Da Avvenire di venerdì 11 giugno 2010
IL PALLONE, UN PAESE, IL CONTINENTE NERO
QUESTO MONDIALE DA GUARDARE UN MONDO DA CAPIRE
ALBERTO CAPROTTI
Un Mondiale di calcio. In Africa. Il circo dello sportbusiness più ricco del mondo paracadutato in una delle terre più derelitte del pianeta. Sembrava follia, ora è realtà. Quando oggi pomeriggio a Johannesburg verrà fischiato il calcio d’avvio di Sudafrica-Messico, un Paese e un continente intero si renderanno conto che non sono chiamati a vincere una Coppa che sanno benissimo di non poter vincere, ma di giocare per un trofeo più importante. Quello dell’orgoglio, della credibilità di fronte al mondo, e della speranza. Termini che questa volta almeno, contengono più senso che retorica.
Dopo il primo presidente americano, ecco anche il primo mondiale “nero”: e la portata storica non è troppo distante. Inutile però scomodare concetti troppo lontani per essere veri: una pallone non sconfigge il razzismo, l’Aids, la miseria e la delinquenza. Non lo ha mai fatto, né si illude di poterlo fare. Ma spesso porta messaggi positivi, belle storie, umanità diversa. Per tutto il resto il pallone dei grandi dovrà solo imparare. Specie nella terra di un uomo che, comunque vada a finire in campo, del Mondiale è il protagonista assoluto. Nelson Mandela lo ha già vinto senza giocarlo: non serviranno nemmeno quei pochi minuti di presenza fisica promessi oggi in tribuna per decretare che il gol più grande è il suo.
L’eterno “Madiba”, che ha anche trascorsi calcistici come dirigente di una squadra nella colonia penale di Robben Island, dove ha trascorso 27 stagioni della propria vita combattendo il pressing sporco dell’apartheid, a 92 anni vede coronarsi un altro sogno.
In quel carcere, lui e i suoi seguaci usarono il pallone come strumento di resistenza passiva: il calcio divenne l’emblema della passione dei neri da contrapporre al più nobile rugby, appannaggio e divertimento solo dei bianchi. Per questo non è esagerato dire che il Sudafrica com’è oggi non esisterebbe senza il calcio. E ora il Mondiale sulla terra sudafricana, ricca e stracciata, sanguinante e profonda, diventa l’ideale, incredibile proseguimento di quelle partite polverose nell’ora d’aria.
Qualsiasi chiave di lettura di Sudafrica 2010 che prescinda dal significato dirompente di una Coppa che sbarca in Africa con il suo corredo di speranze, storie, personaggi e colori, corre il rischio di risultare falsata. Il calcio resta un enorme collettore di valori, e soprattutto è un vero linguaggio universale: da oggi per un mese intero si guarderà al Continente Nero, e non per carestie o guerre, che pure non evaporano, ma per vedere che può esistere altro, anche in situazioni improbabili e violente. In questi casi si dice che il grande evento migliora la qualità della vita di tutto un popolo. Perché porta ricchezza, infrastrutture, investimenti. A conti fatti spesso il bilancio finale non è così idilliaco. Ma se a un successo organizzativo del Sudafrica, francamente difficile da ottenere, si aggiungesse quello tecnico, il messaggio sarebbe perfetto e compiuto: la prima volta dell’Africa in tutti i sensi. Sono sei le squadre presenti (Sudafrica, Ghana, Costa D’Avorio, Algeria, Camerun e Nigeria) tra le 32 finaliste, un record. Assolutamente improbabile che ce la facciano i “Bafana Bafana” di casa. Contro l’Italia campione del mondo che prova senza apparenti grandi possibilità a difendere il titolo, le favorite oltre al solito Brasile sono Argentina, Inghilterra e Spagna. Il vecchio mondo del pallone, insomma. Ma è un dato di fatto che nella storia del calcio finora solo il Brasile abbia vinto un Mondiale in un continente diverso dal proprio.
Via allora: grandi stadi, gol, sfide. E un popolo sullo sfondo che vuole vivere e farsi ammirare dal mondo. Senza illusioni, sia chiaro. Perché il Sudafrica, dove un terzo della popolazione vive senza energia elettrica, il Mondiale non lo vedrà nemmeno in televisione. Lo annuserà per strada, a piedi scalzi. Suonando trombe fastidiose, sventolando bandiere che magari nemmeno sa a chi appartengono. Sarà un popolo in festa, ma spettatore a casa propria. E questo, tra tifo e euforia, occorrerà non dimenticarlo.
Da Avvenire di martedì 8 giugno 2010
CORAGGIO E PAZIENZA: L’INSEGNAMENTO DEL PAPA NEI GIORNI DELLA VISITA A CIPRO
LA TELA DA RITESSERE di MIMMO MUOLO
I viaggi di Benedetto XVI, al di là del loro grande valore pastorale, si stanno rivelando un utile strumento per approfondire la conoscenza del pensiero e della personalità del Pontefice. È accaduto anche nella tre-giorni di Cipro, una visita che aveva all’inizio diversi fuochi d’interesse (pace in Medio Oriente e presenza dei cristiani, rapporto con gli ortodossi, dialogo con i musulmani i tre sicuramente preminenti), e che proprio nei giorni della vigilia si era colorata di tinte inopinatamente fosche a causa dell’attacco israeliano alle navi degli attivisti filo-palestinesi e dell’omicidio di monsignor Luigi Padovese.
Invece, una volta di più, Papa Ratzinger ha dimostrato di avere, di fronte alle acque agitate della cronaca, la fermezza propria di chi è stato chiamato a governare con saggezza la barca di Pietro. Non solo ha raccomandato di seguire la rotta della pace, della riconciliazione e del dialogo in tutti gli incontri della fitta agenda del viaggio. Ma ha anche fornito la bussola sicura per far sì che da quella rotta non ci si allontani anche quando il barometro dei rapporti tra i popoli e le religioni – e, purtroppo, continua ad accadere – si mette a tempesta. «Bisogna avere il coraggio e la pazienza di ricominciare sempre di nuovo», ha detto ai giornalisti nella consueta conferenza stampa tenuta sull’aereo durante il volo di andata. Più che una semplice esortazione, una regola d’oro che offre la cifra interpretativa non solo del viaggio, ma anche di tutte le bufere che questo pontificato ha attraversato in poco più di cinque anni. In sostanza, quasi capovolgendo la famosa immagine della tela di Penelope, Benedetto XVI invita a ritessere alla luce della retta ragione quello che altri distruggono e disfano nelle ombre di inumane passioni. Lo dice naturalmente in primis ai cristiani, ma con loro anche a tutti gli uomini di buona volontà, a partire da quelli che operano negli organismi politici nazionali e internazionali. Mai pensare che di fronte alla violenza, anche la più ingiusta ed efferata, nulla ci sia da fare. Al contrario, le vie della pace, proprio come quelle di Dio, sono infinite. Un messaggio, questo, che da Cipro risuona innanzitutto sulle vicine sponde del Medio Oriente martoriato. Ma che si può applicare anche ai rapporti cattolicoortodossi, alla ricerca della difficile soluzione della questione cipriota, al dialogo non sempre agevole con l’islam.
Pazienza e coraggio, dunque, per ricominciare a trattare, per fermare il bagno di sangue, per promuovere la pacifica convivenza tra cristiani, ebrei e musulmani. Pazienza e coraggio per non arrendersi di fronte alle «gelate» (che pure ci sono state e non molto tempo orsono) del cosiddetto «inverno ecumenico».
Pazienza e coraggio, infine, per ricordare a tutti (musulmani compresi) che i diritti umani hanno valore universale. E che, tra di essi, la libertà di religione e di coscienza non sono certamente degli optional.
Per Benedetto XVI queste non sono solo parole. Egli per primo ha mostrato di crederci a tal punto da applicarle anche quando per fraintendimenti causati in gran parte dai media (discorso di Regensburg e conseguente crisi con gli islamici, remissione della scomunica ai lefebvriani e problemi con gli ebrei) o per colpe altrui (questione dei preti pedofili) ha dovuto ritessere da capo rapporti e ricentrare attenzioni. Le stesse parole pronunciate sull’omicidio di monsignor Padovese si iscrivono in questo contesto.
Cioè nella profonda convinzione di un uomo del Vangelo che ha in Cristo la vera pace e non si stanca di annunciarla al mondo, vivendola ogni giorno. Anche quando le vicende della vita costringono a ricominciare da capo. Con coraggio e pazienza.
Da Avvenire di domenica 6 giugno 2010
IL «SEGNO» CRISTIANO
PER NON PERDERSI NEI MEANDRI DI UNA STORIA SPEZZATA
LUIGI GENINAZZI
L’affermazione suona quasi provocatoria, ma è lo stile a cui ci ha abituato il Papa-teologo. «Il mondo ha bisogno della croce », ha detto ieri sera Benedetto XVI, nell’unica omelia finora tenuta nel corso della visita a Cipro.
E forse val la pena partire da qui, da queste parole pronunciate significativamente nella chiesa di Santa Croce, circondata dal filo spinato lungo la linea di demarcazione che divide in due il Paese, per capire il senso profondo di un viaggio difficile in una terra lacerata.
