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da Bologna 7 supplemento di Avvenire di domenica 21 marzo 2010
ELEZIONI REGIONALI
ECCO LA BUSSOLA PER ORIENTARSI
STEFANO ANDRINI
Domenica e lunedì si voterà in Emilia Romagna per eleggere il uovo presidente regionale e rinnovare l’assemblea legislativa. Su queste pagine abbiamo cercato di approfondire alcuni temi che ci sembrano cruciali, confortati nella scelta redazionale dalla Nota dei Vescovi dell’Emilia Romagna che hanno individuato nella tutela dei valori non negoziabili non solo una bussola per orientarsi ma anche una chiave di lettura per comprendere la vera posta in gioco della prossima tornata elettorale.
Giovani, famiglia, vita, welfare e scuola sono gli elementi sui quali la nostra regione si gioca il futuro: vincere queste sfide significherà intraprendere una nuova strada di sviluppo e di benessere; perderle, invece, equivarrebbe a imboccare il tunnel senza ritorno del declino. Non è un caso che proprio queste tematiche siano state silenziate da quasi tutti gli schieramenti.
Ma chi governerà nella prossima legislatura non potrà esimersi dall’affrontarle. I Vescovi sono molto chiari nell’affermare che i valori non negoziabili sono un patrimonio indisponibile: da coltivare nella prospettiva del bene comune.
Questo significa che non basta da parte delle forze politiche un generico unanimismo sui valori non negoziabili.
Tutti possono essere d’accordo sulla salvaguardia del creato. Ma nel concreto c’è, per esempio, chi mette al centro del creato l’uomo e chi la foca monaca. Con tutto il rispetto per la foca monaca non abbiamo dubbi che la prima posizione sia quella più vera ed efficace per attuare il valore indicato dai Vescovi: una posizione che i politici cattolici , in qualunque parte si collochino, non solo non possono ignorare ma anche non possono portare al mercato.
Al nuovo governatore e alla nuova assemblea legislativa noi chiediamo dei «sì» e non dei «se» e dei «ma»: sì alla libertà di educazione, sì alla valorizzazione della famiglia senza pericolose scorciatoie, sì alla promozione delle alternative all’aborto, sì ad un welfare che metta al centro la persona.
Sì, in estrema sintesi, ad una politica amministrativa che ha le sue radici nella sussidiarietà. Quella vera e non quella taroccata che a volte la stessa politica e le stesse istituzioni ci contrabbandano per tale. Sono buoni motivi che danno la possibilità agli elettori di esprimere un voto vero e meditato. Sono buoni motivi, inoltre, per non cedere alla tentazione dell’astensionismo che altro non sarebbe se non la resa ai potentati che sbandierano l’importanza del popolo ma in realtà non vogliono farlo partecipare. Non daremo quindi ai lettori indicazioni di voto.
Ma un suggerimento non negoziabile: votate per difendere l’uomo e la sua dignità.
Nota dei Vescovi sul voto regionale
I Valori non negoziabili sono la bussola
Gli Arcivescovi e Vescovi della regione Emilia-Romagna desiderano indirizzare ai fedeli delle loro comunità questa comunicazione, in vista delle elezioni regionali del prossimo mese di marzo.
1. Come Vescovi, la nostra prima inderogabile missione è di annunciare il Vangelo proponendo ad ogni uomo la via della fede, come via della libertà, come via della responsabilità e della salvezza.
Ma il Vangelo che dobbiamo annunciare contiene anche una precisa concezione dell'uomo e di tutta la sua realtà, personale e sociale, che risponde in modo adeguato alle fondamentali esigenze della sua persona. E questa concezione il nucleo portante della Dottrina Sociale che la Chiesa ha sempre proclamato e testimoniato, e che l'attuale pontefice Benedetto XVI ha mirabilmente sintetizzato nell'espressione «valori non negoziabili».
2. Essi costituiscono patrimonio di ogni persona, perché inscritti nella coscienza morale di ciascuno. A questi valori anche ogni cristiano deve riferirsi come criterio ineludibile per i suoi giudizi e le sue scelte nell'ordine temporale e sociale.
Eccoli sinteticamente:la dignità della persona umana, costituita ad immagine e somiglianza di Dio, e perciò irriducibile a qualsiasi condizione e condizionamento di carattere personale e sociale; la sacralità della vita dal concepimento fino alla morte naturale, inviolabile ed indisponibile a tutte le strutture ed a tutti i poteri; i diritti e le libertà fondamentali della persona: la libertà religiosa, la libertà della cultura e dell'educazione; la sacralità della famiglia naturale, fondata sul matrimonio, sulla legittima unione cioè fra un uomo e una donna, responsabilmente aperta alla paternità e alla maternità; la libertà di intrapresa culturale, sociale, e anche economica in funzione del bene della persona e del bene comune; il diritto ad un lavoro dignitoso e giustamente retribuito, come espressione sintetica della persona umana; l'accoglienza ai migranti nel rispetto della dignità della loro persona e delle esigenze del bene comune; lo sviluppo della giustizia e la promozione della pace; il rispetto del creato.
