sabato 27 marzo 2010

PORTA PAROLA 27 Marzo 2010


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da Bologna 7 supplemento di Avvenire di domenica 21 marzo 2010
ELEZIONI REGIONALI
ECCO LA BUSSOLA PER ORIENTARSI
STEFANO ANDRINI
Domenica e lunedì si voterà in Emilia Romagna per eleggere il uovo presidente regionale e rinnovare l’assemblea legislativa. Su queste pagine abbiamo cercato di approfondire alcuni temi che ci sembrano cruciali, confortati nella scelta redazionale dalla Nota dei Vescovi dell’Emilia Romagna che hanno individuato nella tutela dei valori non negoziabili non solo una bussola per orientarsi ma anche una chiave di lettura per comprendere la vera posta in gioco della prossima tornata elettorale.
Giovani, famiglia, vita, welfare e scuola sono gli elementi sui quali la nostra regione si gioca il futuro: vincere queste sfide significherà intraprendere una nuova strada di sviluppo e di benessere; perderle, invece, equivarrebbe a imboccare il tunnel senza ritorno del declino. Non è un caso che proprio queste tematiche siano state silenziate da quasi tutti gli schieramenti.
Ma chi governerà nella prossima legislatura non potrà esimersi dall’affrontarle. I Vescovi sono molto chiari nell’affermare che i valori non negoziabili sono un patrimonio indisponibile: da coltivare nella prospettiva del bene comune.
Questo significa che non basta da parte delle forze politiche un generico unanimismo sui valori non negoziabili.
Tutti possono essere d’accordo sulla salvaguardia del creato. Ma nel concreto c’è, per esempio, chi mette al centro del creato l’uomo e chi la foca monaca. Con tutto il rispetto per la foca monaca non abbiamo dubbi che la prima posizione sia quella più vera ed efficace per attuare il valore indicato dai Vescovi: una posizione che i politici cattolici , in qualunque parte si collochino, non solo non possono ignorare ma anche non possono portare al mercato.
Al nuovo governatore e alla nuova assemblea legislativa noi chiediamo dei «sì» e non dei «se» e dei «ma»: sì alla libertà di educazione, sì alla valorizzazione della famiglia senza pericolose scorciatoie, sì alla promozione delle alternative all’aborto, sì ad un welfare che metta al centro la persona.
Sì, in estrema sintesi, ad una politica amministrativa che ha le sue radici nella sussidiarietà. Quella vera e non quella taroccata che a volte la stessa politica e le stesse istituzioni ci contrabbandano per tale. Sono buoni motivi che danno la possibilità agli elettori di esprimere un voto vero e meditato. Sono buoni motivi, inoltre, per non cedere alla tentazione dell’astensionismo che altro non sarebbe se non la resa ai potentati che sbandierano l’importanza del popolo ma in realtà non vogliono farlo partecipare. Non daremo quindi ai lettori indicazioni di voto.
Ma un suggerimento non negoziabile: votate per difendere l’uomo e la sua dignità.

