sabato 11 luglio 2009

PORTA PAROLA 11 LUGLIO 2009

Da Avvenire di venerdì 10 luglio 2009

LUOGHI DELLO SPIRITO
Per tante persone il periodo estivo non è solo tempo di svago e riposo ma occasione per vivere esperienze spirituali
forti e crescere nell’amore alla Sacra Scrittura

Verucchi guida la Lectio divina nelle «parrocchie di mare» di Ravenna-Cervia
In vacanza con la Parola
da RAVENNA QUINTO CAPPELLI

« Invece di trascorrere la sera in giro per negozi a fare shopping, a passeggiare in riva al mare o andare a divertirvi, venite almeno una volta la settimana alla Lectio divina sul Vangelo della domenica successiva». La proposta ai vacanzieri delle spiagge dell’Adriatico arriva dall’arcivescovo di Ravenna-Cervia, Giuseppe Verucchi, che per l’ottavo anno consecutivo ha inaugurato la Lectio divina serale nelle parrocchie di mare, durante i mesi di luglio e agosto. Il via è avvenuto lo scorso lunedì sera a Punta Marina Terme, dove, spiegando il Vangelo di domenica prossima sulla missione degli apostoli inviati da Gesù a due a due, l’arcivescovo ha spiegato ai presenti che gremivano la chiesa: «Anche oggi Gesù Cristo ci manda in missione nell’ambiente in cui viviamo non soli, ma a due a due, cioè nella comunità. Per annunciare e testimoniare il suo amore e la sua misericordia non sono necessarie tante cose, ma l’essenziale: Gesù Cristo stesso e il suo Vangelo». La Lectio proseguirà in decine di parrocchie marine in una zona dove d’estate la popolazione passa da 5-6mila abitanti a circa 60mila. Spiega l’arcivescovo Verucchi: «L’evangelizzazione deve continuare anche in spiaggia, sotto l’ombrellone, perché molta gente durante le vacanze è più disponibile e interessata alla fede, alla riflessione e alla preghiera». Lo schema della Lectio prevede l’introduzione di Verucchi, la lettura del Vangelo della domenica successiva, la spiegazione, gli spunti per una traduzione della Scrittura nella vita di tutti i giorni, la preghiera e il canto finale. «La gente – sottolinea Verucchi –, anche in vacanza, ha fame e sete di Parola di Dio. Vuole capire il Vangelo, approfondire quel brano che ha sentito tante volte, spiegato magari in fretta nell’omelia domenicale. Qualcuno osserva di non avere mai pensato a una spiegazione del genere. Molti quesiti che la gente pone riguardano la comprensione del testo. La gente sta attenta e domanda di approfondire la Parola di Dio, l’unica che offre risposte ai grandi interrogativi, dà speranza, comunica gioia in un’epoca dominata da parole artificiali, vuote e senza senso». Al termine di ogni serata, la gente si ferma a parlare con molta familiarità e libertà, si confida, apre il proprio cuore. I temi sono quelli della fede e del suo confronto con le problematiche odierne.
Diversi chiedono di continuare l’esperienza oltre l’incontro. Così in alcune parrocchie sono i parroci a proseguire e guidare la Lectio divina settimanalmente. A Lido Adriano, in una parrocchia di 7500 abitanti d’inverno e 50mila d’estate, la Lectio divina è partecipata da un minimo di 150 persone. Poi, come racconta il parroco don Marco Cavalli, 75 anni, trenta dei quali trascorsi in questa comunità, «la Lectio divina prosegue per tutti gli operatori pastorali, ogni 15 giorni da ottobre a primavera». I partecipanti estivi sono centinaia per volta, provenienti da ogni parte d’Italia e non solo adulti, ma anche ragazzi, giovani, coppie e famiglie.
Alcuni raccontano di non aver mai partecipato ad approfondimenti del genere e chiedono che le parrocchie di residenza intraprendano iniziative simili.
All’inizio dell’estate la diocesi ha diffuso un depliant in tutte le parrocchie del mare con il programma di Messe, le celebrazioni e le iniziative fra cui appunto il calendario della Lectio divina. Dopo otto anni di esperienza, l’arcivescovo traccia un piccolo bilancio: «La perseveranza nel continuare si basa su vari fattori, fra cui la sete di verità della gente e la necessità della Chiesa di creare delle tradizioni forti che siano il contrario dell’occasionalità». Conclude l’arcivescovo:
«È bello incontrare anche turisti della Sicilia, della Lombardia, di Roma o di Torino che mi dicono: 'Sa, eccellenza, che abbiamo proposto l’esperienza al nostro parroco, che la fa proseguire durante l’anno, con la partecipazione di molte persone'».