A Cipro, crocevia politico e religioso di identità e conflitti, c’è il rischio di perdersi nei meandri di una storia che ha spezzato la geografia con la violenza di una guerra civile le cui ferite, dopo trentasei anni, non si sono ancora rimarginate. Ma solo la croce, dice il Papa, può porre fine all’odio e a sofferenze come quelle che sono state ricordate più volte in questi giorni dalle autorità cipriote. Di fronte ai discorsi roboanti del capo della Chiesa ortodossa che ha voluto far sentire il suo grido di dolore a tutto il mondo, denunciando l’occupazione turca e la profanazione continua degli edifici religiosi, qualcuno forse si sarà meravigliato del tono apparentemente remissivo tenuto dal Pontefice. Ma sarebbe sbagliato considerarlo semplicemente frutto di una prudenza diplomatica. Al contrario è l’esito di quella «pazienza del bene», come ha detto Benedetto XVI con un’espressione inedita e suggestiva, che dovrebbe essere l’atteggiamento di coloro che credono nella realtà misteriosa ed efficace della croce.
È questo il messaggio fondamentale che il Papa sta delineando durante quest’intensa visita pastorale. La pace ha bisogno dei cristiani che hanno «un ruolo insostituibile per la riconciliazione tra i popoli», una riflessione che non a caso si sviluppa in questo lembo di Terra Santa, nell’isola che vide il primo viaggio missionario di San Paolo ed oggi intende essere ponte tra cattolicesimo e mondo ortodosso, tra Europa e Medio Oriente. È un messaggio rivolto prima di tutto all’interno della Chiesa, ai cattolici che devono essere promotori di «una maggiore unità nella carità con gli altri cristiani ma anche del dialogo interreligioso», ha ricordato il pastore della Chiesa universale al piccolo gregge che spesso si è sentito abbandonato e dimenticato.
La visita di Benedetto XVI, la prima di un Papa a Cipro in duemila anni di storia, ha rappresentato un evento colmo di gioia e consolazione per la minoranza cattolica dell’isola. Ma il Pontefice è andato oltre e l’ha invitata a trasformare il peso storico delle sofferenze in opportunità di dialogo con i musulmani. Una sfida coraggiosa se si pensa che è stata lanciata a chi dovette subire l’islamizzazione forzata nel nord dell’isola. Parole molto impegnative che hanno avuto un riscontro concreto nell’abbraccio caloroso tra il Papa ed uno sceicco musulmano della comunità turco-cipriota, un gesto carico di simbolismo avvenuto lungo la 'linea verde' che taglia in due l’ultimo Paese diviso d’Europa dopo la caduta del Muro di Berlino. «I musulmani sono nostri fratelli», ha detto Benedetto XVI sull’aereo che lo portava a Cipro, un’espressione che finora era stata usata solo da Giovanni Paolo II. Una fratellanza non facile in Terra Santa dove si fa sentire il peso quotidiano delle sofferenze e i cristiani sono tentati d’andarsene. Ma chi rimane diventa «un segno straordinario di speranza per tutti quanti vivono nella regione ».
Ecco perché il mondo ha bisogno della croce.
Da Avvenire di martedì 8 giugno 2010
IL PAPA ALL’ANGELUS
Il zelante servizio e il martirio di padre Jerzy sono particolare segno della vittoria del bene sul male. Il suo esempio e la sua intercessione accrescano lo zelo dei sacerdoti e infiammino d’amore i fedeli laici
POPIELUSZKO, LA VITTORIA DEL BENE DA ROMA GIANNI CARDINALE
« I regimi passano come temporali d’estate lasciando solo macerie, ma la Chiesa e i suoi figli restano per beneficare l’umanità con il dono della carità senza limiti». È stato questo uno dei passaggi forti dell’omelia dell’arcivescovo Angelo Amato nella Messa di domenica a Varsavia per la beatificazione di padre Jerzy Popieluszko, il cappellano di Solidarnosc ucciso in odio alla fede dalla polizia comunista 26 anni fa. Un evento che - come ha raccontato la Radio Vaticana - nella piazza Pilsudski ha raccolto 150 mila fedeli e che ha visto la concelebrazione di oltre cento vescovi e duemila sacerdoti. Alla cerimonia c’era anche la madre novantenne di padre Popieluszko, Marianna.
Dando inizio alla cerimonia l’arcivescovo di Varsavia, Kazimierz Nycz, ha definito l’evento «un grande giorno per la Chiesa di Polonia e la patria».
Nell’omelia, il prefetto della Congregazione delle cause dei santi, l’arcivescovo salesiano Amato, ha ripercorso la vita dell’eroico sacerdote assassinato a 37 anni. Padre Jerzy, ha ricordato l’arcivescovo, non era un omicida, un terrorista, ma solo un «leale sacerdote cattolico», figlio di quella Polonia sottoposta al regime comunista dove «religione, Vangelo, dignità delle persona umana, libertà, non erano concetti in sintonia con l’ideologia marxista ». Cosicché contro quel giovane prete si scatenò «la furia omicida del grande mentitore, nemico di Dio e oppressore dell’umanità, di colui che odia la verità e diffonde la menzogna». Quella ideologia però «non sopportava lo splendore della verità e giustizia» e «per questo l’inerme» Popieluszko «fu spiato, perseguitato, catturato, torturato » e infine ucciso. Ma, ha spiegato Amato, «il sacrificio» di quel giovane prete «non fu una sconfitta», perché «i suoi carnefici non potevano uccidere la Verità». «La tragica morte del nostro martire infatti – ha aggiunto – fu l’inizio di una generale riconversione dei cuori al Vangelo. La morte dei martiri è il seme dei cristiani». Ed è proprio per questo che, ha evidenziato Amato, la beatificazione dell’eroico prete polacco «costituisce una memorabile giornata di esultanza per la nazione».
Dopo aver sottolineato come il nuovo beato traeva la forza della sua testimonianza dall’Eucaristia che la celebrazione della messa fu il suo ultimo gesto da vivo il 19 marzo 1984, il prefetto della Congregazione delle cause dei santi ha ribadito come il martire fosse «consapevole che il male della dittatura traeva le sue origini da Satana» e «per questo esortava a vincere il male con il bene e con la grazia del Signore».
Durante il viaggio a Cipro anche Benedetto XVI ha rivolto un personale pensiero al nuovo beato. Introducendo la preghiera dell’Angelus con i fedeli convenuti nel Palazzo dello Sport Eleftheria a Nicosia, ha detto: «Rivolgo un cordiale saluto alla Chiesa in Polonia, che oggi gioisce dell’elevazione agli altari del padre Jerzy Popieluszko». «Il suo zelante servizio e il martirio – ha subito aggiunto – sono particolare segno della vittoria del bene sul male. Il suo esempio e la sua intercessione accrescano lo zelo dei sacerdoti e infiammino d’amore i fedeli laici».
Da Avvenire di martedì 8 giugno 2010
Pronta una serie di misure per calibrare le tariffe di alcuni servizi comunali sulle esigenze delle famiglie con figli o che tengono in casa un anziano
PARMA FA SCUOLA. ECCO IL QUOZIENTE ROMA
DA ROMA GIANNI SANTAMARIA
Dopo Parma, anche Roma diventa sempre più a misura di famiglia. Due realtà demograficamente (ed economicamente) diverse, ma accomunate dalla volontà di aiutare le famiglie. Ieri l’Udc ha illustrato la sua proposta del Quoziente Roma per andare incontro alle coppie sulle tariffe di alcuni servizi che hanno in casa figli o anziani (o che sono composte da questi ultimi). E ha registrato la consonanza del sindaco Gianni Alemanno - che nel capoluogo emiliano a fine maggio si è impegnato nel network dei Comuni pro quoziente - a lavorare insieme per condurre in porto, pur tra le difficoltà del bilancio in via di definizione, misure a favore del nucleo fondamentale della società. La proposta ha il suo apprezzamento, «ora si tratta di vedere quali siano gli strumenti tecnici per attuarla al meglio». In vista di una riforma urgente che, però è necessario «sia presa all’unanimità».
Non si tratta di «fare una gara a chi è arrivato prima, ma di passare all’attuazione concreta, al di là delle bandiere», ha premesso il capogruppo centrista al Campidoglio Alessandro Onorato, promotore di una delibera che ha già ottenuto il parere favorevole di alcuni dipartimenti. Ma che ancora deve arrivare all’aula consiliare (dove già è passata una delibera quadro della maggioranza).
In sostanza si tratta di una riparametrazione delle tariffe di alcuni servizi - asili nido, refezione e trasporti scolastici, residenze sanitarie assistite, in prospettiva anche l’addizionale Irpef - applicando dei coefficienti di riduzione all’indicatore Isee (Indicatore della situazione economica equivalente) crescenti in base al numero dei figli, all’età (fino a 24 anni, in modo da incentivare modelli virtuosi negli studi e non trasformarsi in assistenzialismo), alla presenza di anziani over 65 o di disabili. «L’indicatore Isee, che è del 1998, non tiene il passo con la situazione attuale e non può essere modificato, perché si tratta di un decreto governativo», spiega Onorato. Ma corretto sì. Ed è una misura urgente. A Roma, infatti, ci sono circa 1 milione e 300mila famiglie (con sempre meno prole). Ma soprattutto ben 445mila hanno al loro interno almeno un anziano (tra le quali 102mila sono famiglie con figli che ne hanno uno a carico).