Nota dei Vescovi sul voto regionale
I Valori non negoziabili sono la bussola
Gli Arcivescovi e Vescovi della regione Emilia-Romagna desiderano indirizzare ai fedeli delle loro comunità questa comunicazione, in vista delle elezioni regionali del prossimo mese di marzo.
1. Come Vescovi, la nostra prima inderogabile missione è di annunciare il Vangelo proponendo ad ogni uomo la via della fede, come via della libertà, come via della responsabilità e della salvezza.
Ma il Vangelo che dobbiamo annunciare contiene anche una precisa concezione dell'uomo e di tutta la sua realtà, personale e sociale, che risponde in modo adeguato alle fondamentali esigenze della sua persona. E questa concezione il nucleo portante della Dottrina Sociale che la Chiesa ha sempre proclamato e testimoniato, e che l'attuale pontefice Benedetto XVI ha mirabilmente sintetizzato nell'espressione «valori non negoziabili».
2. Essi costituiscono patrimonio di ogni persona, perché inscritti nella coscienza morale di ciascuno. A questi valori anche ogni cristiano deve riferirsi come criterio ineludibile per i suoi giudizi e le sue scelte nell'ordine temporale e sociale.
Eccoli sinteticamente:la dignità della persona umana, costituita ad immagine e somiglianza di Dio, e perciò irriducibile a qualsiasi condizione e condizionamento di carattere personale e sociale; la sacralità della vita dal concepimento fino alla morte naturale, inviolabile ed indisponibile a tutte le strutture ed a tutti i poteri; i diritti e le libertà fondamentali della persona: la libertà religiosa, la libertà della cultura e dell'educazione; la sacralità della famiglia naturale, fondata sul matrimonio, sulla legittima unione cioè fra un uomo e una donna, responsabilmente aperta alla paternità e alla maternità; la libertà di intrapresa culturale, sociale, e anche economica in funzione del bene della persona e del bene comune; il diritto ad un lavoro dignitoso e giustamente retribuito, come espressione sintetica della persona umana; l'accoglienza ai migranti nel rispetto della dignità della loro persona e delle esigenze del bene comune; lo sviluppo della giustizia e la promozione della pace; il rispetto del creato.
3. E questo complesso di beni che costituisce l'orizzonte immutabile di ogni giudizio e di ogni impegno cristiano nella società. Persone, raggruppamenti partitici e programmi devono pertanto essere valutati a partire dalla verifica obiettiva del rispetto di quei beni. Perciò la coscienza cristiana rettamente formata non permette di favorire col proprio voto l'attuazione di un programma politico o la promulgazione di leggi che non siano coerenti coi valori sopraddetti, esprimendo questi le fondamentali esigenze della dignità umana.
4. Siamo consapevoli di avere proposto ai nostri fedeli non solo orientamenti doverosi per l'oggi, ma anche un costante cammino e educativo, mediante cui l'assimilazione dei valori della Dottrina Sociale della Chiesa porta a giudizi e a scelte responsabili e coerenti, sottratte ai ricatti dei poteri ideologici e mass-mediatici o avvilite da interessi particolaristici. Vorremmo che crescesse, anche in forza di un rinnovato e quotidiano impegno educativo delle nostre Chiese, un laicato che proprio a causa della sua appartenenza ecclesiale, fosse dedito al bene comune della società.
5. La Chiesa non deve prendere «nelle sue mani la battaglia politica» Pertanto clero ed organismi ecclesiali devono rimanere completamente fuori dal dibattito e dall'impegno politico pre-elettorale, mantenendosi assolutamente estranei a qualsiasi partito o schieramento politico. Per i sacerdoti questa esigenza è fondata sulla natura stessa del loro ministero.
6. Ma è un diritto dei fedeli essere illuminati dai propri pastori quando devono prendere decisioni importanti. Se un fedele chiedesse al sacerdote come orientarsi nella situazione attuale, il sacerdote tenga presente quanto segue. Ogni elettore è chiamato ad elaborare un giudizio prudenziale che per definizione non è mai dotato di certezza incontrovertibile. Ma un giudizio è prudente quando è elaborato alla luce sia dei valori umani fondamentali che sono concretamente in questione sia delle circostanze rilevanti in cui siamo chiamati ad agire.
Ciò premesso in linea generale, ogni elettore che voglia prendere una decisione prudente, deve discernere nell'attuale situazione quali valori umani fondamentali sono in questione, e giudicare quale parte politica - per i programmi che dichiara e per i candidati che indica per attuarli - dia maggiore affidamento per la loro difesa e promozione.
L'aiuto che i sacerdoti devono dare quindi consiste nell'illuminare il fedele perché individui quei valori umani fondamentali che oggi in Regione meritano di essere preferibilmente e maggiormente difesi e promossi, perché maggiormente misconosciuti o calpestati. Il Magistero della Chiesa è riferimento obbligante in questo aiuto al discernimento del fedele. Ma il sacerdote deve astenersi completamente dall'indicare quale parte politica ritenga a suo giudizio che dia maggior sicurezza in ordine alla difesa e promozione dei valori umani in questione. Questa indicazione infatti sarebbe in realtà un'indicazione di voto.
La nostra Regione, così come l'intera nostra nazione, sta attraversando un momento difficile. Pensiamo in primo luogo e siamo vicini alle famiglie colpite da gravi difficoltà economiche; e a chi ha perduto o rischia di perdere il lavoro.
La consultazione elettorale è una occasione nella quale ogni fedele è invitato ad esercitare mediante il voto una parte attiva nella doverosa edificazione della comunità civile. In questo modo «la carità diventa carità sociale e politica: la carità sociale ci fa amare il bene comune e fa cercare effettivamente il bene di tutte le persone, considerate non solo individualmente, ma anche nella dimensione sociale che le unisce».

