Da Avvenire di venerdì 7 maggio 2010
«Amaducci, un pastore umile e generoso»
Nella Cattedrale di Ravenna le esequie dell’arcivescovo emerito, presiedute dal cardinale Caffarra. Il ricordo del successore Verucchi
di Quinto Cappelli
RAVENNA. «Diocesi di Ravenna-Cervia ricordati del tuo 150° arcivescovo, paziente e buono e metti in pratica i suoi insegnamenti di pastore fedele al suo Signore». Lo ha raccomandato ieri pomeriggio nella Cattedrale di Ravenna il cardinale Carlo Caffarra, presiedendo le esequie di monsignor Luigi Amaducci, arcivescovo emerito di Ravenna-Cervia. Con l’arcivescovo di Bologna hanno concelebrato l’Eucaristia undici tra vescovi e arcivescovi e centinaia di sacerdoti delle tre diocesi servite da Amaducci: Forlì-Bertinoro, dov’era nato 87 anni fa, Cesena-Sarsina di cui era stato vescovo dal 1987 al 1990 e Ravenna-Cervia, che guidò dal 1990 al 2000.
Erano presenti anche i monaci e monache di Valleripa, la Famiglia religiosa da lui riconosciuta. All’omelia l’arcivescovo di Ravenna-Cervia, Giuseppe Verucchi ha tracciato il profilo del predecessore «umile e generoso, che voleva essere ricordato non solo come un galantuomo (caratteristica dei romagnoli), ma soprattutto come un vescovo nel cui cuore abitava l’amore di Dio e la carità verso la gente».
Nei dieci anni di episcopato ravennate Verucchi ha ricordato le tante attività pastorali del predecessore, fra cui l’amore per sacerdoti, religiosi e religiose, per l’Opera Santa Teresa, «il Cottolengo della Romagna», avviando la causa di beatificazione del fondatore don Angelo Lolli, il Congresso eucaristico, la cura del Seminario e la ristrutturazione del vescovado. «Queste e tante altre – ha concluso Verucchi – sono le tessere di un unico mosaico della sua opera pastorale, guidando la diocesi con amore e decisione».
Al termine del rito, l’arcivescovo di Ferrara-Comacchio, Paolo Rabitti, ha ricordato che «Amaducci era un romagnolo nel sangue, perché in vita aveva sempre avuto il pudore dei suoi sentimenti (anche se scriveva poesie), e un teutonico nello spirito». Anche negli ultimi dieci anni è vissuto a Cesena nella parrocchia e in casa del suo segretario, don Pierluigi Tonelli, «nel silenzio e nella preghiera», consapevole che quello era il ruolo del vescovo emerito, «contento però che le sue diocesi vivevano nell’unità e nella pace col loro vescovo».
Da Avvenire di venerdì 7 maggio 2010
SI PAGA PER CUSTODIRE LE CELLULE DEL CORDONE
L’anti-donazione irrompe in sala parto
FRANCESCO OGNIBENE
Non si capisce il perché, ma succede. E quando succede, non sembrano più scattare quegli automatismi culturali di difesa verso ogni insulto ai princìpi e al buon senso. Alludiamo al ribaltamento della realtà su delicatissime questioni bioetiche, per le quali esiste un intero campionario di paradossi.
Gli esempi si sprecano.
Le staminali adulte garantiscono terapie già funzionanti?
E allora si scatenano campagne per reclamizzare le virtù delle cellule embrionali, che sinora hanno guarito zero malati. I progressi della neonatologia rendono possibile la sopravvivenza di bambini nati prematuri a 22 settimane?
Ecco pensosi documenti sostenere che prima delle 25 settimane non vale la pena prendersi cura di quelle creature.
La selezione preimpianto degli embrioni moltiplica le giacenze nei freezer delle cliniche?
Si insiste per avere ancor più mano libera nel selezionare e congelare vite umane. E ancora: la pillola abortiva crea problemi, anche letali, ma si dimettono dall’ospedale le donne che l’hanno appena ingerita.
E via così, rimbalzando da un controsenso all’altro.
Fino a incontrarne uno nuovo, forse il più plateale, nascosto tra le pieghe di quella che comunque è un’ottima notizia.
Diffondendo i dati sulla raccolta dei cordoni ombelicali nel 2009, il Gruppo italiano trapianti di midollo osseo (Gitmo) ha fatto sapere che le unità messe al sicuro subito dopo il parto hanno conosciuto un incremento superiore al 55% in un solo anno, oltre quota 14mila. Ancora un’inezia rispetto ai parti in Italia (ben oltre il mezzo milione), ma questa crescita improvvisa è forse il segno che le mamme italiane stanno arrivando a comprendere quanto sia semplice e prezioso il gesto di donare e far conservare il sangue cordonale del proprio figlio, del quale la ricerca biomedica ci sta mostrando la straordinaria efficacia per curare leucemie, mielomi multipli, anemie mediterranee, immunodeficienze e linfomi.