3. E questo complesso di beni che costituisce l'orizzonte immutabile di ogni giudizio e di ogni impegno cristiano nella società. Persone, raggruppamenti partitici e programmi devono pertanto essere valutati a partire dalla verifica obiettiva del rispetto di quei beni. Perciò la coscienza cristiana rettamente formata non permette di favorire col proprio voto l'attuazione di un programma politico o la promulgazione di leggi che non siano coerenti coi valori sopraddetti, esprimendo questi le fondamentali esigenze della dignità umana.
4. Siamo consapevoli di avere proposto ai nostri fedeli non solo orientamenti doverosi per l'oggi, ma anche un costante cammino e educativo, mediante cui l'assimilazione dei valori della Dottrina Sociale della Chiesa porta a giudizi e a scelte responsabili e coerenti, sottratte ai ricatti dei poteri ideologici e mass-mediatici o avvilite da interessi particolaristici. Vorremmo che crescesse, anche in forza di un rinnovato e quotidiano impegno educativo delle nostre Chiese, un laicato che proprio a causa della sua appartenenza ecclesiale, fosse dedito al bene comune della società.
5. La Chiesa non deve prendere «nelle sue mani la battaglia politica» Pertanto clero ed organismi ecclesiali devono rimanere completamente fuori dal dibattito e dall'impegno politico pre-elettorale, mantenendosi assolutamente estranei a qualsiasi partito o schieramento politico. Per i sacerdoti questa esigenza è fondata sulla natura stessa del loro ministero.
6. Ma è un diritto dei fedeli essere illuminati dai propri pastori quando devono prendere decisioni importanti. Se un fedele chiedesse al sacerdote come orientarsi nella situazione attuale, il sacerdote tenga presente quanto segue. Ogni elettore è chiamato ad elaborare un giudizio prudenziale che per definizione non è mai dotato di certezza incontrovertibile. Ma un giudizio è prudente quando è elaborato alla luce sia dei valori umani fondamentali che sono concretamente in questione sia delle circostanze rilevanti in cui siamo chiamati ad agire.
Ciò premesso in linea generale, ogni elettore che voglia prendere una decisione prudente, deve discernere nell'attuale situazione quali valori umani fondamentali sono in questione, e giudicare quale parte politica - per i programmi che dichiara e per i candidati che indica per attuarli - dia maggiore affidamento per la loro difesa e promozione.
L'aiuto che i sacerdoti devono dare quindi consiste nell'illuminare il fedele perché individui quei valori umani fondamentali che oggi in Regione meritano di essere preferibilmente e maggiormente difesi e promossi, perché maggiormente misconosciuti o calpestati. Il Magistero della Chiesa è riferimento obbligante in questo aiuto al discernimento del fedele. Ma il sacerdote deve astenersi completamente dall'indicare quale parte politica ritenga a suo giudizio che dia maggior sicurezza in ordine alla difesa e promozione dei valori umani in questione. Questa indicazione infatti sarebbe in realtà un'indicazione di voto.
La nostra Regione, così come l'intera nostra nazione, sta attraversando un momento difficile. Pensiamo in primo luogo e siamo vicini alle famiglie colpite da gravi difficoltà economiche; e a chi ha perduto o rischia di perdere il lavoro.
La consultazione elettorale è una occasione nella quale ogni fedele è invitato ad esercitare mediante il voto una parte attiva nella doverosa edificazione della comunità civile. In questo modo «la carità diventa carità sociale e politica: la carità sociale ci fa amare il bene comune e fa cercare effettivamente il bene di tutte le persone, considerate non solo individualmente, ma anche nella dimensione sociale che le unisce».
Da Avvenire di venerdì 26 marzo 2010
Forum delle associazioni familiari
Famiglia e vita, la sfida della società civile
DA ROMA GIANNI SANTAMARIA
Tra il dire e il fare c’è di mezzo un voto. Ma c’è anche la vigilanza della società civile, che è pronta a chiedere conto di mancate realizzazioni delle promesse o di eventuali discrepanze rispetto a quanto affermato in campagna elettorale. Soprattutto per un nodo fondamentale della società come la famiglia. Perciò, nel giorno in cui il Forum delle associazioni familiari ha annunciato l’adesione al suo manifesto di venti candidati governatori e di oltre 400 candidati consiglieri, ha allo stesso tempo fissato lo sguardo già ai cento giorni. Anzi ai 365, ha detto il presidente del sodalizio Francesco Belletti, dando appuntamento al 25 marzo 2011 per un primo bilancio.