Da Avvenire di venerdì 26 marzo 2010

Forum delle associazioni familiari
Famiglia e vita, la sfida della società civile
DA ROMA GIANNI SANTAMARIA
Tra il dire e il fare c’è di mezzo un voto. Ma c’è anche la vigi­lanza della società civile, che è pronta a chiedere conto di man­cate realizzazioni delle promesse o di eventuali discrepanze rispetto a quanto affermato in campagna e­lettorale. Soprattutto per un nodo fondamentale della società come la famiglia. Perciò, nel giorno in cui il Forum delle associazioni familiari ha annunciato l’a­desione al suo ma­nifesto di venti can­didati governatori e di oltre 400 candida­ti consiglieri, ha allo stesso tempo fissato lo sguardo già ai cento giorni. Anzi ai 365, ha detto il pre­sidente del sodalizio Francesco Belletti, dando appunta­mento al 25 marzo 2011 per un primo bilancio.
Erano 13 ieri le conferenze stampa in contemporanea in tutti i capoluoghi delle regioni interessate dal voto del 28 e 29 marzo. Quella nazionale, e del Lazio, si è tenuta nella sede del­la Fondazione Achille Grandi, a due passi da Montecitorio. Belletti si è detto soddisfatto di quella che ha de­finito una prova di cittadinanza de­mocratica «dal basso» e ha voluto ri­badire che «ai candidati è stato chie­sto un impegno personale, non di partito». Ci hanno messo la firma per «un impegno speciale del quale chie­deremo conto». E ai candidati, se e­letti «chiediamo un dialogo sui con­tenuti e prese di posizione anche fuori degli schieramenti», ha ricor­dato Belletti. Insomma, anche se qualcuno vorrà leggere l’operazione come un’indi­cazione di voto, la sostanza è chia­ra. Proporre una piattaforma. Ve­dere chi ci sta. E poi vigilare con spi­rito critico e collaborativo con chi amministrerà (anche chi per varie ragioni non ha firmato e che «vo­gliamo convincere » , assicurano quelli del Forum), nella consape­volezza che la famiglia è un bene per il Paese, non è appannaggio di una parte. Il messaggio partito dal Family Day del 2007. Di parte non vuole essere neppure la proposta della sottoscrizione: piut­tosto uno strumento di servizio per il discernimento del cittadino elet­tore, spiegano gli organizzatori. Già, perché se si guarda alla campagna e all’informazione politica messa in campo per la consultazione, il pre­sidente nazionale del Forum storce un po’ il naso. E dedica alla questio­ne il passaggio più duro del suo in­tervento. Invece di confrontarsi su sanità, servizi sociali, politiche del lavoro, educazione e scuola, tutela della vita umana, difesa della fami­glia fondata sul matrimonio, soste­gni alle giovani coppie e altri punti qualificanti delle politiche familiari, «sciaguratamente per lunghe setti­mane il 'discorso pubblico' di par- titi politici, candidati, organi ammi­nistrativi e mezzi di stampa è stato occupato dalla questione della cor­rettezza delle liste elettorali, in un guazzabuglio mediatico che ha co­stretto lo stesso presidente della Re­pubblica a parlare di 'pasticcio'». Dunque, il Paese è stato «derubato» di un «dibattito serio» su contenuti, programmi e progetti proprio «di fronte a una scadenza che conside­riamo di grande importanza per il nostro futuro immediato e più a lun­go termine», ha con­cluso Belletti.
Il manifesto, presen­tato circa un mese fa, sollecita alcune misure a livello na­zionale, da declina­re sempre più nelle competenze regio­nali. Una legge per la famiglia «seria, fina­nziata, sussidiata e partecipata. Non assistenziale, ma di promozione». Avvio della Valutazione d’impatto familiare (che verifichi le conseguenze economiche dei prov­vedimenti amministrativi sui nu­clei).
Presidio della riforma del fede­ralismo fiscale, per avere anche a li­vello regionale e locale tariffe a mi­sura di famiglia. Infine sostegno al­la tenuta delle relazioni familiari, so­prattutto dei legami di coppia. Diversa è stata la risposta sul terri­torio. Ci sono regioni che hanno re­gistrato poche adesioni, altre a deci­ne. Nel Lazio – regione che più ne ha attratte, oltre 80 – i politici non han­no apposto solo una firma: ci hanno messo pure la faccia. «Carta canta, ma noi ci siamo voluti avvalere an­che delle risorse della multimedia­lità », ha detto il presidente del Fo­rum del Lazio Gianluigi De Palo. Dunque, video della sottoscrizione con un minuto di discorsetto. E il tut­to andrà su YouTube. Fra un anno anche la rete farà da testimone.