È evidente il ruolo di ammortizzatore sociale che esse svolgono. Lo ha evidenziato il segretario dell’Udc Lorenzo Cesa, che ha sottolineato anche come non a caso la crisi ha colpito meno l’ltalia «grazie al risparmio delle famiglie». E ha dato la disponibilità a un intesa in Campidoglio sul tema, oltre a promettere un sostegno alle esigenze dell’Urbe nella discussione parlamentare sulla manovra.Insomma, sulla Capitale rimbalza l’effetto Polverini. E, in attesa dell’ingresso in giunta dell’Udc (alleata in Regione, ma all’opposizione al Comune) Alemanno ribadisce che occorre «una percezione trasversale, un cambiamento che serve a rafforzare il ruolo della famiglia, una sfida politica, dalla quale è necessario partire per essere di esempio a livello nazionale».
Perché «la vera riforma fiscale è il quoziente familiare». Non a caso anche dalla Pisana hanno spinto per l’introduzione del quoziente nel Lazio anche i due assessori 'in pectore' Aldo Forte e Luciano Ciocchetti. E in stile bipartisan il vicepresidente del Consiglio regionale Bruno Astorre (Pd). Anche l’associazionismo familiare era presente con il presidente del Forum del Lazio (48 associazioni, in rappresentanza di circa 150 mila famiglie e 400 mila persone) Gianluigi de Palo, all’incontro di illustrazione delle misure. «Che vanno bene. Ma che devono essere realizzate sempre più con il coinvolgimento del Paese reale. Cioè delle famiglie, alle quali va riconosciuto anche un protagonismo sociale e culturale».
Da Avvenire di domenica 6 giugno 2010
In Friuli Venezia Giulia un «assegno di natalità», in Sardegna un piano per chi ha 4 figli, la «Prima dote» in Puglia, ai nuclei calabresi solo i tagli della politica
REGIONI & MATERNITÀ PERCORSO A OSTACOLI
Contributi alle mamme, fondi per le famiglie indigenti. Ma in gran parte del Paese non ci sono iniziative mirate
DI DANIELA POZZOLI
Ci sono Regioni italiane che spendono parecchio per sostenere le donne che abortirebbero se non avessero un aiuto economico durante la gravidanza; ci sono Regioni che hanno intenzione di 'imitare' chi è più avanti, ma che non hanno ancora messo mano al portafoglio. Chi ha Fondi dedicati al sostegno delle famiglie, chi proprio non ha tra le priorità questo tipo di aiuto, anche solo per mancanza di copertura finanziaria. Dopo l’iniziativa della Lombardia (il «Nasko» appena varato, vedi box a destra) facciamo il punto.
Mamme e nuovi nati
Il Friuli Venezia Giulia stanzia 5 milioni di euro l’anno per l’«assegno di natalità», suddivisi tra primo nato, figli successivi e gemelli. L’assegno esiste dal 1993, ma ha avuto una battuta d’arresto nel 2006 per poi essere ripristinato nel 2007 con effetto retroattivo. Requisito: risiedere da 5 anni in regione.
In fase di studio l’assegnazione di un budget per le gestanti in difficoltà. Si chiama invece assegno «Prima dote» e ammontava a 500 euro la misura assunta in Puglia tra il 2008 e il 2009. Il 3 maggio 2010 è scaduto il nuovo bando per il contributo «Prima dote» ai bambini tra 0 e 36 mesi; prevede un contributo mensile per un anno: 200 euro fino a 4.000 di reddito; 150 euro tra i 4.000 e i 5.000; 200 euro se si ha un figlio e un disabile. Lo stanziamento complessivo è di 5 milioni.
In Piemonte le politiche di tutela della maternità rientrano sotto la voce «Percorso nascita», un ampio programma coordinato tra Regione, Asl e Comuni. Tutte le donne incinte ricevono le impegnative mutualistiche esenti da ticket, gratis il corso pre-parto. Per le donne gravide con difficoltà economiche ci sono aiuti nell’assegnazione di alloggi in edilizia convenzionata, inserimento in case-famiglia e visite domiciliari.
Un contributo diretto viene assegnato nella Provincia autonoma di Bolzano alle strutture per mamme in difficoltà gestite dal Movimento per la vita o dalla Provincia (la Casa della madre), tramite finanziamenti previsti dalla legge 13 del ’91.
Nella Provincia autonoma di Trento vengono sostenuti i centri di accoglienza per madri in difficoltà (per lo più Cav) tramite un contributo alle spese gestionali.
La Valle d’Aosta, in sostegno alla maternità, nel 2007 ha approvato un assegno post-natale per i bimbi nati dopo il 1° luglio 2007 o che compiano il primo o il secondo anno a partire da quella data: per il 1° figlio 575 euro l’anno; per il 2° figlio 856 euro; per il 3° figlio 1.154. Dal 3° in poi l’aumento è di 286 euro l’anno.
In Molise le «Disposizioni a tutela della maternità delle donne non occupate » risalgono al 12 gennaio 2000 e sono ancora in vigore: veniva allora istituito un Fondo che copriva i due mesi precedenti il parto e i tre successivi. Si parlava di 500mila lire mensili, con adeguamento Istat (e oggi con i fondi in euro). Il «bonus» saliva a un milione di lire per ogni altro figlio a carico.
Contributi alle famiglie
La Liguria eroga 2 milioni di euro per i consultori sia privati che pubblici e per i centri anti-violenza. Il «Progetto famiglia» aiuta nuclei con 4 o più figli. È del 16 febbraio 2010 la legge regionale dell’Umbria che all’articolo 17 assicura la copertura finanziaria (3 milioni) in favore delle famiglie più esposte al disagio e alla povertà. La giunta regionale ha appena messo a disposizione un ulteriore milione di euro «per affrontare il tema delle famiglie vulnerabili in questo momento straordinario». Le Marche, data la carenza di fondi, difficilmente introdurranno un bonus come quello della Lombardia, ma la legge regionale 30 del 1998 (un milione e 100mila euro di stanziamenti) prevede, tra le altre cose, il sostegno alla natalità, all’adozione e al finanziamento di progetti di solidarietà per le donne in difficoltà, non sposate, gravide e per ragazze-madri.
La giunta regionale della Sardegna punta sul «capitale sociale bebè» e ha approvato proprio questa settimana il «bonus famiglia»: aiuti per i 3mila nuclei, residenti in Sardegna al 30 aprile 2010, con 4 o più figli. Il contributo è di 1.000 euro per ciascuna famiglia.
Lunedì scorso il Consiglio regionale della Calabria ha invece dato l’ok a un progetto di legge che prevede la riduzione del costo della politica di 1,3 milioni di euro. I risparmi finanzieranno la legge regionale sulla famiglia del 2004, che era rimasta in un cassetto.
La Regione Emilia-Romagna assegna prestiti sull’onore a famiglie in difficoltà con figli minorenni, a tasso zero e con un piano di restituzione concordato. Il prestito riguarda persone, singole o in coppia, che abbiano o stiano per avere figli.
La Regione Veneto punta al sostegno concreto alla natalità mediante misure a favore delle famiglie con tre figli quali interventi sulle tariffe di elettricità, gas, rifiuti, trasporto pubblico.
Progetti in vista
La Regione Basilicata potrebbe presto adottare un provvedimento che ricalca, nelle linee fondamentali, quello scelto dalla Regione Lombardia per le mamme in difficoltà. Una scelta che affronterà dopo l’estate.
Nel Lazio la proposta è di istituire un «bonus mamme» di 250 euro per 18 mesi.
A sostegno della maternità la Toscana vorrebbe destinare (il provvedimento è ancora da approvare) 2mila euro l’anno alle mamme in difficoltà, mentre per ha chi ha un figlio nato nel 2010, è a basso reddito e vive in un alloggio in affitto vengono dati contributi per pagare affitto e retta del nido.
La Sicilia punta a riorganizzare i consultori stanziando 4 milioni e 400mila euro, la Campania vantava 5 anni fa un «reddito di cittadinanza», 500 euro al mese per le famiglie bisognose, che oggi, per mancanza di copertura finanziaria, è scomparso.
Stessa carenza di fondi in Abruzzo dove l’unica legge a favore delle donne incinte e disoccupate risale al ’97, ma dal 2000 se ne è persa traccia.
Da Avvenire di mercoledì 9 giugno 2010
LA LETTERA DEI VESCOVI AI SACERDOTI
GRAZIE A OGNUNO E ALL’UNO D’ESEMPIO
DAVIDE RONDONI
La cosa peggiore è quando ti riducono a una categoria.
Quando non esisti più come persona ma esiste solo la categoria a cui qualcuno vuole ridurti. Specie quando ti vogliono imputare qualcosa. E dicono, che so: i rossi. Oppure: i gialli. Oppure: i neri. Oppure: i preti.
In questi mesi ne abbiamo sentite sui preti.
Notizie brutte, orrende. E poi soprattutto un sacco di chiacchiere, di battute grevi. Di offese generalizzate. Ben oltre il perimetro dei fatti, e del dolore dei fatti. Ben oltre l’amore per la verità, anzi spesso in spregio della verità. È stato così, ne abbiamo sentito di tutti i colori. Offese. Ingiurie.