Erano 13 ieri le conferenze stampa in contemporanea in tutti i capoluoghi delle regioni interessate dal voto del 28 e 29 marzo. Quella nazionale, e del Lazio, si è tenuta nella sede della Fondazione Achille Grandi, a due passi da Montecitorio. Belletti si è detto soddisfatto di quella che ha definito una prova di cittadinanza democratica «dal basso» e ha voluto ribadire che «ai candidati è stato chiesto un impegno personale, non di partito». Ci hanno messo la firma per «un impegno speciale del quale chiederemo conto». E ai candidati, se eletti «chiediamo un dialogo sui contenuti e prese di posizione anche fuori degli schieramenti», ha ricordato Belletti. Insomma, anche se qualcuno vorrà leggere l’operazione come un’indicazione di voto, la sostanza è chiara. Proporre una piattaforma. Vedere chi ci sta. E poi vigilare con spirito critico e collaborativo con chi amministrerà (anche chi per varie ragioni non ha firmato e che «vogliamo convincere » , assicurano quelli del Forum), nella consapevolezza che la famiglia è un bene per il Paese, non è appannaggio di una parte. Il messaggio partito dal Family Day del 2007. Di parte non vuole essere neppure la proposta della sottoscrizione: piuttosto uno strumento di servizio per il discernimento del cittadino elettore, spiegano gli organizzatori. Già, perché se si guarda alla campagna e all’informazione politica messa in campo per la consultazione, il presidente nazionale del Forum storce un po’ il naso. E dedica alla questione il passaggio più duro del suo intervento. Invece di confrontarsi su sanità, servizi sociali, politiche del lavoro, educazione e scuola, tutela della vita umana, difesa della famiglia fondata sul matrimonio, sostegni alle giovani coppie e altri punti qualificanti delle politiche familiari, «sciaguratamente per lunghe settimane il 'discorso pubblico' di par- titi politici, candidati, organi amministrativi e mezzi di stampa è stato occupato dalla questione della correttezza delle liste elettorali, in un guazzabuglio mediatico che ha costretto lo stesso presidente della Repubblica a parlare di 'pasticcio'». Dunque, il Paese è stato «derubato» di un «dibattito serio» su contenuti, programmi e progetti proprio «di fronte a una scadenza che consideriamo di grande importanza per il nostro futuro immediato e più a lungo termine», ha concluso Belletti.
Il manifesto, presentato circa un mese fa, sollecita alcune misure a livello nazionale, da declinare sempre più nelle competenze regionali. Una legge per la famiglia «seria, finanziata, sussidiata e partecipata. Non assistenziale, ma di promozione». Avvio della Valutazione d’impatto familiare (che verifichi le conseguenze economiche dei provvedimenti amministrativi sui nuclei).
Presidio della riforma del federalismo fiscale, per avere anche a livello regionale e locale tariffe a misura di famiglia. Infine sostegno alla tenuta delle relazioni familiari, soprattutto dei legami di coppia. Diversa è stata la risposta sul territorio. Ci sono regioni che hanno registrato poche adesioni, altre a decine. Nel Lazio – regione che più ne ha attratte, oltre 80 – i politici non hanno apposto solo una firma: ci hanno messo pure la faccia. «Carta canta, ma noi ci siamo voluti avvalere anche delle risorse della multimedialità », ha detto il presidente del Forum del Lazio Gianluigi De Palo. Dunque, video della sottoscrizione con un minuto di discorsetto. E il tutto andrà su YouTube. Fra un anno anche la rete farà da testimone.