LE ADESIONI
TRA I CONSIGLIERI PREDOMINA L’UDC. FIRMA ANCHE IL MINISTRO CARFAGNA

Venti candidati alla presidenza della giunta regionale e circa 500 aspiranti consiglieri. In tanti hanno firmato il Manifesto del Forum delle associazioni familiari. Solo la Basilicata non è pervenuta. Né nell’una, né nell’altra graduatoria. I venti candidati governatore, tra i 50 in lizza: Filippo Callipo (Calabria, Idv), Stefano Caldoro (Campania, Pdl), Anna Maria Bernini (Emilia Romagna, Pdl), Gian Luca Galletti (Emilia Romagna, Udc), Renata Polverini (Lazio, Pdl), Sandro Biasotti (Liguria, Pdl), Roberto Formigoni (Lombardia, Pdl), Savino Pezzotta (Lombardia, Udc), Erminio Marinelli (Marche, Pdl), Gian Mario Spacca (Marche, Udc), Roberto Cota (Piemonte, Lega Nord), Rocco Palese (Puglia, Pdl). Adriana Poli Bortone (Udc-Io Sud), Francesco Bosi (Toscana, Udc), Monica Faenzi (Toscana, Pdl), Enrico Rossi (Toscana, Pd), Paola Binetti (Umbria, Udc), Fiammetta Modena (Umbria, Pdl), Antonio De Poli (Veneto, Udc), Giuseppe Bortolussi (Veneto, Pd). Non hanno aderito, ma hanno inviato una lettera in cui sottolineano le consonanze, a loro dire, del proprio programma con il Forum Mercedes Bresso (Piemonte, Pd) e Vasco Errani (Emilia Romagna, Pd). La parte del leone nella suddivisione delle firme tra i consiglieri la fa l’Udc con oltre 160 sottoscrittori. Circa il doppio del Pdl e tre volte il Pd (una cinquantina). Una dozzina i leghisti e sette i dipietristi. Più una cinquantina delle liste civiche sia di centrodestra (16 della Polverini nel Lazio) sia di centrosinistra. Tra i consiglieri c’è anche il ministro per la Pari opportunità Mara Carfagna, capolista Pdl in Campania.

La tutela del nascituro al centro della politica tra i candidati governatori
In Emilia-Romagna Galletti (UdC) dice si, Errani (PD) non aderisce

La proposta è di inserire negli Statuti regionali il diritto alla vita per tutti fin dal concepimento
DA MILANO ENRICO NEGROTTI
Inserire nello Statuto re­gionale il riconoscimen­to del diritto alla vita di o­gni essere umano fin dal con­cepimento. È questa la prin­cipale richiesta che il Movi­mento per la vita (Mpv) ha ri­volto a tutti i candidati alla presidenza delle Regioni. E che ha ricevuto la risposta positiva – tra tut­ti – solo di 12 a­spiranti governa­tori: in Piemonte, Roberto Cota; in Lombardia Ro­berto Formigoni e Savino Pezzot­ta; in Veneto: An­tonio De Poli; in Emilia-Roma­gna: Gian Luca Galletti; in Tosca­na: Francesco Bosi; in Umbria: Paola Binetti; nel Lazio: Renata Polverini; in Puglia: Rocco Palese e Adria­na Poli Bortone; in Basilicata: Magdi Cristiano Allam e Ni­cola Pagliuca. «Una seconda richiesta – ha scritto il Mpv ai candidati – è la ristruttura­zione dei consultori familia­ri per restituirli alla loro es­senziale funzione: strumen­ti che proteggono il diritto al­la vita dei figli, non contro, ma insieme alle madri». La proposta di inserire il di­ritto alla vita sin dal concepi­mento negli Statuti regionali è altresì il primo punto di un decalogo che il Mpv ha pro­posto di sottoscrivere ai prossimi consiglieri (l’elenco di chi lo condivide è disponibi­le sul sito
www.mpv.org, ma non vi è la certezza che tutti i candidati consiglieri abbiano ricevuto la richiesta). «È urgente – scrive il Mpv – che le Regioni raccolgano la sfida della vita e intervengano con provvedimenti legislativi e/o amministrativi nei vari setto­ri (sociale, sanitario, familia­re) in cui possono adottare politiche di sostegno al dirit­to alla vita».
Per questo il Mpv propone: riconoscimento del concepi­to quale soggetto e membro del nucleo fami­liare, anche ai fi­ni di tutte le provvidenze econo­mico- sociali; in­troduzione del­l’obbligo per i consultori, di fronte alla donna che manifesti difficoltà legate alla prosecuzio­ne della gravi­danza: di infor­marla circa l’esi­stenza sul territo­rio di formazioni sociali e as­sociazioni di volontariato pri­ve di scopo di lucro impe­gnate in aiuto alla vita na­scente e delle madri in diffi­coltà, sia prima che dopo la nascita; di documentare il colloquio e di compilare un questionario sulle cause che inducono la donna a chiede­re l’aborto, il tutto nel rispet­to della riservatezza e della tutela della privacy; stanzia­mento di un consistente bud­get finanziario da utilizzare per la rimozione delle cause che inducono a fare richiesta di interruzione di gravidan­za; previsione di un percorso sociale personalizzato e ur­gente per le donne disposte a rimuovere la propria decisio­ne abortista a fronte di un concreto sostegno; previsio­ne e incentivazione nel Piano sanitario regionale di forme di collaborazione tra consul­tori e volontariato per la vita, anche attraverso regolamen­ti e/o convenzioni, al fine di aiutare le donne a rimuovere le cause che le inducono al­l’aborto; promozione della formazione degli operatori sanitari e sociali, che vengo­no a contatto con le madri in difficoltà per una gravidanza inattesa o indesiderata; finanziamento di corsi di for­mazione scolastici ed extra­scolastici sullo sviluppo del­la vita umana prenatale e sul­l’importanza della tutela di ogni essere umano dal con­cepimento alla morte natu­rale; garanzia di un sostegno psicologico alle donne che manifestino problemi nel po­st- aborto; finanziamento re­gionale ai Comuni specifica­tamente destinato per l’aiu­to a madri nubili e ai loro fi­gli.