Pronunciate pure con sussiego e espressione finto-intelligente in salotti tv o sui giornali. Accuse generalizzate, perché se si doveva stare e ragionare sui casi singoli, sulle faccende particolari, si doveva smettere il facile mestiere del moralista. E vedere i casi singoli di ogni genere, non solo del genere preso a bersaglio. Insomma, si doveva generalizzare l’accusa sui preti per nascondere una realtà orrenda che invece riguarda tutti. E che riguarda l’idea di giustizia che abbiamo per ciascuno di noi, per la vita di ciascuno di noi.
E ora finalmente qualcuno, invece di accusarli genericamente, li ringrazia uno per uno, i preti.
Ma non come categoria, come persone, una a una. I preti italiani. Il don Luigi e il don Beppe. Il don Maurizio e il don Gabriele. Uomini con quei nomi a cui il 'don' messo davanti, da segno di rispetto e deferenza, si voleva far diventare segno di sospetto e di marchiamento. Per fortuna però – Avvenire l’ha già scritto – la gente conosce bene i suoi preti. E ora c’è chi dice pubblicamente, esemplarmente, grazie a questi uomini. A ognuno di loro. Per l’opera che compiono. L’opera che si vede di dedizione alle persone. E per l’opera che non si vede mai del tutto, di dedizione a Dio. Per le due opere che sono una. Che hanno il medesimo fuoco. I due gesti che sono uno. Come i due lati del comandamento evangelico: ama Dio e il prossimo tuo.
Non fan questo i preti? E in cambio di cosa lo fanno, verrebbe da chiedersi? Un tempo, forse, c’era qualche privilegio. Insomma, poteva esserci qualche convenienza a fare il prete. O almeno così dicevano le battute del popolo. Ora invece la stragrande maggioranza di loro tira la cinghia, ricava battute e risolini nei salotti bene e sui media, passa i giorni a misurarsi con realtà d’impegno, di difficoltà e di degrado da cui troppi altri – soprattutto tra chi ha potere – restano distanti. E magari neanche uno straccio di pubblico ringraziamento.
Per questo le parole della lettera dell’Assemblea dei vescovi italiani che ringrazia e incoraggia i preti italiani non sono retorica. Non sono frasi di circostanza come troppe se ne sentono. Non si tratta di un comandante che rincuora le sue truppe in un momento difficile. Non sono le parole che i vertici di un’associazione di categoria rivolge ai suoi affiliati Anzi, sono parole rivolte a ciascuno, non alla categoria. È un ringraziamento speciale. Che pesa in modo speciale in questo momento. E perciò rincuora.
Come dice bene il cardinal Hummes nelle pagine che seguono, infatti, l’esempio di uno – che si è dato, nel suo servizio, il nome di Benedetto – si è accompagnato a quelle parole per tutto l’anno sacerdotale che sta terminando. Nella lettera della Cei non viene indicato un programma generico, come per ottenere un’adesione generale della categoria. Perché per tutto l’anno la storia e la fede dei semplici ci ha indicato l’esempio di uno, così che ciascun sacerdote posi gli occhi suoi, il suo personale cuore, la sua personalissima storia davanti a quell’esempio concreto, ai gesti e alle parole di uno di loro. Perché nella vita reale la vita di un uomo non riprende coraggio e forza grazie solo alle parole. Ma perché vede uno, un uomo, che lo invita con l’esempio, e che è sulla stessa strada.
Da PiuVoce.net del 11 Giugno 2010
Libération rivela che le francesi non ne possono più degli ormoni quotidiani
LE DONNE DEGLI ANNI DIECI LIBERATE DALLA ``PILLOLA``
di Nicoletta Tiliacos
In occasione dei cinquant’anni della pillola non potevano che intensificarsi le lamentele sulle italiane indisciplinate e un po’ troglodite, che continuano a trascurare i contraccettivi orali e non imitano le giudiziose cugine d’Oltralpe, campionesse mondiali di uso della pillola, adottata dal sessanta per cento delle donne francesi in età fertile. Ma basta leggere un articolo apparso il 9 giugno sul quotidiano Libération (molto laico e di sinistra), per capire che forse le italiane così fesse non sono.
Una serie di ginecologi, interpellati dalla giornalista Olivia Marsaud, raccontano che sono sempre più numerose le donne decise a farla finita con la quotidiana dose di ormoni per silenziare la fecondità. Queste donne che “non ne possono più”, come dichiara una di loro, hanno più o meno lo stesso profilo: “Giovani donne attive, dai venticinque ai trentacinque anni, sotto pillola da più di dieci anni o più, la maggior parte in coppia stabile da molti anni”. Interessantissime le motivazioni. Louise, trentadue anni, da sei mesi ha smesso di prendere la pillola perché non ne sopportava più “l’aspetto ‘dogmatico’, come se fosse l’unico mezzo di contraccezione” e per quell’impressione “di non aver mai avuto scelta”. Un’altra pentita della pillola, Nadia, dice di aver smesso “per non trattare più il mio corpo come uno straniero”.
La pillola quotidiana, il “gesto di libertà” osannato negli anni Sessanta, alle giovani donne degli anni Dieci appare sempre più come una costrizione.
www.piuvoce.net
Da Avvenire di mercoledì 9 giugno 2010
Da Tv2000 e Cei le immagini con la sintesi del convegno e le idee per gli animatori
TESTIMONI DIGITALI, ECCO IL VIDEO
Sempre attivo il sito Internet del grande convegno di fine aprile a Roma, con numerosi contenuti interattivi e una ricca galleria fotografica
DI VINCENZO GRIENTI
Meno di un quarto d’ora di filmato per raccontare il convegno nazionale «Testimoni digitali. Volti e linguaggi nell’era crossmediale» (Roma, 22-24 aprile 2010) 'caricato' e disponibile nel sito Internet www.testimonidigitali.it che continua ad essere aggiornato e attivo in numerose sezioni a partire proprio dal 'mediacenter'. Il video, curato dall’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali e da Tv2000 anche per mettere a disposizione di animatori e Portaparola uno strumento pratico di conoscenza e orientamento, è stato proiettato durante l’assemblea generale della Conferenza episcopale italiana di fine maggio scorso e racconta tre giorni di incontri, di scambio di idee, di confronto sui mezzi di comunicazione sociale e sul loro impatto nella cultura di oggi. A parlare sono i protagonisti che hanno animato il convegno nazionale promosso dalla Commissione episcopale per la Cultura e le comunicazioni sociali e organizzato dall’Ufficio nazionale e dal Servizio nazionale per il progetto culturale della Cei. Il video si apre con le parole che Benedetto XVI ha rivolto agli oltre 8mila partecipanti all’udienza del 24 aprile nell’Aula Paolo VI, in Vaticano. «Il tempo che viviamo conosce un enorme allargamento delle frontiere della comunicazione, realizza un’inedita convergenza tra i diversi media e rende possibile l’interattività – esorta il Pontefice –. La rete manifesta, dunque, una vocazione aperta, tendenzialmente egualitaria e pluralista, ma nel contempo segna un nuovo fossato: si parla, infatti, di digital divide .
Esso separa gli inclusi dagli esclusi e va ad aggiungersi agli altri divari, che già allontanano le nazioni tra loro e anche al loro interno».
Il sito Internet del convegno ha registrato nei soli 2 giorni di lavori oltre 200mila accessi e circa 19mila utenti unici alla diretta online. Ciò è stato reso possibile grazie anche alla sinergia di Avvenire, Tv2000 , Radio InBlu e dell’Agenzia Sir . «È sicuramente un modo per ripercorrere quei giorni indimenticabili – scrive per email Giorgio, 24 anni, di Salerno –. Per rivedere i volti e non dimenticare le parole del Papa». Tra le sezioni del sito Internet più attive, a parte l’area news e quella del 'mediacenter', c’è anche la pagina della ricerca «Relazioni comunicative e affettive dei giovani nello scenario digitale», dell’Università Cattolica di Milano, disponibile all’indirizzo www.testimonidigitali.it/ricer ca. Diretta dall’antropologa dei media Chiara Giaccardi, che ha coordinato un gruppo di ricercatori, la ricerca ancora coinvolge attivamente tramite la compilazione del questionario (in via del tutto anonima) che può essere rispedito tramite posta elettronica all’indirizzo ricerca@testimonidigitali.it.
Sono ancora disponibili, poi, le puntate radiofoniche di Radio Digit, la rubrica promossa in collaborazione con l’Associazione Weca, e i numeri del periodico free press DigitNews . A ciò si aggiunge un’ampia galleria fotografica che ripercorre i momenti più belli del convegno.
La Libreria San Paolo, presente a Ravenna da più di 40 anni per merito delle Suore Paoline, è stata rilevata dall'Opera di Religione della Diocesi di Ravenna nel 1999, mantenendo il carattere di libreria religiosa.
La Libreria San Paolo costituisce un'importante realtà, poiché rappresenta, attualmente, l'unica attività della zona in cui si possano reperire libri religiosi e riviste cattoliche.
Presso la libreria è disponibile una vasta gamma di altri articoli, come dvd (specialmente per film d'autore, pellicole rare, film per la famiglia), spartiti musicali, recital per scuole elementari e materne, musicassette e compact disc (raccolte di musica religiosa, musica classica e operistica), editoria elettronica, stampe sacre e messaggi visivi.
