sabato 10 aprile 2010

IL VANGELO DI DOMENICA 11 aprile 2010

Quella pace che sgorga dalle ferite il vangelo di Ermes Ronchi


II Domenica di Pasqua Anno C
La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si tro­vavano i discepoli per ti­more dei Giudei, venne Ge­sù, stette in mezzo e disse loro: « Pace a voi! » . Detto questo, mostrò loro le ma­ni e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signo­re. Gesù disse loro di nuo­vo: «Pace a voi! Come il Pa­dre ha mandato me, anche io mando voi». Detto que­sto, soffiò e disse loro: «Ri­cevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non per­donerete, non saranno perdonati». (...)
Venne Gesù, a porte chiuse . C’è aria di paura in quella ca­sa, paura dei Giudei, ma anche e soprattutto paura di se stessi, di come lo ave­vano abbandonato, tradito, rinnegato così in fretta. Eppure Gesù viene. L’ab­bandonato ritorna da quel­li che sanno solo abbando­nare, il tradito si mette di nuovo nelle mani di chi lo ha tradito.
« E sta in mezzo a loro ». Ec­co da dove nasce la fede cri­stiana, dal fatto che Gesù sta lì, dal suo esserci qui, vi­vo, adesso. Il ricordo, per quanto appassionato, non basta a rendere viva una persona, al massimo può far nascere una scuola di pensiero. La fede nasce da una presenza, non da una rievocazione.
« Venne Gesù e si rivolge a Tommaso » Nel piccolo gregge cerca proprio colui che dubita: « Metti qua il tuo dito, stendi la tua mano, tocca! ». Ecco Gesù: non si scandalizza di tutti i miei dubbi, non si impressiona per la mia fatica di credere, non pretende la mia fede piena, ma si avvicina a me. A Tommaso basta questo gesto. Chi si fa vicino, ten­de le mani, non ti giudica ma ti incoraggia, è Gesù. Non ti puoi sbagliare!
Tommaso si arrende. Si ar­rende alle ferite che Gesù non nasconde, anzi esibi­sce: il foro dei chiodi, tocca­lo; lo squarcio nel fianco, puoi entrarci con una ma­no; piaghe che non ci sa­remmo aspettati, pensava­mo che la Risurrezione a­vrebbe cancellato, rimargi­nato e chiuso le ferite del Venerdì Santo.
E invece no! Perché la Pa­squa non è l’annullamento della Croce, ma ne è la con­tinuazione, il frutto maturo, la conseguenza. Le ferite sono l’alfabeto del suo a­more. Il Risorto non porta altro che le ferite del Crocifisso, da esse non sgorga più san­gue, ma luce. Porta l’oro delle sue ferite.
Penso alle ferite di tanta gente, per de­bolezza, per dolore, per di­sgrazia. Nelle ferite c’è l’o­ro. Le ferite sono sacre, c’è Dio nelle ferite, come una goccia d’oro.
Ciascuno può essere un guaritore ferito. Proprio quelli che parevano colpi duri o insensati della vita, ci hanno resi capaci di comprendere altri, di veni­re in aiuto. La nostra debo­lezza diventa una forza.
Co­me dice Isaia: guarisci altri e guarirà presto la tua feri­ta, illumina altri e ti illumi­nerai. Tommaso si arrende alla pace, la prima parola che da otto giorni accompagna il Risorto: Pace a voi! Non un augurio, non una sem­plice promessa, ma una af­fermazione: la pace è qui, è in voi, è iniziata.
Quella sua pace scende ancora sui cuori stanchi, e ogni cuore è stanco, scende sulla no­stra vicenda di dubbi e di sconfitte, come una bene­dizione immeritata e felice.

( Letture: Atti degli Apostoli 5,12-16; Salmo 117; Apoca­lisse 1,9- 11.12- 13.17.19; Giovanni 20,19-31)

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