LE ADESIONI
TRA I CONSIGLIERI PREDOMINA L’UDC. FIRMA ANCHE IL MINISTRO CARFAGNA
Venti candidati alla presidenza della giunta regionale e circa 500 aspiranti consiglieri. In tanti hanno firmato il Manifesto del Forum delle associazioni familiari. Solo la Basilicata non è pervenuta. Né nell’una, né nell’altra graduatoria. I venti candidati governatore, tra i 50 in lizza: Filippo Callipo (Calabria, Idv), Stefano Caldoro (Campania, Pdl), Anna Maria Bernini (Emilia Romagna, Pdl), Gian Luca Galletti (Emilia Romagna, Udc), Renata Polverini (Lazio, Pdl), Sandro Biasotti (Liguria, Pdl), Roberto Formigoni (Lombardia, Pdl), Savino Pezzotta (Lombardia, Udc), Erminio Marinelli (Marche, Pdl), Gian Mario Spacca (Marche, Udc), Roberto Cota (Piemonte, Lega Nord), Rocco Palese (Puglia, Pdl). Adriana Poli Bortone (Udc-Io Sud), Francesco Bosi (Toscana, Udc), Monica Faenzi (Toscana, Pdl), Enrico Rossi (Toscana, Pd), Paola Binetti (Umbria, Udc), Fiammetta Modena (Umbria, Pdl), Antonio De Poli (Veneto, Udc), Giuseppe Bortolussi (Veneto, Pd). Non hanno aderito, ma hanno inviato una lettera in cui sottolineano le consonanze, a loro dire, del proprio programma con il Forum Mercedes Bresso (Piemonte, Pd) e Vasco Errani (Emilia Romagna, Pd). La parte del leone nella suddivisione delle firme tra i consiglieri la fa l’Udc con oltre 160 sottoscrittori. Circa il doppio del Pdl e tre volte il Pd (una cinquantina). Una dozzina i leghisti e sette i dipietristi. Più una cinquantina delle liste civiche sia di centrodestra (16 della Polverini nel Lazio) sia di centrosinistra. Tra i consiglieri c’è anche il ministro per la Pari opportunità Mara Carfagna, capolista Pdl in Campania.
La tutela del nascituro al centro della politica tra i candidati governatori
In Emilia-Romagna Galletti (UdC) dice si, Errani (PD) non aderisce
La proposta è di inserire negli Statuti regionali il diritto alla vita per tutti fin dal concepimento
DA MILANO ENRICO NEGROTTI
Inserire nello Statuto regionale il riconoscimento del diritto alla vita di ogni essere umano fin dal concepimento. È questa la principale richiesta che il Movimento per la vita (Mpv) ha rivolto a tutti i candidati alla presidenza delle Regioni. E che ha ricevuto la risposta positiva – tra tutti – solo di 12 aspiranti governatori: in Piemonte, Roberto Cota; in Lombardia Roberto Formigoni e Savino Pezzotta; in Veneto: Antonio De Poli; in Emilia-Romagna: Gian Luca Galletti; in Toscana: Francesco Bosi; in Umbria: Paola Binetti; nel Lazio: Renata Polverini; in Puglia: Rocco Palese e Adriana Poli Bortone; in Basilicata: Magdi Cristiano Allam e Nicola Pagliuca. «Una seconda richiesta – ha scritto il Mpv ai candidati – è la ristrutturazione dei consultori familiari per restituirli alla loro essenziale funzione: strumenti che proteggono il diritto alla vita dei figli, non contro, ma insieme alle madri». La proposta di inserire il diritto alla vita sin dal concepimento negli Statuti regionali è altresì il primo punto di un decalogo che il Mpv ha proposto di sottoscrivere ai prossimi consiglieri (l’elenco di chi lo condivide è disponibile sul sito www.mpv.org, ma non vi è la certezza che tutti i candidati consiglieri abbiano ricevuto la richiesta). «È urgente – scrive il Mpv – che le Regioni raccolgano la sfida della vita e intervengano con provvedimenti legislativi e/o amministrativi nei vari settori (sociale, sanitario, familiare) in cui possono adottare politiche di sostegno al diritto alla vita».
Per questo il Mpv propone: riconoscimento del concepito quale soggetto e membro del nucleo familiare, anche ai fini di tutte le provvidenze economico- sociali; introduzione dell’obbligo per i consultori, di fronte alla donna che manifesti difficoltà legate alla prosecuzione della gravidanza: di informarla circa l’esistenza sul territorio di formazioni sociali e associazioni di volontariato prive di scopo di lucro impegnate in aiuto alla vita nascente e delle madri in difficoltà, sia prima che dopo la nascita; di documentare il colloquio e di compilare un questionario sulle cause che inducono la donna a chiedere l’aborto, il tutto nel rispetto della riservatezza e della tutela della privacy; stanziamento di un consistente budget finanziario da utilizzare per la rimozione delle cause che inducono a fare richiesta di interruzione di gravidanza; previsione di un percorso sociale personalizzato e urgente per le donne disposte a rimuovere la propria decisione abortista a fronte di un concreto sostegno; previsione e incentivazione nel Piano sanitario regionale di forme di collaborazione tra consultori e volontariato per la vita, anche attraverso regolamenti e/o convenzioni, al fine di aiutare le donne a rimuovere le cause che le inducono all’aborto; promozione della formazione degli operatori sanitari e sociali, che vengono a contatto con le madri in difficoltà per una gravidanza inattesa o indesiderata; finanziamento di corsi di formazione scolastici ed extrascolastici sullo sviluppo della vita umana prenatale e sull’importanza della tutela di ogni essere umano dal concepimento alla morte naturale; garanzia di un sostegno psicologico alle donne che manifestino problemi nel post- aborto; finanziamento regionale ai Comuni specificatamente destinato per l’aiuto a madri nubili e ai loro figli.