Libreria San Paolo Via Pietro Canneti Ravenna
IL PALLONE, UN PAESE, IL CONTINENTE NERO
QUESTO MONDIALE DA GUARDARE UN MONDO DA CAPIRE
ALBERTO CAPROTTI
Un Mondiale di calcio. In Africa. Il circo dello sportbusiness più ricco del mondo paracadutato in una delle terre più derelitte del pianeta. Sembrava follia, ora è realtà. Quando oggi pomeriggio a Johannesburg verrà fischiato il calcio d’avvio di Sudafrica-Messico, un Paese e un continente intero si renderanno conto che non sono chiamati a vincere una Coppa che sanno benissimo di non poter vincere, ma di giocare per un trofeo più importante. Quello dell’orgoglio, della credibilità di fronte al mondo, e della speranza. Termini che questa volta almeno, contengono più senso che retorica.
Dopo il primo presidente americano, ecco anche il primo mondiale “nero”: e la portata storica non è troppo distante. Inutile però scomodare concetti troppo lontani per essere veri: una pallone non sconfigge il razzismo, l’Aids, la miseria e la delinquenza. Non lo ha mai fatto, né si illude di poterlo fare. Ma spesso porta messaggi positivi, belle storie, umanità diversa. Per tutto il resto il pallone dei grandi dovrà solo imparare. Specie nella terra di un uomo che, comunque vada a finire in campo, del Mondiale è il protagonista assoluto. Nelson Mandela lo ha già vinto senza giocarlo: non serviranno nemmeno quei pochi minuti di presenza fisica promessi oggi in tribuna per decretare che il gol più grande è il suo.
L’eterno “Madiba”, che ha anche trascorsi calcistici come dirigente di una squadra nella colonia penale di Robben Island, dove ha trascorso 27 stagioni della propria vita combattendo il pressing sporco dell’apartheid, a 92 anni vede coronarsi un altro sogno.
In quel carcere, lui e i suoi seguaci usarono il pallone come strumento di resistenza passiva: il calcio divenne l’emblema della passione dei neri da contrapporre al più nobile rugby, appannaggio e divertimento solo dei bianchi. Per questo non è esagerato dire che il Sudafrica com’è oggi non esisterebbe senza il calcio. E ora il Mondiale sulla terra sudafricana, ricca e stracciata, sanguinante e profonda, diventa l’ideale, incredibile proseguimento di quelle partite polverose nell’ora d’aria.
Qualsiasi chiave di lettura di Sudafrica 2010 che prescinda dal significato dirompente di una Coppa che sbarca in Africa con il suo corredo di speranze, storie, personaggi e colori, corre il rischio di risultare falsata. Il calcio resta un enorme collettore di valori, e soprattutto è un vero linguaggio universale: da oggi per un mese intero si guarderà al Continente Nero, e non per carestie o guerre, che pure non evaporano, ma per vedere che può esistere altro, anche in situazioni improbabili e violente. In questi casi si dice che il grande evento migliora la qualità della vita di tutto un popolo. Perché porta ricchezza, infrastrutture, investimenti. A conti fatti spesso il bilancio finale non è così idilliaco. Ma se a un successo organizzativo del Sudafrica, francamente difficile da ottenere, si aggiungesse quello tecnico, il messaggio sarebbe perfetto e compiuto: la prima volta dell’Africa in tutti i sensi. Sono sei le squadre presenti (Sudafrica, Ghana, Costa D’Avorio, Algeria, Camerun e Nigeria) tra le 32 finaliste, un record. Assolutamente improbabile che ce la facciano i “Bafana Bafana” di casa. Contro l’Italia campione del mondo che prova senza apparenti grandi possibilità a difendere il titolo, le favorite oltre al solito Brasile sono Argentina, Inghilterra e Spagna. Il vecchio mondo del pallone, insomma. Ma è un dato di fatto che nella storia del calcio finora solo il Brasile abbia vinto un Mondiale in un continente diverso dal proprio.
Via allora: grandi stadi, gol, sfide. E un popolo sullo sfondo che vuole vivere e farsi ammirare dal mondo. Senza illusioni, sia chiaro. Perché il Sudafrica, dove un terzo della popolazione vive senza energia elettrica, il Mondiale non lo vedrà nemmeno in televisione. Lo annuserà per strada, a piedi scalzi. Suonando trombe fastidiose, sventolando bandiere che magari nemmeno sa a chi appartengono. Sarà un popolo in festa, ma spettatore a casa propria. E questo, tra tifo e euforia, occorrerà non dimenticarlo.
Da Avvenire di martedì 8 giugno 2010
CORAGGIO E PAZIENZA: L’INSEGNAMENTO DEL PAPA NEI GIORNI DELLA VISITA A CIPRO
LA TELA DA RITESSERE di MIMMO MUOLO
I viaggi di Benedetto XVI, al di là del loro grande valore pastorale, si stanno rivelando un utile strumento per approfondire la conoscenza del pensiero e della personalità del Pontefice. È accaduto anche nella tre-giorni di Cipro, una visita che aveva all’inizio diversi fuochi d’interesse (pace in Medio Oriente e presenza dei cristiani, rapporto con gli ortodossi, dialogo con i musulmani i tre sicuramente preminenti), e che proprio nei giorni della vigilia si era colorata di tinte inopinatamente fosche a causa dell’attacco israeliano alle navi degli attivisti filo-palestinesi e dell’omicidio di monsignor Luigi Padovese.
Invece, una volta di più, Papa Ratzinger ha dimostrato di avere, di fronte alle acque agitate della cronaca, la fermezza propria di chi è stato chiamato a governare con saggezza la barca di Pietro. Non solo ha raccomandato di seguire la rotta della pace, della riconciliazione e del dialogo in tutti gli incontri della fitta agenda del viaggio. Ma ha anche fornito la bussola sicura per far sì che da quella rotta non ci si allontani anche quando il barometro dei rapporti tra i popoli e le religioni – e, purtroppo, continua ad accadere – si mette a tempesta. «Bisogna avere il coraggio e la pazienza di ricominciare sempre di nuovo», ha detto ai giornalisti nella consueta conferenza stampa tenuta sull’aereo durante il volo di andata. Più che una semplice esortazione, una regola d’oro che offre la cifra interpretativa non solo del viaggio, ma anche di tutte le bufere che questo pontificato ha attraversato in poco più di cinque anni. In sostanza, quasi capovolgendo la famosa immagine della tela di Penelope, Benedetto XVI invita a ritessere alla luce della retta ragione quello che altri distruggono e disfano nelle ombre di inumane passioni. Lo dice naturalmente in primis ai cristiani, ma con loro anche a tutti gli uomini di buona volontà, a partire da quelli che operano negli organismi politici nazionali e internazionali. Mai pensare che di fronte alla violenza, anche la più ingiusta ed efferata, nulla ci sia da fare. Al contrario, le vie della pace, proprio come quelle di Dio, sono infinite. Un messaggio, questo, che da Cipro risuona innanzitutto sulle vicine sponde del Medio Oriente martoriato. Ma che si può applicare anche ai rapporti cattolicoortodossi, alla ricerca della difficile soluzione della questione cipriota, al dialogo non sempre agevole con l’islam.
Pazienza e coraggio, dunque, per ricominciare a trattare, per fermare il bagno di sangue, per promuovere la pacifica convivenza tra cristiani, ebrei e musulmani. Pazienza e coraggio per non arrendersi di fronte alle «gelate» (che pure ci sono state e non molto tempo orsono) del cosiddetto «inverno ecumenico».
Pazienza e coraggio, infine, per ricordare a tutti (musulmani compresi) che i diritti umani hanno valore universale. E che, tra di essi, la libertà di religione e di coscienza non sono certamente degli optional.
Per Benedetto XVI queste non sono solo parole. Egli per primo ha mostrato di crederci a tal punto da applicarle anche quando per fraintendimenti causati in gran parte dai media (discorso di Regensburg e conseguente crisi con gli islamici, remissione della scomunica ai lefebvriani e problemi con gli ebrei) o per colpe altrui (questione dei preti pedofili) ha dovuto ritessere da capo rapporti e ricentrare attenzioni. Le stesse parole pronunciate sull’omicidio di monsignor Padovese si iscrivono in questo contesto.
Cioè nella profonda convinzione di un uomo del Vangelo che ha in Cristo la vera pace e non si stanca di annunciarla al mondo, vivendola ogni giorno. Anche quando le vicende della vita costringono a ricominciare da capo. Con coraggio e pazienza.
Da Avvenire di domenica 6 giugno 2010
IL «SEGNO» CRISTIANO
PER NON PERDERSI NEI MEANDRI DI UNA STORIA SPEZZATA
LUIGI GENINAZZI
L’affermazione suona quasi provocatoria, ma è lo stile a cui ci ha abituato il Papa-teologo. «Il mondo ha bisogno della croce », ha detto ieri sera Benedetto XVI, nell’unica omelia finora tenuta nel corso della visita a Cipro.
E forse val la pena partire da qui, da queste parole pronunciate significativamente nella chiesa di Santa Croce, circondata dal filo spinato lungo la linea di demarcazione che divide in due il Paese, per capire il senso profondo di un viaggio difficile in una terra lacerata.