Una vera panacea, che occorre raccogliere in modo appropriato, custodire in 'banche' pubbliche, mappare e rendere disponibile per chiunque ne abbia bisogno e sia geneticamente compatibile. Le cellule cordonali sono un tesoro terapeutico da far mettere al sicuro senza alcuna spesa, sapendo che se domani ci si trovasse nella necessità di utilizzarne le virtù cliniche ci sarebbe quasi certamente un altro donatore compatibile col proprio profilo. Invece si scopre che per la maggior parte i cordoni 'salvati' l’anno scorso (il 70%) non sono stati donati ma 'riservati' in vista di un beneficio futuro per il proprio figlio che però la scienza ha escluso categoricamente.
Per guarire da malattie genetiche – dicono gli esperti, pressoché inascoltati – è molto meglio ricevere cellule da donatori che usare le proprie, nelle quali è scolpito il medesimo difetto dal quale si vuole guarire. E allora, perché quella larga maggioranza di 'mancati donatori'? Perché esiste un fiorente mercato di biobanche private che custodiscono i cordoni a pagamento, utilizzando come testimonial personaggi dello spettacolo per fargli decantare le meraviglie del tenere gelosamente per sé un simile scrigno di possibili guarigioni altrui.
E visto che in Italia questo bazar delle cellule è ancora vietato, ecco il lamento (radicali in testa, al solito) per il fatto di costringere gli italiani a rivolgersi oltre frontiera anziché legalizzare anche da noi questa ingannevole forma di concorrenza alla donazione. Un capolavoro di contro-realtà, e di autolesionismo. La donazione infatti innesca un intreccio di generosità, tesse quella trama altruista che sostiene la nostra società. Non ne possiamo fare a meno: si vive (e ci si cura) solo grazie agli altri.
Non 'donare' significa semplicemente negare ciò che siamo. Perché mentire a noi stessi?
Da Avvenire di venerdì 7 maggio 2010
Nel 2009 i fondi sono stati ripartiti in interventi di carità in Italia e all’estero, progetti di culto e sostentamento dei sacerdoti. Il messaggio: «Queste opere sono anche opera tua»
Scelta dell’8xmille Un piccolo gesto, un mondo di bene DI LAURA DELSERE
Tre grandi destinazioni, ognuna con migliaia di opere realizzate. L’8xmille interpella anche nel 2010 gli italiani, a partire dal rendiconto dell’anno precedente. I fondi 2009 sono infatti stati ripartiti fra tre grandi voci: il sostentamento dei sacerdoti diocesani (381 milioni di euro), gli interventi di carità in Italia e nel Terzo mondo (205 milioni), i progetti di culto e pastorale nelle 226 diocesi del nostro Paese (423 milioni).
I fondi hanno sostenuto sacerdoti e volontari, promotori di evangelizzazione e sostegno agli ultimi. È a partire dal loro impegno che, anche quest’anno, la Chiesa cattolica chiede che le firme vengano riconfermate, affidandosi così per le sue risorse alle libere scelte dei fedeli.
Alla vigilia della consegna delle dichiarazioni dei redditi, saranno le parrocchie il centro degli appuntamenti informativi, che hanno preso il via con la Giornata nazionale 8xmille: celebrata lo scorso 2 maggio, ha aperto il periodo della rendicontazione.
Proprio nelle chiese sono disponibili pieghevoli, locandine e opuscoli «Guida alla firma 2010». Oltre che riferimenti per consultare il rendiconto annuale e conoscere le opere più da vicino. Tra le novità di quest’anno, il pieghevole «Queste opere sono anche opera tua» (stampabile dal sito www.8xmille.it). È sempre su questo spazio web che è consultabile il rendiconto 2009, mentre informazioni più sintetiche sono alla pagina 418 del Televideo Rai, dove è ricordato anche il numero verde a disposizione dei contribuenti 800.348.348.
Infine è per i giovani il canale 8xmille (www.youtuber.it/user/8xmille) su YouTube: raccoglie la collezione di oltre 80 filmati delle opere, realizzati in Italia e nei Paesi in via di sviluppo.