Da Avvenire di sabato 20 marzo 2010
RICORDO E TENACE IMPEGNO DI LEGALITÀ
ECCO LA PRIMAVERA QUESTO È IL SUO GIORNO
ANTONIO MARIA MIRA
Per far nascere un fiore il seme muore. Sì muore, ma dal suo sacrificio ecco colori e profumi. È la prima­vera, stagione di bellezza e speranza. È la primavera mes­saggio di vita dopo la morte. Da quindici anni il 21 mar­zo, primo giorno di primavera, è la Giornata della me­moria e dell’impegno in ricordo delle vittime delle mafie organizzata da Libera, l’associazione fondata da don Lui­gi Ciotti e che, è bene ricordarlo, unisce e coordina cen­tinaia di associazioni, dall’Azione Cattolica all’Agesci, dal­le Acli all’Arci, da Legambiente a tutti i sindacati e i mo­vimenti giovanili, per lottare contro tutte le mafie e pro­muovere una cultura di legalità e giustizia.
Memoria e impegno, dolore e testimonianza, fatica e spe­ranza. Hanno gli occhi, i volti, le lacrime ma anche il sor­riso di Ninetta, Dario, Stefania, Lorenzo, Margherita, Mas­simo, Viviana, Antonio, Deborah, Matteo e dei più di cin­quecento familiari di vittime di tutte le mafie che oggi at­traverseranno le vie di Milano. Per ricordare i propri cari, per farli riemergere dall’oblio nel quale li voleva gettare la violenza mafiosa. Ma soprattutto per confermare il pro­prio impegno a trasmettere quel ricordo agli altri, ricor­do di persone, ricordo di vite oneste e pulite. Lo faranno, oggi, tutti assieme così come fanno nei loro paesi andando nelle scuole, parlando ai giovani dei loro cari, di legalità, di speranza, di volontà di cambiare. «Per noi il 21 marzo è una festa, è la nostra festa», ha detto Ninetta, mamma di Pierantonio, ucciso a Niscemi e il cui corpo è stato fat­to trovare solo dopo 14 anni. Già, una festa, come quan­do Ninetta il giorno del funerale del figlio ha voluto far suo­nare le campane a festa. Che forza, che energia positiva, che bella volontà di guardare sempre avanti. Grazie a quel­la «pedata di Dio – sono parole di don Ciotti – che ci aiu­ta a trasformare il dolore in testimonianza». È certo una felice coincidenza che fino a poco tempo fa il 21 marzo (giorno – secondo tradizione – della sua mor­te) si ricordasse San Benedetto. Ora et labora, preghiera e impegno, fede e legame stretto con la propria terra e proprie radici, valori profondi e lavoro positivo e concre­to. Come questi familiari che malgrado l’immenso dolo­re non hanno voluto lasciare i propri paesi, ma li presi­diano anche per noi. Il 21 marzo è la loro festa, ma è an­che la festa di tutti quelli che con loro camminano sulle strade della legalità, della giustizia e della speranza. Di tutti, non solo di qualcuno, di una parte. Per questo su­scita interrogativi il dibattito che si è aperto attorno alle proposte di legge che vorrebbero istituzionalizzare la «giornata della memoria e dell’impegno». Ottima inten­zione, certo, ma accompagnata dall’ombra di un cambio di data, magari quella di una singola pur se famosa vitti­ma (come Falcone o La Torre). Loro, i familiari, giustamente, non ci stanno. «Il 21 mar­zo è di tutti noi, è il giorno in cui ci siamo ritrovati e sen­titi meno soli. Per questo ce lo dobbiamo tenere stretto». Ne hanno diritto. Meritano questa giornata nella quale, grazie al loro amore e a quello di tanti, sono riusciti a ri­nascere dalla morte. Come quel fiore che ai primi tepori di primavera sboccia di colore e di profumo. Segno di vi­ta e di festa.