Da Avvenire di sabato 20 marzo 2010
RICORDO E TENACE IMPEGNO DI LEGALITÀ
ECCO LA PRIMAVERA QUESTO È IL SUO GIORNO ANTONIO MARIA MIRA
Per far nascere un fiore il seme muore. Sì muore, ma dal suo sacrificio ecco colori e profumi. È la primavera, stagione di bellezza e speranza. È la primavera messaggio di vita dopo la morte. Da quindici anni il 21 marzo, primo giorno di primavera, è la Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime delle mafie organizzata da Libera, l’associazione fondata da don Luigi Ciotti e che, è bene ricordarlo, unisce e coordina centinaia di associazioni, dall’Azione Cattolica all’Agesci, dalle Acli all’Arci, da Legambiente a tutti i sindacati e i movimenti giovanili, per lottare contro tutte le mafie e promuovere una cultura di legalità e giustizia.
Memoria e impegno, dolore e testimonianza, fatica e speranza. Hanno gli occhi, i volti, le lacrime ma anche il sorriso di Ninetta, Dario, Stefania, Lorenzo, Margherita, Massimo, Viviana, Antonio, Deborah, Matteo e dei più di cinquecento familiari di vittime di tutte le mafie che oggi attraverseranno le vie di Milano. Per ricordare i propri cari, per farli riemergere dall’oblio nel quale li voleva gettare la violenza mafiosa. Ma soprattutto per confermare il proprio impegno a trasmettere quel ricordo agli altri, ricordo di persone, ricordo di vite oneste e pulite. Lo faranno, oggi, tutti assieme così come fanno nei loro paesi andando nelle scuole, parlando ai giovani dei loro cari, di legalità, di speranza, di volontà di cambiare. «Per noi il 21 marzo è una festa, è la nostra festa», ha detto Ninetta, mamma di Pierantonio, ucciso a Niscemi e il cui corpo è stato fatto trovare solo dopo 14 anni. Già, una festa, come quando Ninetta il giorno del funerale del figlio ha voluto far suonare le campane a festa. Che forza, che energia positiva, che bella volontà di guardare sempre avanti. Grazie a quella «pedata di Dio – sono parole di don Ciotti – che ci aiuta a trasformare il dolore in testimonianza». È certo una felice coincidenza che fino a poco tempo fa il 21 marzo (giorno – secondo tradizione – della sua morte) si ricordasse San Benedetto. Ora et labora, preghiera e impegno, fede e legame stretto con la propria terra e proprie radici, valori profondi e lavoro positivo e concreto. Come questi familiari che malgrado l’immenso dolore non hanno voluto lasciare i propri paesi, ma li presidiano anche per noi. Il 21 marzo è la loro festa, ma è anche la festa di tutti quelli che con loro camminano sulle strade della legalità, della giustizia e della speranza. Di tutti, non solo di qualcuno, di una parte. Per questo suscita interrogativi il dibattito che si è aperto attorno alle proposte di legge che vorrebbero istituzionalizzare la «giornata della memoria e dell’impegno». Ottima intenzione, certo, ma accompagnata dall’ombra di un cambio di data, magari quella di una singola pur se famosa vittima (come Falcone o La Torre). Loro, i familiari, giustamente, non ci stanno. «Il 21 marzo è di tutti noi, è il giorno in cui ci siamo ritrovati e sentiti meno soli. Per questo ce lo dobbiamo tenere stretto». Ne hanno diritto. Meritano questa giornata nella quale, grazie al loro amore e a quello di tanti, sono riusciti a rinascere dalla morte. Come quel fiore che ai primi tepori di primavera sboccia di colore e di profumo. Segno di vita e di festa.