A Cipro, crocevia politico e religioso di identità e conflitti, c’è il rischio di perdersi nei meandri di una storia che ha spezzato la geografia con la violenza di una guerra civile le cui ferite, dopo trentasei anni, non si sono ancora rimarginate. Ma solo la croce, dice il Papa, può porre fine all’odio e a sofferenze come quelle che sono state ricordate più volte in questi giorni dalle autorità cipriote. Di fronte ai discorsi roboanti del capo della Chiesa ortodossa che ha voluto far sentire il suo grido di dolore a tutto il mondo, denunciando l’occupazione turca e la profanazione continua degli edifici religiosi, qualcuno forse si sarà meravigliato del tono apparentemente remissivo tenuto dal Pontefice. Ma sarebbe sbagliato considerarlo semplicemente frutto di una prudenza diplomatica. Al contrario è l’esito di quella «pazienza del bene», come ha detto Benedetto XVI con un’espressione inedita e suggestiva, che dovrebbe essere l’atteggiamento di coloro che credono nella realtà misteriosa ed efficace della croce.
È questo il messaggio fondamentale che il Papa sta delineando durante quest’intensa visita pastorale. La pace ha bisogno dei cristiani che hanno «un ruolo insostituibile per la riconciliazione tra i popoli», una riflessione che non a caso si sviluppa in questo lembo di Terra Santa, nell’isola che vide il primo viaggio missionario di San Paolo ed oggi intende essere ponte tra cattolicesimo e mondo ortodosso, tra Europa e Medio Oriente. È un messaggio rivolto prima di tutto all’interno della Chiesa, ai cattolici che devono essere promotori di «una maggiore unità nella carità con gli altri cristiani ma anche del dialogo interreligioso», ha ricordato il pastore della Chiesa universale al piccolo gregge che spesso si è sentito abbandonato e dimenticato.
La visita di Benedetto XVI, la prima di un Papa a Cipro in duemila anni di storia, ha rappresentato un evento colmo di gioia e consolazione per la minoranza cattolica dell’isola. Ma il Pontefice è andato oltre e l’ha invitata a trasformare il peso storico delle sofferenze in opportunità di dialogo con i musulmani. Una sfida coraggiosa se si pensa che è stata lanciata a chi dovette subire l’islamizzazione forzata nel nord dell’isola. Parole molto impegnative che hanno avuto un riscontro concreto nell’abbraccio caloroso tra il Papa ed uno sceicco musulmano della comunità turco-cipriota, un gesto carico di simbolismo avvenuto lungo la 'linea verde' che taglia in due l’ultimo Paese diviso d’Europa dopo la caduta del Muro di Berlino. «I musulmani sono nostri fratelli», ha detto Benedetto XVI sull’aereo che lo portava a Cipro, un’espressione che finora era stata usata solo da Giovanni Paolo II. Una fratellanza non facile in Terra Santa dove si fa sentire il peso quotidiano delle sofferenze e i cristiani sono tentati d’andarsene. Ma chi rimane diventa «un segno straordinario di speranza per tutti quanti vivono nella regione ».
Ecco perché il mondo ha bisogno della croce.
Da Avvenire di martedì 8 giugno 2010
IL PAPA ALL’ANGELUS
Il zelante servizio e il martirio di padre Jerzy sono particolare segno della vittoria del bene sul male. Il suo esempio e la sua intercessione accrescano lo zelo dei sacerdoti e infiammino d’amore i fedeli laici
POPIELUSZKO, LA VITTORIA DEL BENE DA ROMA GIANNI CARDINALE
« I regimi passano come temporali d’estate lasciando solo macerie, ma la Chiesa e i suoi figli restano per beneficare l’umanità con il dono della carità senza limiti». È stato questo uno dei passaggi forti dell’omelia dell’arcivescovo Angelo Amato nella Messa di domenica a Varsavia per la beatificazione di padre Jerzy Popieluszko, il cappellano di Solidarnosc ucciso in odio alla fede dalla polizia comunista 26 anni fa. Un evento che - come ha raccontato la Radio Vaticana - nella piazza Pilsudski ha raccolto 150 mila fedeli e che ha visto la concelebrazione di oltre cento vescovi e duemila sacerdoti. Alla cerimonia c’era anche la madre novantenne di padre Popieluszko, Marianna.
Dando inizio alla cerimonia l’arcivescovo di Varsavia, Kazimierz Nycz, ha definito l’evento «un grande giorno per la Chiesa di Polonia e la patria».
Nell’omelia, il prefetto della Congregazione delle cause dei santi, l’arcivescovo salesiano Amato, ha ripercorso la vita dell’eroico sacerdote assassinato a 37 anni. Padre Jerzy, ha ricordato l’arcivescovo, non era un omicida, un terrorista, ma solo un «leale sacerdote cattolico», figlio di quella Polonia sottoposta al regime comunista dove «religione, Vangelo, dignità delle persona umana, libertà, non erano concetti in sintonia con l’ideologia marxista ». Cosicché contro quel giovane prete si scatenò «la furia omicida del grande mentitore, nemico di Dio e oppressore dell’umanità, di colui che odia la verità e diffonde la menzogna». Quella ideologia però «non sopportava lo splendore della verità e giustizia» e «per questo l’inerme» Popieluszko «fu spiato, perseguitato, catturato, torturato » e infine ucciso. Ma, ha spiegato Amato, «il sacrificio» di quel giovane prete «non fu una sconfitta», perché «i suoi carnefici non potevano uccidere la Verità». «La tragica morte del nostro martire infatti – ha aggiunto – fu l’inizio di una generale riconversione dei cuori al Vangelo. La morte dei martiri è il seme dei cristiani». Ed è proprio per questo che, ha evidenziato Amato, la beatificazione dell’eroico prete polacco «costituisce una memorabile giornata di esultanza per la nazione».
Dopo aver sottolineato come il nuovo beato traeva la forza della sua testimonianza dall’Eucaristia che la celebrazione della messa fu il suo ultimo gesto da vivo il 19 marzo 1984, il prefetto della Congregazione delle cause dei santi ha ribadito come il martire fosse «consapevole che il male della dittatura traeva le sue origini da Satana» e «per questo esortava a vincere il male con il bene e con la grazia del Signore».
Durante il viaggio a Cipro anche Benedetto XVI ha rivolto un personale pensiero al nuovo beato. Introducendo la preghiera dell’Angelus con i fedeli convenuti nel Palazzo dello Sport Eleftheria a Nicosia, ha detto: «Rivolgo un cordiale saluto alla Chiesa in Polonia, che oggi gioisce dell’elevazione agli altari del padre Jerzy Popieluszko». «Il suo zelante servizio e il martirio – ha subito aggiunto – sono particolare segno della vittoria del bene sul male. Il suo esempio e la sua intercessione accrescano lo zelo dei sacerdoti e infiammino d’amore i fedeli laici».
Da Avvenire di martedì 8 giugno 2010
Pronta una serie di misure per calibrare le tariffe di alcuni servizi comunali sulle esigenze delle famiglie con figli o che tengono in casa un anziano
PARMA FA SCUOLA. ECCO IL QUOZIENTE ROMA
DA ROMA GIANNI SANTAMARIA
Dopo Parma, anche Roma diventa sempre più a misura di famiglia. Due realtà demograficamente (ed economicamente) diverse, ma accomunate dalla volontà di aiutare le famiglie. Ieri l’Udc ha illustrato la sua proposta del Quoziente Roma per andare incontro alle coppie sulle tariffe di alcuni servizi che hanno in casa figli o anziani (o che sono composte da questi ultimi). E ha registrato la consonanza del sindaco Gianni Alemanno - che nel capoluogo emiliano a fine maggio si è impegnato nel network dei Comuni pro quoziente - a lavorare insieme per condurre in porto, pur tra le difficoltà del bilancio in via di definizione, misure a favore del nucleo fondamentale della società. La proposta ha il suo apprezzamento, «ora si tratta di vedere quali siano gli strumenti tecnici per attuarla al meglio». In vista di una riforma urgente che, però è necessario «sia presa all’unanimità».
Non si tratta di «fare una gara a chi è arrivato prima, ma di passare all’attuazione concreta, al di là delle bandiere», ha premesso il capogruppo centrista al Campidoglio Alessandro Onorato, promotore di una delibera che ha già ottenuto il parere favorevole di alcuni dipartimenti. Ma che ancora deve arrivare all’aula consiliare (dove già è passata una delibera quadro della maggioranza).
In sostanza si tratta di una riparametrazione delle tariffe di alcuni servizi - asili nido, refezione e trasporti scolastici, residenze sanitarie assistite, in prospettiva anche l’addizionale Irpef - applicando dei coefficienti di riduzione all’indicatore Isee (Indicatore della situazione economica equivalente) crescenti in base al numero dei figli, all’età (fino a 24 anni, in modo da incentivare modelli virtuosi negli studi e non trasformarsi in assistenzialismo), alla presenza di anziani over 65 o di disabili. «L’indicatore Isee, che è del 1998, non tiene il passo con la situazione attuale e non può essere modificato, perché si tratta di un decreto governativo», spiega Onorato. Ma corretto sì. Ed è una misura urgente. A Roma, infatti, ci sono circa 1 milione e 300mila famiglie (con sempre meno prole). Ma soprattutto ben 445mila hanno al loro interno almeno un anziano (tra le quali 102mila sono famiglie con figli che ne hanno uno a carico).