Da Avvenire di domenica 21 marzo 2010
IL DOLORE E LA FERMEZZA DI BENEDETTO
COLPI DI MAGLIO PER RIAPRIRE LA VIA ALLA SPERANZA
MARINA CORRADI
Parole come non ne avevamo mai sentite dalla mite voce di Benedetto XVI. Parole come col­pi di maglio. Gli episodi di pedofilia avvenuti nella Chiesa irlandese e gli errori di giudizio che li han­no preceduti e seguiti «hanno oscurato la luce del Vangelo a un punto tale cui non erano giunti nep­pure secoli di persecuzione». Chi ha abusato di in­nocenti ne risponderà ai giudici, e «davanti a Dio onnipotente». È un tuono, la voce del Papa nella lettera ai cattolici d’Irlanda. Del tuono ha la poten­za, e l’eco bassa, gonfia di dolore e di sgomento. Vi si tocca con mano quel «senso di tradimento» af­fermato nelle prime righe: vi sono stati affidati de­gli innocenti, e li avete traditi. Lettera sacrosanta, e spaventevole. Evoca la seve­rità di padri, cui non siamo più abituati. Evoca l’i­ra di un Dio, di cui abbiamo perduto la memoria. Non è, il Dio di questa lettera, il Dio bonario, e tal­volta buonista, cui siamo stati educati a pensare. È un Dio che chiede vergogna e rimorso; e il Papa, a nome della Chiesa, esprime personalmente «ver­gogna e rimorso», per quei ragazzi violati da «atti peccaminosi e criminali». È un Dio che esige aper­ta consapevolezza di ciò che è stato perpetrato. Che si riconosca, davanti a Dio e agli uomini, il male fatto. Un Dio che pretende penitenza: ai fedeli di Ir­landa viene indicata la via di una sorta di Quaresi­ma lunga un anno: un anno di venerdì di digiuno e preghiera. (Penitenza, altra parola antica, a mol­ti estranea. Ricorda, questa misura di Benedetto X­VI, la severità di santi predicatori di altri secoli. Cui, pure, non siamo più abituati).
Consapevolezza piena, invoca dunque il Papa. Oc­corre riconoscere la gravità di ciò che è accaduto. Le responsabilità di una Chiesa attorno, di vesco­vi, che non sono intervenuti. Occorre giustizia: quel­la degli uomini, nei tribunali. E fin qui la lettera par­la, appunto di giustizia; mentre afferma netta: «So che nulla può cancellare il male che avete soppor­tato ». La frase resta come per un attimo sospesa. (A cosa servirà la giustizia, se «nulla può cancellare il male sopportato»?) Già, umanamente, nulla. E però il Papa chiede alle vittime di non perdere la spe­ranza. Quale speranza? «Credo fermamente nel po­tere risanatore dell’amore di Cristo», scrive.
Ora l’eco di tuono e d’ira si fa voce leonina, certez­za granitica. Certezza di un Dio che «ha il potere di perdonare persino il più grave dei peccati, e di trar­re il bene anche dal più terribile dei mali». Per cui l’ultima parola rivolta ai sacerdoti colpevoli della in­famia peggiore è: «Non disperate della misericor­dia di Dio». L’ultima parola, non è di disperazione. Dove la giustizia si ferma, può allargarsi, se do­mandata, se implorata, la misericordia: la giustizia secondo Dio, capace di ricreare gli uomini.
Probabilmente, i passi più ripresi di questa lettera saranno altri. Forse queste righe rimarranno igno­rate. Si parlerà di 'condanna senza appello': cer­to, condanna del peccato. Vergogna e penitenza per il peggiore, il più infame dei peccati. Ma miseri­cordia per il peccatore che si converta: «Non di­sperate della misericordia di Dio». E questo, in un tempo come il nostro che rinnega ogni speranza e insegue, magari in forme gaie, il nulla, è lo sbalor­ditivo segno, lo stigma di diversità del cristianesi­mo. L’affermare con certezza di roccia che nulla è perduto, finché l’uomo domandi a Dio. Perché «là dove abbonda il peccato, sovrabbonda la Grazia», come scrive Benedetto, citando Paolo.
Lettera ai cattolici di Irlanda, da restare senza fia­to. Per la inaudita fermezza di un padre – un padre come ne vorremmo ancora – che autorevolmente ordina di ammettere le colpe. Che evoca quel Dio, cui bisognerà rispondere. Ma dice alle vittime, con un’umiltà che è quasi preghiera: possiate riscopri­re l’infinito amore di Cristo. E ai violentatori: pagate, ma non disperate. Il più infame dei mali, quello contro i nostri figli, quello che al solo pensiero ci acceca d’odio: nem­meno quello vince, per chi crede in Cristo, nel Fi­glio che s’è fatto carne e ha vinto la morte. È vero, nulla cancella certi ricordi. Solo Cristo, annuncia il Papa, li risana.