Da Avvenire di domenica 21 marzo 2010
IL DOLORE E LA FERMEZZA DI BENEDETTO
COLPI DI MAGLIO PER RIAPRIRE LA VIA ALLA SPERANZA MARINA CORRADI
Parole come non ne avevamo mai sentite dalla mite voce di Benedetto XVI. Parole come colpi di maglio. Gli episodi di pedofilia avvenuti nella Chiesa irlandese e gli errori di giudizio che li hanno preceduti e seguiti «hanno oscurato la luce del Vangelo a un punto tale cui non erano giunti neppure secoli di persecuzione». Chi ha abusato di innocenti ne risponderà ai giudici, e «davanti a Dio onnipotente». È un tuono, la voce del Papa nella lettera ai cattolici d’Irlanda. Del tuono ha la potenza, e l’eco bassa, gonfia di dolore e di sgomento. Vi si tocca con mano quel «senso di tradimento» affermato nelle prime righe: vi sono stati affidati degli innocenti, e li avete traditi. Lettera sacrosanta, e spaventevole. Evoca la severità di padri, cui non siamo più abituati. Evoca l’ira di un Dio, di cui abbiamo perduto la memoria. Non è, il Dio di questa lettera, il Dio bonario, e talvolta buonista, cui siamo stati educati a pensare. È un Dio che chiede vergogna e rimorso; e il Papa, a nome della Chiesa, esprime personalmente «vergogna e rimorso», per quei ragazzi violati da «atti peccaminosi e criminali». È un Dio che esige aperta consapevolezza di ciò che è stato perpetrato. Che si riconosca, davanti a Dio e agli uomini, il male fatto. Un Dio che pretende penitenza: ai fedeli di Irlanda viene indicata la via di una sorta di Quaresima lunga un anno: un anno di venerdì di digiuno e preghiera. (Penitenza, altra parola antica, a molti estranea. Ricorda, questa misura di Benedetto XVI, la severità di santi predicatori di altri secoli. Cui, pure, non siamo più abituati).
Consapevolezza piena, invoca dunque il Papa. Occorre riconoscere la gravità di ciò che è accaduto. Le responsabilità di una Chiesa attorno, di vescovi, che non sono intervenuti. Occorre giustizia: quella degli uomini, nei tribunali. E fin qui la lettera parla, appunto di giustizia; mentre afferma netta: «So che nulla può cancellare il male che avete sopportato ». La frase resta come per un attimo sospesa. (A cosa servirà la giustizia, se «nulla può cancellare il male sopportato»?) Già, umanamente, nulla. E però il Papa chiede alle vittime di non perdere la speranza. Quale speranza? «Credo fermamente nel potere risanatore dell’amore di Cristo», scrive.
Ora l’eco di tuono e d’ira si fa voce leonina, certezza granitica. Certezza di un Dio che «ha il potere di perdonare persino il più grave dei peccati, e di trarre il bene anche dal più terribile dei mali». Per cui l’ultima parola rivolta ai sacerdoti colpevoli della infamia peggiore è: «Non disperate della misericordia di Dio». L’ultima parola, non è di disperazione. Dove la giustizia si ferma, può allargarsi, se domandata, se implorata, la misericordia: la giustizia secondo Dio, capace di ricreare gli uomini.
Probabilmente, i passi più ripresi di questa lettera saranno altri. Forse queste righe rimarranno ignorate. Si parlerà di 'condanna senza appello': certo, condanna del peccato. Vergogna e penitenza per il peggiore, il più infame dei peccati. Ma misericordia per il peccatore che si converta: «Non disperate della misericordia di Dio». E questo, in un tempo come il nostro che rinnega ogni speranza e insegue, magari in forme gaie, il nulla, è lo sbalorditivo segno, lo stigma di diversità del cristianesimo. L’affermare con certezza di roccia che nulla è perduto, finché l’uomo domandi a Dio. Perché «là dove abbonda il peccato, sovrabbonda la Grazia», come scrive Benedetto, citando Paolo.
Lettera ai cattolici di Irlanda, da restare senza fiato. Per la inaudita fermezza di un padre – un padre come ne vorremmo ancora – che autorevolmente ordina di ammettere le colpe. Che evoca quel Dio, cui bisognerà rispondere. Ma dice alle vittime, con un’umiltà che è quasi preghiera: possiate riscoprire l’infinito amore di Cristo. E ai violentatori: pagate, ma non disperate. Il più infame dei mali, quello contro i nostri figli, quello che al solo pensiero ci acceca d’odio: nemmeno quello vince, per chi crede in Cristo, nel Figlio che s’è fatto carne e ha vinto la morte. È vero, nulla cancella certi ricordi. Solo Cristo, annuncia il Papa, li risana.