In tv invece il percorso sarà per immagini. Gli spot 2010 sono esempi scelti tra le tante opere targate 8xmille, rappresentativi delle tre ripartizioni dei fondi. Per dare conto dei contributi ai progetti caritativi in Italia, è stato girato lo spot su «Casa Arcobaleno» ad Olbia, centro di recupero per i tossicodipendenti, fondato 28 anni fa da un sacerdote: don Andrea Raffatellu, vicario diocesano e parroco della Sacra famiglia. Negli anni, 380 persone vi hanno affrontato, tra regole e lavoro agricolo, il percorso di disintossicazione.
I contributi 8xmille alla nuova edilizia di culto, che nei quartieri di nuova espansione urbana danno una mano alle comunità senza chiesa o senza spazi parrocchiali, sono riassunti nel filmato girato a San Massimiliano Kolbe, parrocchia di 10.000 abitanti a Bergamo. Grazie alle firme è cresciuto inoltre, nei servizi offerti ai poveri e nella fedeltà al Vangelo, il Centro polifunzionale Caritas di San Benedetto del Tronto.
È invece ai parroci di Scampia, hinterland di Napoli e periferia tra le più difficili d’Italia, che è dedicato lo spot sul sostentamento dei 38 mila preti diocesani, che l’8xmille contribuisce a remunerare. Sempre a sud, è girato a Gioia Tauro (Reggio Calabria) il filmato su un’opera che ha risvegliato le coscienze: quella dei giovani della cooperativa 'Valle del Marro', sostenuti dalla diocesi di Oppido-Palmi e dall’8xmille, attraverso la pastorale occupazionale promossa dalla Cei nel Mezzogiorno, tramite il 'progetto Policoro'.
Due i filmati sugli interventi di carità all’estero: i contributi 8xmille all’ospedale 'St. Mary' di Gulu, in Uganda. E quelli impiegati per la ricostruzione postterremoto in Perù, esemplari degli interventi d’emergenza che in questi anni le firme hanno reso possibili.
Da Avvenire di mercoledì 5 maggio 2010
NOI, I LIBRI E I GIORNALI. E UN’ATTIVITÀ CHE CI FA DIVENTARE E RESTARE NOI STESSI
Se non leggi, non vivi
FERDINANDO CAMON
Si discute su diversi giornali, da parte di scrittori, giornalisti, politici, insegnanti, su perché bisogna leggere, perché da noi si legge così poco, che cosa significa leggere, cosa significa non leggere. La mia opinione, di insegnante più che di scrittore, è molto semplice: leggere significa vivere, chi non legge non vive. Vivere significa capire la propria vita, ma la propria vita la si capisce solo se si è in grado di confrontarla con le vite degli altri, e questo si è in grado di farlo solo se si leggono libri.
Sono i libri che ti raccontano e ti spiegano la vita degli altri, tuoi contemporanei o tuoi progenitori. Leggendo, con-vivi con la vita di tutti. Non-leggendo, ti separi da tutti, non li raggiungi più, ti perdi. C’è un numero altissimo di italiani che non leggono nemmeno un libro all’anno: non sono italiani, non sono europei, non sono in collegamento con l’Italia o con l’Europa, non sono in collegamento nemmeno con l’umanità. L’umanità è un intreccio di miliardi di vite, che toccandosi si scambiano informazioni, domande, risposte, scoperte, dubbi. Lo fanno per mezzo della lettura. Chi non legge, non partecipa a questo scambio, ne resta fuori, si esclude dall’umanità. L’umanità parla a tutti, tranne a coloro che non leggono.
Se i libri raccontano le vite degli altri, i giornali raccontano le civiltà degli altri. Se non leggendo libri non puoi confrontare la tua vita e dunque non puoi capirla e dunque non la vivi ma la perdi, così non leggendo giornali non puoi confrontare la tua civiltà e dunque non puoi capirla, ci sei dentro ma non ne fai parte. I giornali riassumono e comunicano il lavoro che il mondo fa, tutto il mondo, giorno dopo giorno. Leggendo i giornali, tu ogni mattina introietti questo lavoro, ne erediti i risultati, te ne sostanzi, con essi nutri cervello cuore e nervi. Dopo questo nutrimento, sei diverso da com’eri prima.
Il mondo lavora per te. Ma se non leggi i giornali, non erediti questo lavoro, tutto ciò che il mondo fa, lo fa per tutti ma non per te: se non leggi i giornali, tu non fai niente per il mondo e il mondo non fa niente per te.
