona malata o in condizioni di grave fragilità è curabile. Nell’assistenza, nel prendersi cura dell’altro, si misura il senso di solidarietà fondato sulla percezione del medesimo almeno come amico morale, la cui vita e il cui ben-essere sono da tutelare e perseguire quali valori imprescindibili. In un tale contesto relazionale di aiuto e di cura ogni persona trova il compimento della dialogicità costitutiva dell’umano: essere con e per gli altri. - Nella relazione di cura, la scienza si coniuga con la cura, l’arte tecnica con l’arte morale, lo scopo con il senso, la libertà con la responsabilità. Responsabilità è appunto farsi carico (rem ponderare) dei bisogni dell’uomo segnato dalla malattia, dalla sofferenza, spesso dalla solitudine e dall’abbandono; significa dare una risposta (respondere) a chi interpella per essere assistito, curato e possibilmente guarito. - Declinare secondo scienza e cura la vita significa educare alla democrazia, allo sviluppo della persona nella sua totalità. http://www.scienzaevita.org/ Da Tempi.it del 2 Aprile 2011 A PROVA DI BAMBINO. HO LETTO “LA BEATIFICAZIONE DI GIOVANNI PAOLO II” Un libro dedicato ai bambini, “La Beatificazione di Giovanni Paolo II”, arricchito da bellissime fotografie e dalle parole di papa Wojtyla di Annalena Valenti Un bellissimo libro, con molte fotografie, agile, 48 pag., e dal prezzo davvero contenuto (sei euro), in un originale formato quadrato 15x15. Dedicato soprattutto, ma non solo, ai bambini, esordisce con l’annuncio, da parte di Benedetto XVI, della Beatificazione del suo amato predecessore: “Siamo felici!”. Il libro ripercorre brevemente la vita di Karol Wojtyla: lo sport, il teatro, il seminario, la sua elezione a Papa, i viaggi apostolici con tanto di numeri e pallini rossi segnaletici che hanno fatto e faranno la felicità di certi bambini curiosi. La speciale predilezione per i giovani, che lo porta a istituire le Giornate Mondiali della Gioventù, e per i bambini “Conto su di voi”. L’attentato subito, il suo rapporto con i Movimenti Ecclesiali, e poi, poco dopo la morte, il miracolo accaduto per sua intercessione. Il libro, che è un intrecciarsi di notizie, anche in numeri da record per viaggi e per santi e beati proclamati, è arricchito da bellissime fotografie e da alcune delle parole pronunciate da papa Wojtyla, tra cui quelle con cui comincia il suo Pontificato e che il suo successore, papa Benedetto XVI, riprende. Parole con cui il libro si apre e si chiude: “Aprite, anzi spalancate, le porte a Cristo”. YOUCAT - Sussidio al catechismo della Chiesa cattolica per i giovani «I libri hanno valore se guidano alla vita, se sanno servirla. È sprecata ogni ora di lettura se da essa non scaturisce per il lettore una scintilla di energia nuova, un senso di rinnovamento, un alito di nuova freschezza». Un libro che non si accontenta della superficie della vita ma che vuole essere a servizio della storia e della realtà che viviamo, un buon libro che ci permette di capire nel bene e nel male chi siamo, ci rende coscienti dei segreti della nostra anima, ci svela orizzonti che da soli non sapremmo raggiungere. Le 300 pagine di YOUCAT sono originali fin dalla copertina: un giallo vivace con il titolo bianco che campeggia verso i tre quarti, mentre sullo sfondo sbalza una grande Y fatta da tante piccole croci dalle molte e varie fogge. Forte il richiamo alla bandiera vaticana, ai colori del Papa, e l’ammiccare fin da subito alla galassia di Internet, dove molti degli interlocutori di questo testo passano buona parte del loro tempo. Il nuovo catechismo dei giovani, tra l’altro, sarà nella sacca del pellegrino – in almeno sette lingue – delle centinaia di migliaia di giovani che quest’estate – dal 16 al 21 agosto – parteciperanno alla GMG (Giornata mondiale della gioventù) di Madrid, con un prevedibile festoso anticipo nella prima consegna la domenica della Palme, il 17 aprile. Un’esperienza collettiva di Chiesa che non potrà non lasciare il segno. YouCat è l'acronimo di Youth Catechism. Uno strumento di 300 pagine creato e pensato “da e per” i giovani che vogliono approfondire la fede della Chiesa. Nato nell’ambito della Conferenza episcopale austriaca, il lavoro ha avuto la supervisione del cardinale di Vienna Christoph Schönborn, coinvolgendo teologi, esperti di catechesi e un gruppo di cinquanta giovani. Tredici le lingue in cui verrà pubblicato, il testo verrà accompagnato dalla premessa di papa Benedetto XVI - di cui abbiamo offerto uno stralcio in anteprima-, riunendo idealmente nella condivisione della propria fede i giovani di diverse culture e di diverse parti del mondo. Il volume, dalla copertina di colore giallo ed una “Y” composta da croci di diverse fogge, è suddiviso al suo interno in quattro sezioni: «Che cosa crediamo»; «La celebrazione del mistero cristiano»; «La vita in Cristo» e «La preghiera nella vita cristiana». Una sfida alla diffusa opinione che troppo spesso considera i giovani ovattati dalla superficialità e intorpiditi dalla modernità. Sono in molti, invece, i ragazzi che si interrogano sulla ricerca autentica di un senso delle vita, sulla fede, e conoscere può aiutare a restare saldi e ad avere forza di fronte alle sfide del tempo: «dovete conoscere quello che credete – continua Benedetto XVI nella premessa -; dovete conoscere la vostra fede con la stessa precisione con cui uno specialista conosce il sistema operativo di un computer».

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