Da Avvenire di mercoledì 24 marzo 2010
ROMERO E LE ALTRE SENTINELLE DI DIO
NEL MONDO E TRA LA GENTE PER MISSIONE
GIULIO ALBANESE
Trent’anni fa moriva monsignor Oscar Arnulfo Romero, arcivescovo di San Salvador, ucciso a sangue freddo mentre celebrava la Santa Messa vespertina nella cappella dell’ospedale della Divina Provvidenza. E proprio nel giorno in cui il popolo salvadoregno è chiamato a fare memoria dell’estremo sacrificio del suo pastore, la Chiesa Italiana celebra la XVIII Giornata di preghiera e digiuno in ricordo dei missionari martiri e di quanti sono caduti, in varie circostanze, nell’adempimento del loro dovere evangelico. Si tratta di un’iniziativa promossa come ogni anno dal Movimento giovanile missionario della Fondazione Missio.
Nel 2009, secondo il computo redatto dell’agenzia Fides, sono stati 37 i missionari che hanno perso la vita: 30 sacerdoti, 2 religiose, 2 seminaristi, 3 volontari laici. Il numero complessivo è quasi doppio rispetto al 2008, ed è il più alto registrato negli ultimi dieci anni. Umanamente parlando, si tratta di un fenomeno davvero inquietante che genera cordoglio, dolore, turbamento, talvolta anche rabbia. Sì, per tutte le vicissitudini e angherie che avvengono nelle periferie del mondo e di cui sono testimoni queste sentinelle di Dio. Eppure il perdurare della violenza nei confronti dei giusti rappresenta paradossalmente, alla luce del Vangelo, uno stato di grazia e una forte provocazione per le coscienze. Non foss’altro perché l’identità cristiana, basata essenzialmente sulla consapevolezza dell’impronta divina presente nell’animo umano, ha sempre spinto i missionari a incarnare lo 'spirito delle beatitudini', offrendo le sofferenze vissute per l’edificazione di una società nuova, rispettosa dei diritti fondamentali della persona.
Ecco perché la vita di monsignor Romero e di tanti apostoli del nostro tempo ci induce a una sorta di discernimento sulla nostra quotidianità, nella consapevolezza che essi rappresentano il valore aggiunto del cristianesimo. Sappiamo che nel cuore dell’uomo ci sono anche meschinità e crudeltà e sappiamo che gli esseri umani sono capaci di compiere crimini indicibili contro gente indifesa; tuttavia, il seme del bene è presente nell’anima di ogni persona, creata a immagine e somiglianza di Dio. Vi sono infatti uomini e donne che si sacrificano per gli altri nella società contemporanea, senza chiedere nulla in cambio, facendosi per la famiglia planetaria testimoni di speranza, in prima fila sul fronte della lotta alle prevaricazioni e alle ingiustizie. In un mondo mercantile e globalizzato, regolato dalla scriteriata ed egoistica ricerca del profitto a tutti i costi, i nostri missionari sono davvero un segno di contraddizione, testimoniando il più grande comandamento sociale della storia: quello dell’amore. Un precetto divino che rispetta gli altri e i loro diritti. Esige la pratica della giustizia e ispira una vita che si fa dono di sé, nella consapevolezza che «chi cercherà di salvare la propria vita la perderà, chi invece la perde la salverà » (Lc 17,33). Insomma, se vogliamo un mondo migliore, dobbiamo uscire da noi stessi, fermamente convinti che il segno intangibile della gratuità sta proprio nella parresia intesa come coraggio di osare, di criticare i soprusi, l’assenza di solidarietà, l’odio, la guerra e ogni genere d’egoismo nella storia. È questa la discriminante tra una pratica religiosa, algida e disincarnata, asettica rispetto alle vicende umane, e la coraggiosa franchezza di coloro che, come i missionari di cui oggi facciamo memoria, vivono la militanza nel nome di Dio.
E quando per ignavia, stanchezza o delusione, noi cristiani del cosiddetto Primo Mondo, avessimo la tentazione di gettare la spugna rinunciando ad agire per il futuro, dovremmo avere l’umiltà di imparare da loro, martiri del Terzo Millennio. Sovvengono allora quasi istintivamente le parole del vescovo Romero: «La mia vita appartiene a voi». A un popolo da servire fedelmente.
La scelta di illuminare o oscurare l’esistenza è nella condotta dell’uomo e non fuori di lui.