Da Avvenire di mercoledì 24 marzo 2010
ROMERO E LE ALTRE SENTINELLE DI DIO
NEL MONDO E TRA LA GENTE PER MISSIONE

GIULIO ALBANESE
Trent’anni fa moriva monsignor Oscar Ar­nulfo Romero, arcivescovo di San Salva­dor, ucciso a sangue freddo mentre celebra­va la Santa Messa vespertina nella cappella dell’ospedale della Divina Provvidenza. E pro­prio nel giorno in cui il popolo salvadoregno è chiamato a fare memoria dell’estremo sa­crificio del suo pastore, la Chiesa Italiana ce­lebra la XVIII Giornata di preghiera e digiu­no in ricordo dei missionari martiri e di quan­ti sono caduti, in varie circostanze, nell’a­dempimento del loro dovere evangelico. Si tratta di un’iniziativa promossa come ogni anno dal Movimento giovanile missionario della Fondazione Missio.
Nel 2009, secondo il computo redatto dell’a­genzia Fides, sono stati 37 i missionari che hanno perso la vita: 30 sacerdoti, 2 religiose, 2 seminaristi, 3 volontari laici. Il numero com­plessivo è quasi doppio rispetto al 2008, ed è il più alto registrato negli ultimi dieci anni. Umanamente parlando, si tratta di un feno­meno davvero inquietante che genera cor­doglio, dolore, turbamento, talvolta anche rabbia. Sì, per tutte le vicissitudini e anghe­rie che avvengono nelle periferie del mondo e di cui sono testimoni queste sentinelle di Dio. Eppure il perdu­rare della violenza nei confronti dei giusti rappresenta parados­salmente, alla luce del Vangelo, uno stato di grazia e una forte pro­vocazione per le co­scienze. Non foss’altro perché l’identità cri­stiana, basata essen­zialmente sulla con­sapevolezza dell’im­pronta divina presen­te nell’animo umano, ha sempre spinto i missionari a incarnare lo 'spirito delle bea­titudini', offrendo le sofferenze vissute per l’edificazione di una società nuova, rispetto­sa dei diritti fondamentali della persona.
Ecco perché la vita di monsignor Romero e di tanti apostoli del nostro tempo ci induce a una sorta di discernimento sulla nostra quotidianità, nella consapevolezza che essi rappresentano il valore aggiunto del cristia­nesimo. Sappiamo che nel cuore dell’uomo ci sono anche meschinità e crudeltà e sap­piamo che gli esseri umani sono capaci di compiere crimini indicibili contro gente in­difesa; tuttavia, il seme del bene è presente nell’anima di ogni persona, creata a imma­gine e somiglianza di Dio. Vi sono infatti uo­mini e donne che si sacrificano per gli altri nella società contemporanea, senza chiede­re nulla in cambio, facendosi per la famiglia planetaria testimoni di speranza, in prima fila sul fronte della lotta alle prevaricazioni e alle ingiustizie. In un mondo mercantile e globalizzato, re­golato dalla scriteriata ed egoistica ricerca del profitto a tutti i costi, i nostri missionari sono davvero un segno di contraddizione, testimoniando il più grande comandamen­to sociale della storia: quello dell’amore. Un precetto divino che rispetta gli altri e i loro diritti. Esige la pratica della giustizia e ispira una vita che si fa dono di sé, nella consape­volezza che «chi cercherà di salvare la pro­pria vita la perderà, chi invece la perde la sal­verà » (Lc 17,33). Insomma, se vogliamo un mondo migliore, dobbiamo uscire da noi stessi, fermamente convinti che il segno in­tangibile della gratuità sta proprio nella par­resia intesa come coraggio di osare, di criti­care i soprusi, l’assenza di solidarietà, l’odio, la guerra e ogni genere d’egoismo nella sto­ria. È questa la discriminante tra una prati­ca religiosa, algida e disincarnata, asettica ri­spetto alle vicende umane, e la coraggiosa franchezza di coloro che, come i missionari di cui oggi facciamo memoria, vivono la mi­litanza nel nome di Dio.
E quando per ignavia, stanchezza o delusio­ne, noi cristiani del cosiddetto Primo Mon­do, avessimo la tentazione di gettare la spu­gna rinunciando ad agire per il futuro, do­vremmo avere l’umiltà di imparare da loro, martiri del Terzo Millennio. Sovvengono al­lora quasi istintivamente le parole del vesco­vo Romero: «La mia vita appartiene a voi». A un popolo da servire fedelmente.
La scelta di illuminare o oscurare l’esistenza è nella con­dotta dell’uomo e non fuori di lui.

