venerdì 5 marzo 2010

IL VANGELO DELLA DOMENICA

Salvezza è portare frutto non solo per sé ma per altri il vangelo
di Ermes Ronchi

III Domenica di Quaresima Anno C

In quel tempo si presenta­rono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici.
Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Cre­dete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Gali­lei, per aver subito tale sor­te? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo (...)
Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albe­ro di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Tàglialo dun­que! Perché deve sfruttare il terreno?”.
Ma quello gli ri­spose: “Padrone, lascialo an­cora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avve­nire; se no, lo taglierai”».

Racconti di morte, nel Vangelo, e grandi do­mande. Che colpa a­vevano quei diciotto uccisi dalla caduta della torre di Si­loe? È Dio che manda il ter­remoto? Per castigare qual­cuno distrugge una città? Ge­sù prende le difese di Dio e degli uccisi: la mano di Dio non produce morte; l’asse at­torno al quale gira la storia non è il peccato.
Chi soffre si chiede: che cosa ho fatto di male per meritarmi questo castigo?
Gesù risponde: niente, non hai fatto niente. Dio è amore e l’amore non conosce altro castigo che ca­stigare se stesso. Smettila di pensare che l’esistenza si svolga nell’aula di un tribu­nale, Dio non spreca la sua eternità in condanne, o in vendette.
La gente interroga Gesù su fatti di cronaca, ed è chiamata a guardarsi dentro. Se non vi convertirete, perire­te tutti. Due torri gemelle so­no crollate, un 11 settembre di anni fa, ma vi abbiamo let­to solo un fatto di cronaca, non un richiamo alla con­versione.
Se l’uomo non cambia, se non imbocca al­tre strade, se non si converte in costruttore di pace e giu­stizia, questa terra andrà in rovina perché fondata sulla sabbia della violenza e del­l’ingiustizia. Gesù l’ha messo come comando che riassu­me tutto: amatevi, altrimen­ti vi distruggerete tutti.
Il Van­gelo è tutto qui.
Amatevi, al­trimenti perirete tutti, in vite impaurite e inutili. Nella pa­rabola del fico sterile chi rap­presenta Dio non è il padro­ne esigente, che pretende giustamente dei frutti, ma il contadino paziente e fidu­cioso: «voglio lavorare anco­ra un anno attorno a questo fico e forse porterà frutto» .
Ancora un anno, ancora un giorno, ancora sole, pioggia e lavoro: quest’albero è buo­no, darà frutto! Tu sei buono, darai frutto! Dio, come un contadino, si prende cura co­me nessuno di questa vite, di questo campo seminato, di questo piccolo orto che io so­no, mi lavora, mi pota, sento le sue mani ogni giorno. «Forse, l’anno prossimo por­terà frutto».
In questo forse c’è il miracolo della pietà di­vina: una piccola probabilità, uno stoppino fumigante so­no sufficienti a Dio per at­tendere e sperare. Si accon­tenta di un forse , si aggrappa a un fragile forse. Per lui il be­ne possibile domani conta più della sterilità di ieri.
Con­vertirsi è credere a questo Dio contadino, simbolo di speranza e serietà, affaticato attorno alla zolla di terra del mio cuore.
Salvezza è porta­re frutto, non solo per sé, ma per altri. Come il fico che per essere autentico deve dare frutto, per la fame e la gioia d’altri, così per star bene l’uo­mo deve dare. È la legge del­la vita.

(Letture: Esodo 3, 1-8.13-15; Salmo 102; 1 Corinzi 10, 1­6.10-12; Luca 13, 1-9.

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