Da E’ Vita supplemento di Avvenire di giovedì 23 marzo 2010
il confronto di Pesaro
Dal recente faccia a faccia tra gli autori del libro su Eluana e il signor Englaro, prima davanti agli studenti delle scuole superiori, poi nella sede della Provincia, un’utile lezione di metodo
«I FATTI, SENZA PAURA: COSA ABBIAMO IMPARATO»
Lucia Bellaspiga e Pino Ciociola
Quello che – pare – molti in Italia temono e noi chiedevamo da tempo, e cioè un nostro faccia a faccia con Beppino Englaro, è finalmente avvenuto giovedì scorso a Pesaro: da una parte noi, inviati di Avvenire e autori del libro Eluana. I fatti, dall’altra Englaro, affiancato da vari relatori che supportano la sua 'battaglia'. L’invito ci è arrivato dalla neonata Consulta per la laicità delle istituzioni di Pesaro (un insieme di associazioni disparate, che per comune denominatore hanno la laicità come valore assoluto: Circolo Arcigay, Movimento radicalsocialista, Associazione culturale alternativa libertaria, ecc.), in un primo tempo solo per un dibattito serale nella sede della Provincia di Pesaro, poi anche per un incontro mattutino dedicato agli studenti delle superiori. Se a organizzare il duplice evento era la Consulta per la laicità, totalmente schierata con Englaro, a moderare l’incontro era il suo presidente, Raffaele Belviso.
La nostra prima preoccupazione, quindi, era il rispetto di una par condicio anche minima: parità di tempi per parlare, in un dibattito che si sarebbe svolto davanti a un uditorio (almeno la sera) di parte. Abbiamo faticato: faticato a ottenere di sederci anche noi al tavolo con Englaro anziché nel pubblico; faticato a ottenere (se non altro sulla carta, perché poi le cose sono andate molto diversamente) un tempo analogo per esprimere i nostri contenuti.
Al mattino i 600 ragazzi delle scuole si sono interrogati sulla reale volontà di Eluana, sul suo stato di salute («era come i media la descrivevano?», «una malata terminale o solo una disabile?»), sul ruolo della tecnologia, sulla possibilità che durante lo stato vegetativo potesse 'sentire'. Hanno espresso dolore per Eluana ma anche rispetto per il padre. Ciò che ci portiamo a casa è la consapevolezza di quanto i ragazzi siano desiderosi di sapere, al di là delle ideologie. Fino a oggi nelle scuole Englaro è stato accolto senza un contraddittorio, mentre gli studenti sono i più aperti a valutare solo sui 'fatti' e non sui proclami, da qualsiasi parte vengano. Per dar loro ciò che chiedono, però, è necessario essere competenti, conoscere i fatti, esser pronti ad accogliere anche i loro dubbi, spesso peraltro condivisibili («qual è il confine tra accanimento terapeutico e diritto alle cure?»).
Alla fine del lungo incontro non è casuale se si sono affollati attorno a Massimiliano Tresoldi (il giovane risvegliatosi dopo 10 anni di stato vegetativo, raccontando che in quel decennio di 'assenza' aveva sentito tutto): a loro interessava vedere, toccare con mano quella vita che c’era, che c’era sempre stata, nonostante i medici dicessero «è morto da dieci anni».
Ciò che ci siamo portati via da Pesaro è anche la preoccupazione per migliaia di altri studenti meno fortunati, che nelle scuole d’Italia vengono sottoposti al suono di una sola campana. Quattro ragazzi si sono rivolti a Englaro parlando di «macchina da staccare», e mai lui li ha contraddetti, mai ha spiegato loro che la figlia viveva di vita autonoma (lo abbiamo alla fine fatto noi, anche se era difficile controbattere a causa di una conduzione poco propensa a cederci il microfono... un conteggio dei tempi, specie la sera, che in un vero dibattito sarebbe stato da codice rosso!).
Lo stesso moderatore, ben lungi dal moderare, ha spiegato a 600 ragazzi in pieno orario scolastico (se i genitori sapessero...) che l’unica cosa che conta è la libertà personale finché non si fa del male agli altri. Volete attraversare la strada quando è rosso?
La vita è vostra. Volete andare in due su un motorino? Fatelo.
Drogarvi? Nessun problema... Anche la sera di fronte alla Consulta il dibattito è stato serrato ma sereno, nonostante un tifo da stadio per Englaro e il vicepresidente della Provincia apertamente schierato. Eppure il pubblico – va detto – ci ha ascoltati e sembrava colpito da fatti che, evidentemente, non conosceva: «Da due anni in stato vegetativo, Eluana ha pronunciato due volte in maniera comprensibile la parola 'mamma'», abbiamo fatto sapere, e «a comando apre e chiude la mano». Stupidaggini, ha provato a sostenere Englaro. Ma noi leggevamo nero su bianco cartelle cliniche.
Dunque nessun timore, dibattiamo serenamente, dati alla mano, aperti anche a riconoscere eventuali ragioni dall’altra parte, ma non disposti a tacere rassegnati. Englaro si è detto d’accordo per altri confronti, anche televisivi. Noi sempre disponibili.
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