È evidente il ruolo di ammortizzatore sociale che esse svolgono. Lo ha evidenziato il segretario dell’Udc Lorenzo Cesa, che ha sottolineato anche come non a caso la crisi ha colpito meno l’ltalia «grazie al risparmio delle famiglie». E ha dato la disponibilità a un intesa in Campidoglio sul tema, oltre a promettere un sostegno alle esigenze dell’Urbe nella discussione parlamentare sulla manovra.Insomma, sulla Capitale rimbalza l’effetto Polverini. E, in attesa dell’ingresso in giunta dell’Udc (alleata in Regione, ma all’opposizione al Comune) Alemanno ribadisce che occorre «una percezione trasversale, un cambiamento che serve a rafforzare il ruolo della famiglia, una sfida politica, dalla quale è necessario partire per essere di esempio a livello nazionale».
Perché «la vera riforma fiscale è il quoziente familiare». Non a caso anche dalla Pisana hanno spinto per l’introduzione del quoziente nel Lazio anche i due assessori 'in pectore' Aldo Forte e Luciano Ciocchetti. E in stile bipartisan il vicepresidente del Consiglio regionale Bruno Astorre (Pd). Anche l’associazionismo familiare era presente con il presidente del Forum del Lazio (48 associazioni, in rappresentanza di circa 150 mila famiglie e 400 mila persone) Gianluigi de Palo, all’incontro di illustrazione delle misure. «Che vanno bene. Ma che devono essere realizzate sempre più con il coinvolgimento del Paese reale. Cioè delle famiglie, alle quali va riconosciuto anche un protagonismo sociale e culturale».
Da Avvenire di domenica 6 giugno 2010
In Friuli Venezia Giulia un «assegno di natalità», in Sardegna un piano per chi ha 4 figli, la «Prima dote» in Puglia, ai nuclei calabresi solo i tagli della politica
REGIONI & MATERNITÀ PERCORSO A OSTACOLI
Contributi alle mamme, fondi per le famiglie indigenti. Ma in gran parte del Paese non ci sono iniziative mirate
DI DANIELA POZZOLI
Ci sono Regioni italiane che spendono parecchio per sostenere le donne che abortirebbero se non avessero un aiuto economico durante la gravidanza; ci sono Regioni che hanno intenzione di 'imitare' chi è più avanti, ma che non hanno ancora messo mano al portafoglio. Chi ha Fondi dedicati al sostegno delle famiglie, chi proprio non ha tra le priorità questo tipo di aiuto, anche solo per mancanza di copertura finanziaria. Dopo l’iniziativa della Lombardia (il «Nasko» appena varato, vedi box a destra) facciamo il punto.
Mamme e nuovi nati
Il Friuli Venezia Giulia stanzia 5 milioni di euro l’anno per l’«assegno di natalità», suddivisi tra primo nato, figli successivi e gemelli. L’assegno esiste dal 1993, ma ha avuto una battuta d’arresto nel 2006 per poi essere ripristinato nel 2007 con effetto retroattivo. Requisito: risiedere da 5 anni in regione.
In fase di studio l’assegnazione di un budget per le gestanti in difficoltà. Si chiama invece assegno «Prima dote» e ammontava a 500 euro la misura assunta in Puglia tra il 2008 e il 2009. Il 3 maggio 2010 è scaduto il nuovo bando per il contributo «Prima dote» ai bambini tra 0 e 36 mesi; prevede un contributo mensile per un anno: 200 euro fino a 4.000 di reddito; 150 euro tra i 4.000 e i 5.000; 200 euro se si ha un figlio e un disabile. Lo stanziamento complessivo è di 5 milioni.
In Piemonte le politiche di tutela della maternità rientrano sotto la voce «Percorso nascita», un ampio programma coordinato tra Regione, Asl e Comuni. Tutte le donne incinte ricevono le impegnative mutualistiche esenti da ticket, gratis il corso pre-parto. Per le donne gravide con difficoltà economiche ci sono aiuti nell’assegnazione di alloggi in edilizia convenzionata, inserimento in case-famiglia e visite domiciliari.
Un contributo diretto viene assegnato nella Provincia autonoma di Bolzano alle strutture per mamme in difficoltà gestite dal Movimento per la vita o dalla Provincia (la Casa della madre), tramite finanziamenti previsti dalla legge 13 del ’91.
Nella Provincia autonoma di Trento vengono sostenuti i centri di accoglienza per madri in difficoltà (per lo più Cav) tramite un contributo alle spese gestionali.
La Valle d’Aosta, in sostegno alla maternità, nel 2007 ha approvato un assegno post-natale per i bimbi nati dopo il 1° luglio 2007 o che compiano il primo o il secondo anno a partire da quella data: per il 1° figlio 575 euro l’anno; per il 2° figlio 856 euro; per il 3° figlio 1.154. Dal 3° in poi l’aumento è di 286 euro l’anno.
In Molise le «Disposizioni a tutela della maternità delle donne non occupate » risalgono al 12 gennaio 2000 e sono ancora in vigore: veniva allora istituito un Fondo che copriva i due mesi precedenti il parto e i tre successivi. Si parlava di 500mila lire mensili, con adeguamento Istat (e oggi con i fondi in euro). Il «bonus» saliva a un milione di lire per ogni altro figlio a carico.
Contributi alle famiglie
La Liguria eroga 2 milioni di euro per i consultori sia privati che pubblici e per i centri anti-violenza. Il «Progetto famiglia» aiuta nuclei con 4 o più figli. È del 16 febbraio 2010 la legge regionale dell’Umbria che all’articolo 17 assicura la copertura finanziaria (3 milioni) in favore delle famiglie più esposte al disagio e alla povertà. La giunta regionale ha appena messo a disposizione un ulteriore milione di euro «per affrontare il tema delle famiglie vulnerabili in questo momento straordinario». Le Marche, data la carenza di fondi, difficilmente introdurranno un bonus come quello della Lombardia, ma la legge regionale 30 del 1998 (un milione e 100mila euro di stanziamenti) prevede, tra le altre cose, il sostegno alla natalità, all’adozione e al finanziamento di progetti di solidarietà per le donne in difficoltà, non sposate, gravide e per ragazze-madri.
La giunta regionale della Sardegna punta sul «capitale sociale bebè» e ha approvato proprio questa settimana il «bonus famiglia»: aiuti per i 3mila nuclei, residenti in Sardegna al 30 aprile 2010, con 4 o più figli. Il contributo è di 1.000 euro per ciascuna famiglia.
Lunedì scorso il Consiglio regionale della Calabria ha invece dato l’ok a un progetto di legge che prevede la riduzione del costo della politica di 1,3 milioni di euro. I risparmi finanzieranno la legge regionale sulla famiglia del 2004, che era rimasta in un cassetto.
La Regione Emilia-Romagna assegna prestiti sull’onore a famiglie in difficoltà con figli minorenni, a tasso zero e con un piano di restituzione concordato. Il prestito riguarda persone, singole o in coppia, che abbiano o stiano per avere figli.
La Regione Veneto punta al sostegno concreto alla natalità mediante misure a favore delle famiglie con tre figli quali interventi sulle tariffe di elettricità, gas, rifiuti, trasporto pubblico.
Progetti in vista
La Regione Basilicata potrebbe presto adottare un provvedimento che ricalca, nelle linee fondamentali, quello scelto dalla Regione Lombardia per le mamme in difficoltà. Una scelta che affronterà dopo l’estate.
Nel Lazio la proposta è di istituire un «bonus mamme» di 250 euro per 18 mesi.
A sostegno della maternità la Toscana vorrebbe destinare (il provvedimento è ancora da approvare) 2mila euro l’anno alle mamme in difficoltà, mentre per ha chi ha un figlio nato nel 2010, è a basso reddito e vive in un alloggio in affitto vengono dati contributi per pagare affitto e retta del nido.
La Sicilia punta a riorganizzare i consultori stanziando 4 milioni e 400mila euro, la Campania vantava 5 anni fa un «reddito di cittadinanza», 500 euro al mese per le famiglie bisognose, che oggi, per mancanza di copertura finanziaria, è scomparso.
Stessa carenza di fondi in Abruzzo dove l’unica legge a favore delle donne incinte e disoccupate risale al ’97, ma dal 2000 se ne è persa traccia.
Da Avvenire di mercoledì 9 giugno 2010
LA LETTERA DEI VESCOVI AI SACERDOTI
GRAZIE A OGNUNO E ALL’UNO D’ESEMPIO
DAVIDE RONDONI
La cosa peggiore è quando ti riducono a una categoria.
Quando non esisti più come persona ma esiste solo la categoria a cui qualcuno vuole ridurti. Specie quando ti vogliono imputare qualcosa. E dicono, che so: i rossi. Oppure: i gialli. Oppure: i neri. Oppure: i preti.
In questi mesi ne abbiamo sentite sui preti.
Notizie brutte, orrende. E poi soprattutto un sacco di chiacchiere, di battute grevi. Di offese generalizzate. Ben oltre il perimetro dei fatti, e del dolore dei fatti. Ben oltre l’amore per la verità, anzi spesso in spregio della verità. È stato così, ne abbiamo sentito di tutti i colori. Offese. Ingiurie.