La lettura è una vaccinazione, chi non legge non si vaccina. Le malattie contro le quali agisce questa vaccinazione sono l’ignoranza, la disinformazione, il disinteresse per la vita politica, l’asocialità. Sono malattie gravi. Le conseguenze di queste malattie gravano sulla società. La società ha interesse a sconfiggere queste malattie, come ha interesse a sconfiggere il vaiolo o le altre malattie endemiche. Non è tollerabile che in una società ci siano individui non vaccinati contro il vaiolo o altre malattie endemiche, perché questi individui contraggono il virus e ne mantengono viva la minaccia. Colui che non legge non può essere un buon figlio, o buon padre, o marito, o cittadino, o buon elettore. Vota male perché è ingannabile, decide male per sé e per i figli, esprime giudizi disinformati, è un danno per la democrazia.
Si pensa che la scrittura sia stata inventata per 'fissare il debito': prima della scrittura, il debito era soltanto orale, e il creditore lo alzava come voleva, con la conseguenza che il debitore non finiva mai di sdebitarsi: era uno schiavo che generava schiavi.
Bisogna controllare ogni giorno il proprio dare-avere con il mondo. Leggere non dovrebb’essere un diritto, ma un dovere.
Da Avvenire di mercoledì 5 maggio 2010
«Quei sicomori daranno frutto»
Il convegno nazionale “Testimoni digitali. Volti e linguaggi nell’era crossmediale”, tenutosi a Roma lo scorso aprile, ha visto la partecipazione dei nostri Portaparola di Ravenna, i coniugi Marianella e Luciano Marni, che hanno avviato e che sostengono il progetto Portaparola di Avvenire nella nostra Diocesi.
«Abbiamo partecipato al Convegno con un grande desiderio di conoscere il mondo dei nuovi media davanti ai quali ci sentiamo intimiditi e un po’ imbranati. I nostri figli invece, 'nativi digitali', li abitano disinvolti.
Ci hanno molto coinvolto le analisi sul mondo giovanile che rivelano aspetti poco conosciuti dei bisogni dei nostri ragazzi: nostalgia del loro passato, desiderio di tenere saldi legami familiari e amicali, bisogno di relazioni fedeli.
Ci sono tanti 'sicomori' pronti per essere intagliati e che potranno dare 'molto frutto'»
Da Avvenire di sabato 8 maggio 2010
Spagna, la «morte degna» è già legge in Andalusia di Michela Coricelli
Da oggi l’Andalusia è la prima regione spagnola con una legge che garantisce la cosiddetta «morte degna». Si chiama «Legge dei diritti e delle garanzie della dignità delle persone nel processo di morte»: è stata pubblicata ieri nella Gazzetta ufficiale della comunità autonoma andalusa ed entrerà in vigore il 27 maggio. Proibito parlare di eutanasia.
Il governo regionale – socialista, come l’esecutivo centrale di José Luis Rodríguez Zapatero – assicura che questo testo non ha nulla a che fare con l’eutanasia attiva o il suicidio assistito, vietati (almeno per ora) dal Codice penale spagnolo. Ma l’iniziativa andalusa genera scetticismo: il Faro andaluso della famiglia e l’associazione “Hazte oir” in precedenza avevano espresso il timore che si tratti del primo passo verso l’eutanasia; uno strappo nella maglia legislativa iberica, per aprire il terreno ad una prossima riforma più radicale.
La normativa riconosce al paziente il diritto di rifiutare medicinali, interventi e terapie che potrebbero prolungare la sua vita in modo «artificiale». Il malato in fase terminale può dire no al respiratore artificiale o ad un farmaco. È una sua scelta. Il paziente ha anche il diritto a ricevere sedativi per calmare il dolore, anche se questi rischiano di accelerare la sua morte. Il testo vieta inoltre l’accanimento terapeutico e regolarizza la limitazione degli interventi di medici e personale sanitario. La legge assicurerà il rispetto della volontà del malato, anche qualora sia stata messa per iscritto precedentemente, con il testamento biologico. Dal 27 maggio tutti gli istituti sanitari andalusi – ospedali pubblici o cliniche private (anche religiose) – saranno obbligati a rispettare la norma, senza eccezioni. Nel testo, infatti, non è prevista l’obiezione di coscienza come era stato richiesto dall’opposizione.
L’Andalusia è la prima comunità autonoma spagnola a sancire i diritti dei pazienti in fase terminale, ma è probabile che altre regioni seguiranno l’esempio. Nonostante le assicurazioni del governo locale socialista, il testo contiene zone d’ombra e ambiguità, in particolare per quanto riguarda le cure palliative e la mancata garanzia del diritto all’obiezione.
Il dibattito è bollente. Nessuno nega i diritti di un malato terminale a fermare il dolore, ma il testo riapre inevitabilmente la spinosa questione del significato di «morte degna».