Da E’ Vita supplemento di Avvenire di giovedì 23 marzo 2010
il confronto di Pesaro
Dal recente faccia a faccia tra gli autori del libro su Eluana e il signor Englaro, prima davanti agli studenti delle scuole superiori, poi nella sede della Provincia, un’utile lezione di metodo
«I FATTI, SENZA PAURA: COSA ABBIAMO IMPARATO»
Lucia Bellaspiga e Pino Ciociola
Quello che – pare – molti in Italia temono e noi chiedevamo da tempo, e cioè un nostro faccia a faccia con Beppino Englaro, è finalmente avvenuto giovedì scorso a Pesaro: da una parte noi, inviati di Avvenire e autori del libro Eluana. I fatti, dall’altra Englaro, affiancato da vari relatori che supportano la sua 'battaglia'. L’invito ci è arrivato dalla neonata Consulta per la laicità delle istituzioni di Pesaro (un insieme di associazioni disparate, che per comune denominatore hanno la laicità come valore assoluto: Circolo Arcigay, Movimento radicalsocialista, Associazione culturale alternativa libertaria, ecc.), in un primo tempo solo per un dibattito serale nella sede della Provincia di Pesaro, poi anche per un incontro mattutino dedicato agli studenti delle superiori. Se a organizzare il duplice evento era la Consulta per la laicità, totalmente schierata con Englaro, a moderare l’incontro era il suo presidente, Raffaele Belviso.
La nostra prima preoccupazione, quindi, era il rispetto di una par condicio anche minima: parità di tempi per parlare, in un dibattito che si sarebbe svolto davanti a un uditorio (almeno la sera) di parte. Abbiamo faticato: faticato a ottenere di sederci anche noi al tavolo con Englaro anziché nel pubblico; faticato a ottenere (se non altro sulla carta, perché poi le cose sono andate molto diversamente) un tempo analogo per esprimere i nostri contenuti.
Al mattino i 600 ragazzi delle scuole si sono interrogati sulla reale volontà di Eluana, sul suo stato di salute («era come i media la descrivevano?», «una malata terminale o solo una disabile?»), sul ruolo della tecnologia, sulla possibilità che durante lo stato vegetativo potesse 'sentire'. Hanno espresso dolore per Eluana ma anche rispetto per il padre. Ciò che ci portiamo a casa è la consapevolezza di quanto i ragazzi siano desiderosi di sapere, al di là delle ideologie. Fino a oggi nelle scuole Englaro è stato accolto senza un contraddittorio, mentre gli studenti sono i più aperti a valutare solo sui 'fatti' e non sui proclami, da qualsiasi parte vengano. Per dar loro ciò che chiedono, però, è necessario essere competenti, conoscere i fatti, esser pronti ad accogliere anche i loro dubbi, spesso peraltro condivisibili («qual è il confine tra accanimento terapeutico e diritto alle cure?»).
Alla fine del lungo incontro non è casuale se si sono affollati attorno a Massimiliano Tresoldi (il giovane risvegliatosi dopo 10 anni di stato vegetativo, raccontando che in quel decennio di 'assenza' aveva sentito tutto): a loro interessava vedere, toccare con mano quella vita che c’era, che c’era sempre stata, nonostante i medici dicessero «è morto da dieci anni».
Ciò che ci siamo portati via da Pesaro è anche la preoccupazione per migliaia di altri studenti meno fortunati, che nelle scuole d’Italia vengono sottoposti al suono di una sola campana. Quattro ragazzi si sono rivolti a Englaro parlando di «macchina da staccare», e mai lui li ha contraddetti, mai ha spiegato loro che la figlia viveva di vita autonoma (lo abbiamo alla fine fatto noi, anche se era difficile controbattere a causa di una conduzione poco propensa a cederci il microfono... un conteggio dei tempi, specie la sera, che in un vero dibattito sarebbe stato da codice rosso!).
Lo stesso moderatore, ben lungi dal moderare, ha spiegato a 600 ragazzi in pieno orario scolastico (se i genitori sapessero...) che l’unica cosa che conta è la libertà personale finché non si fa del male agli altri. Volete attraversare la strada quando è rosso?
La vita è vostra. Volete andare in due su un motorino? Fatelo.
Drogarvi? Nessun problema... Anche la sera di fronte alla Consulta il dibattito è stato serrato ma sereno, nonostante un tifo da stadio per Englaro e il vicepresidente della Provincia apertamente schierato. Eppure il pubblico – va detto – ci ha ascoltati e sembrava colpito da fatti che, evidentemente, non conosceva: «Da due anni in stato vegetativo, Eluana ha pronunciato due volte in maniera comprensibile la parola 'mamma'», abbiamo fatto sapere, e «a comando apre e chiude la mano». Stupidaggini, ha provato a sostenere Englaro. Ma noi leggevamo nero su bianco cartelle cliniche.
Dunque nessun timore, dibattiamo serenamente, dati alla mano, aperti anche a riconoscere eventuali ragioni dall’altra parte, ma non disposti a tacere rassegnati. Englaro si è detto d’accordo per altri confronti, anche televisivi. Noi sempre disponibili.

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