Pronunciate pure con sussiego e espressione finto-intelligente in salotti tv o sui giornali. Accuse generalizzate, perché se si doveva stare e ragionare sui casi singoli, sulle faccende particolari, si doveva smettere il facile mestiere del moralista. E vedere i casi singoli di ogni genere, non solo del genere preso a bersaglio. Insomma, si doveva generalizzare l’accusa sui preti per nascondere una realtà orrenda che invece riguarda tutti. E che riguarda l’idea di giustizia che abbiamo per ciascuno di noi, per la vita di ciascuno di noi.
E ora finalmente qualcuno, invece di accusarli genericamente, li ringrazia uno per uno, i preti.
Ma non come categoria, come persone, una a una. I preti italiani. Il don Luigi e il don Beppe. Il don Maurizio e il don Gabriele. Uomini con quei nomi a cui il 'don' messo davanti, da segno di rispetto e deferenza, si voleva far diventare segno di sospetto e di marchiamento. Per fortuna però – Avvenire l’ha già scritto – la gente conosce bene i suoi preti. E ora c’è chi dice pubblicamente, esemplarmente, grazie a questi uomini. A ognuno di loro. Per l’opera che compiono. L’opera che si vede di dedizione alle persone. E per l’opera che non si vede mai del tutto, di dedizione a Dio. Per le due opere che sono una. Che hanno il medesimo fuoco. I due gesti che sono uno. Come i due lati del comandamento evangelico: ama Dio e il prossimo tuo.
Non fan questo i preti? E in cambio di cosa lo fanno, verrebbe da chiedersi? Un tempo, forse, c’era qualche privilegio. Insomma, poteva esserci qualche convenienza a fare il prete. O almeno così dicevano le battute del popolo. Ora invece la stragrande maggioranza di loro tira la cinghia, ricava battute e risolini nei salotti bene e sui media, passa i giorni a misurarsi con realtà d’impegno, di difficoltà e di degrado da cui troppi altri – soprattutto tra chi ha potere – restano distanti. E magari neanche uno straccio di pubblico ringraziamento.
Per questo le parole della lettera dell’Assemblea dei vescovi italiani che ringrazia e incoraggia i preti italiani non sono retorica. Non sono frasi di circostanza come troppe se ne sentono. Non si tratta di un comandante che rincuora le sue truppe in un momento difficile. Non sono le parole che i vertici di un’associazione di categoria rivolge ai suoi affiliati Anzi, sono parole rivolte a ciascuno, non alla categoria. È un ringraziamento speciale. Che pesa in modo speciale in questo momento. E perciò rincuora.
Come dice bene il cardinal Hummes nelle pagine che seguono, infatti, l’esempio di uno – che si è dato, nel suo servizio, il nome di Benedetto – si è accompagnato a quelle parole per tutto l’anno sacerdotale che sta terminando. Nella lettera della Cei non viene indicato un programma generico, come per ottenere un’adesione generale della categoria. Perché per tutto l’anno la storia e la fede dei semplici ci ha indicato l’esempio di uno, così che ciascun sacerdote posi gli occhi suoi, il suo personale cuore, la sua personalissima storia davanti a quell’esempio concreto, ai gesti e alle parole di uno di loro. Perché nella vita reale la vita di un uomo non riprende coraggio e forza grazie solo alle parole. Ma perché vede uno, un uomo, che lo invita con l’esempio, e che è sulla stessa strada.
Da PiuVoce.net del 11 Giugno 2010
Libération rivela che le francesi non ne possono più degli ormoni quotidiani
LE DONNE DEGLI ANNI DIECI LIBERATE DALLA ``PILLOLA``
di Nicoletta Tiliacos
In occasione dei cinquant’anni della pillola non potevano che intensificarsi le lamentele sulle italiane indisciplinate e un po’ troglodite, che continuano a trascurare i contraccettivi orali e non imitano le giudiziose cugine d’Oltralpe, campionesse mondiali di uso della pillola, adottata dal sessanta per cento delle donne francesi in età fertile. Ma basta leggere un articolo apparso il 9 giugno sul quotidiano Libération (molto laico e di sinistra), per capire che forse le italiane così fesse non sono.
Una serie di ginecologi, interpellati dalla giornalista Olivia Marsaud, raccontano che sono sempre più numerose le donne decise a farla finita con la quotidiana dose di ormoni per silenziare la fecondità. Queste donne che “non ne possono più”, come dichiara una di loro, hanno più o meno lo stesso profilo: “Giovani donne attive, dai venticinque ai trentacinque anni, sotto pillola da più di dieci anni o più, la maggior parte in coppia stabile da molti anni”. Interessantissime le motivazioni. Louise, trentadue anni, da sei mesi ha smesso di prendere la pillola perché non ne sopportava più “l’aspetto ‘dogmatico’, come se fosse l’unico mezzo di contraccezione” e per quell’impressione “di non aver mai avuto scelta”. Un’altra pentita della pillola, Nadia, dice di aver smesso “per non trattare più il mio corpo come uno straniero”.
La pillola quotidiana, il “gesto di libertà” osannato negli anni Sessanta, alle giovani donne degli anni Dieci appare sempre più come una costrizione.
www.piuvoce.net
Da Avvenire di mercoledì 9 giugno 2010
Da Tv2000 e Cei le immagini con la sintesi del convegno e le idee per gli animatori
TESTIMONI DIGITALI, ECCO IL VIDEO
Sempre attivo il sito Internet del grande convegno di fine aprile a Roma, con numerosi contenuti interattivi e una ricca galleria fotografica
DI VINCENZO GRIENTI
Meno di un quarto d’ora di filmato per raccontare il convegno nazionale «Testimoni digitali. Volti e linguaggi nell’era crossmediale» (Roma, 22-24 aprile 2010) 'caricato' e disponibile nel sito Internet www.testimonidigitali.it che continua ad essere aggiornato e attivo in numerose sezioni a partire proprio dal 'mediacenter'. Il video, curato dall’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali e da Tv2000 anche per mettere a disposizione di animatori e Portaparola uno strumento pratico di conoscenza e orientamento, è stato proiettato durante l’assemblea generale della Conferenza episcopale italiana di fine maggio scorso e racconta tre giorni di incontri, di scambio di idee, di confronto sui mezzi di comunicazione sociale e sul loro impatto nella cultura di oggi. A parlare sono i protagonisti che hanno animato il convegno nazionale promosso dalla Commissione episcopale per la Cultura e le comunicazioni sociali e organizzato dall’Ufficio nazionale e dal Servizio nazionale per il progetto culturale della Cei. Il video si apre con le parole che Benedetto XVI ha rivolto agli oltre 8mila partecipanti all’udienza del 24 aprile nell’Aula Paolo VI, in Vaticano. «Il tempo che viviamo conosce un enorme allargamento delle frontiere della comunicazione, realizza un’inedita convergenza tra i diversi media e rende possibile l’interattività – esorta il Pontefice –. La rete manifesta, dunque, una vocazione aperta, tendenzialmente egualitaria e pluralista, ma nel contempo segna un nuovo fossato: si parla, infatti, di digital divide .
Esso separa gli inclusi dagli esclusi e va ad aggiungersi agli altri divari, che già allontanano le nazioni tra loro e anche al loro interno».
Il sito Internet del convegno ha registrato nei soli 2 giorni di lavori oltre 200mila accessi e circa 19mila utenti unici alla diretta online. Ciò è stato reso possibile grazie anche alla sinergia di Avvenire, Tv2000 , Radio InBlu e dell’Agenzia Sir . «È sicuramente un modo per ripercorrere quei giorni indimenticabili – scrive per email Giorgio, 24 anni, di Salerno –. Per rivedere i volti e non dimenticare le parole del Papa». Tra le sezioni del sito Internet più attive, a parte l’area news e quella del 'mediacenter', c’è anche la pagina della ricerca «Relazioni comunicative e affettive dei giovani nello scenario digitale», dell’Università Cattolica di Milano, disponibile all’indirizzo www.testimonidigitali.it/ricer ca. Diretta dall’antropologa dei media Chiara Giaccardi, che ha coordinato un gruppo di ricercatori, la ricerca ancora coinvolge attivamente tramite la compilazione del questionario (in via del tutto anonima) che può essere rispedito tramite posta elettronica all’indirizzo ricerca@testimonidigitali.it.
Sono ancora disponibili, poi, le puntate radiofoniche di Radio Digit, la rubrica promossa in collaborazione con l’Associazione Weca, e i numeri del periodico free press DigitNews . A ciò si aggiunge un’ampia galleria fotografica che ripercorre i momenti più belli del convegno.
La Libreria San Paolo, presente a Ravenna da più di 40 anni per merito delle Suore Paoline, è stata rilevata dall'Opera di Religione della Diocesi di Ravenna nel 1999, mantenendo il carattere di libreria religiosa.
La Libreria San Paolo costituisce un'importante realtà, poiché rappresenta, attualmente, l'unica attività della zona in cui si possano reperire libri religiosi e riviste cattoliche.
Presso la libreria è disponibile una vasta gamma di altri articoli, come dvd (specialmente per film d'autore, pellicole rare, film per la famiglia), spartiti musicali, recital per scuole elementari e materne, musicassette e compact disc (raccolte di musica religiosa, musica classica e operistica), editoria elettronica, stampe sacre e messaggi visivi.
Libreria San Paolo Via Pietro Canneti Ravenna
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