C’è chi pensa che una legge ad hoc non fosse necessaria, soprattutto in un momento in cui le reali preoccupazioni degli spagnoli sono altre. Insieme alle Canarie, l’Andalusia è la regione con il più alto tasso di disoccupazione di tutta la Spagna: è senza lavoro il 27% della popolazione attiva, ovvero 1.080.900 di persone.
Da Avvenire di sabato 8 maggio 2010
DOLORI, LE ANSIE E LE GIOIE
MAGGIO E LA SIGNORA ALLA QUALE AFFIDIAMO TUTTO
DAVIDE RONDONI
Maggio piovoso, maggio comunque violentemente odoroso. Di rose bagnate, di erbe cresciute con potenza, di cieli svarianti. E mese di Lei, si dice, della Madre che sei nei cieli. Dell’Ave Maria. E uno dice: cosa me ne faccio di un mese di maggio speciale per Lei ? Cosa serve un mese dedicato a Lei? Forse qualche prete l’ha spiegato in queste settimane e m’è sfuggito. Forse non stiamo più attenti a queste cose. E si sta distratti, si pensa: bene, è il mese detto della Madonna. E tutto va avanti come prima.
Fino a che accade qualcosa che non puoi non affidarLe. Insomma qualcosa che sovrasta talmente le tue forze che ti giri intorno e dici: ma questa cosa a chi la posso affidare? Che vuol dire in realtà: chi la può abbracciare? Perché affidare a Lei, mica vuol dire una cosa tipo 'servizio di pronto intervento'. A volte La si pensa come fosse l’idraulico, sia detto con il massimo rispetto della Signora. S’è rotto il tubo, può pensarci Lei? Magari s’è rotto proprio quello che bastava tener d’occhio con un po’ di manutenzione, ma si sa la nostra pigrizia, anche quella dell’anima, è tanta… Lei risolve perché abbraccia. Perché un problema risolto dà gioia forse al massimo fino all’insorgere di un prossimo problema. E invece un abbraccio che tiene tutta la vita la rende più venata di letizia e di pace. A Lei si può affidare tutto. Può essere una cosa piccola e che però ti angustia esageratamente o una cosa grandissima che nemmeno sai come chiamarla. Perché noi uomini siamo fatti così. A volte basta una cosa piccola che non va, una cosa da poco e ci viene l’ansia. Noi uomini intendo uomini e donne, si capisce. Hai voglia a dire: non ti preoccupare, non è niente. Non funziona e allora si vorrebbe affidare anche quella piccola vigliacchissima preoccupazione.
Che so, una faccenda di lavoro, un amico o un marito che non capiscono una cosa, o un figlio che non studia come dovrebbe. Oppure, ci sono quelle altre cose. Le frustate in faccia. Quelle analisi che non ci si aspettava. O quel maledetto incrocio.
O proprio lui, no... Ci sono quelle che magari vedi solo in televisione. Le fiamme per strada ad Atene per la proteste della crisi, o la povera disgraziata che nelle fiamme ha messo la sua piccolissima figlia. O la marea nera che avvelena il Pacifico. Insomma tutte quelle cose che ti vien male solo a pensarle, anche se poi pensi: io che ci posso fare? Anche questo secondo pensiero di impotenza non ti lascia tranquillo.
E poi c’è da affidare non solo i guai. Ma anche le gioie. E i desideri. Tutti, compresi quelli più nascosti. I desideri delicatissimi. Perché anche certe gioie non sai dove metterle. E certe sorprese se te le tieni ti fan scoppiare il cuore. E la gioia degli altri quando la vedi… Sì la gioia degli altri, di tuo figlio, della donna che ami, degli amici: a chi affidarla perché non si perda, perché sia una nota sempre in quei cuori, una screziatura in quegli occhi amati… È il mese più bello. È proprio adatto: la natura esplode sotto i nostri occhi, rivela la sua affascinante misteriosa meraviglia, piena di sfarzo e anche di difetti, di fioriture e marcite, di slanci e di cadute. Anche noi siamo fatti allo stesso modo, fantastici e fragili, pieni di semine delicate e di temporali e mareggiate.
«Misterio etterno dell’esser nostro», diceva Leopardi. Un mese che ci somiglia, si può dire. Forse anche per questo è il Suo mese. Di lei che era una come noi. Perciò è, per così dire, 'più facilmente' dei nostri, dalla nostra parte. Non c’è bisogno di spiegarLe tanto. Ha tutta la gamma del sentire umano. Ha avuto le sette spade. E rideva come una ragazza bellissima quando Lo ha visto tornare.
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