Da Avvenire di mercoledì 8 luglio 2009

NELL ’ ESPERIENZA DEL CREDERE FONDAMENTALE IL « COME »
Cattolici, non narcisi

FRANCESCO D’AGOSTINO
Perché l’espressione 'cattolico adulto' mi appare equivoca e irritante? In primo luogo perché la percepisco come sottilmente discriminante. Se misurati a partire da questa categoria, i credenti che non facessero parte degli 'adulti', cioè del gruppo delle persone responsabili, capaci di intendere e di volere, dovrebbero essere considerati alla stregua di 'minorenni', cioè come bambini fondamentalmente irresponsabili, privi di discernimento e quindi bisognosi dell’aiuto degli 'adulti' per vivere correttamente la loro fede. In secondo luogo, perché (dobbiamo prenderne atto) quella di 'cattolico adulto' è una qualifica che un soggetto ordinariamente si autoattribuisce, con una buona dose di narcisismo.
Ma con quale legittimazione? Il problema naturalmente non sta nel sostenere o nel negare che esistano cattolici 'adulti' e cattolici 'minorenni' (è chiaro che possono esistere!), ma nello stabilire a chi spetti il compito di individuare gli uni e gli altri e in base a quali criteri. Il problema non è piccolo, perché, come è evidente, se i cattolici 'adulti' sono buoni, quelli non adulti sono da ritenere addirittura troppo immaturi, per essere giudicati sia buoni che cattivi. Ad alcuni potrà apparire che sto ponendo una questione non solo molto facile a risolversi, ma ormai risolta da tempo. Si deve ritenere adulto, lodevolmente adulto, il cattolico che prima di ogni altra voce ascolta i dettami della propria coscienza; colui che sia quindi portato a sospettare nei confronti di chi gli chieda docilità e adesione a tesi o a pratiche che egli non senta sue; colui che sia pronto quindi a dire di no a richieste (vengano queste dalla voce del parroco o dal magistero del Papa) che gli appaiano non solo indebite, ma semplicemente non convincenti. Andrebbe, in buona sostanza, ritenuto 'adulto', colui per il quale l’ubbidienza non è (più o almeno necessariamente) una virtù. Ai cattolici non adulti altro non resterebbe quindi che 'crescere', lentamente e pazientemente. Questo discorso, pur apparentemente così suggestivo, non funziona.
Come in altri casi, infatti, in questo discorso si confonde l’esperienza politica, alla quale davvero possono partecipare esclusivamente soggetti 'adulti' (nel senso sopra descritto), con l’esperienza ecclesiale, che ha una natura profondamente diversa. È da questa confusione che deriva l’immagine caricaturale che viene inevitabilmente elaborata a carico dei cattolici 'non adulti', presentati come dei bambini o come degli sciocchi, il cui unico orizzonte si trova a essere quello di un’ubbidienza passiva, se non cieca, all’autorità della Chiesa e ai suoi pastori. Le cose non stanno così. Vivere, da cattolici, la fede significa avere la consapevolezza che nessuno può credere 'da solo'. L’esperienza della fede è esperienza di comunione: credere 'in' è indissolubile dal credere 'con'. Ecco perché la voce della coscienza (voce preziosa e irrinunciabile, che mai deve essere manipolata o soffocata) non può essere assunta in una chiave solipsistica, come è evidente in coloro che della coscienza fanno un oracolo interiore, privato, incomunicabile.
Ascoltare la voce della Chiesa (cioè della comunità alla quale si appartiene e quindi la voce dei pastori, del magistero, del Papa, che di questa comunità sono parte prioritaria, nella logica del servizio alla verità) non significa soffocare la propria voce interiore o assumere atteggiamenti infantilmente passivi, ma capire che quel continuo dialogo ecclesiale, al quale tutti i fedeli sono chiamati a partecipare, non è dialogo tra chi è adulto e chi adulto non è, ma tra fratelli che condividono le stessa speranza e vanno insieme alla ricerca di quale, tra le tante che si offrono, sia la via giusta da percorrere. Non esistono veri cattolici che siano legittimati, in quanto cattolici, a qualificare se stessi come 'adulti': l’esperienza di una fede, chiamata a vivere nella comunione ecclesiale, non offre giustificazione alcuna a simili atteggiamenti narcisistici.

Da Avvenire di sabato 4 luglio 2009

Iran, dove sono i pacifisti?
IL CASO. Contro il regime di Teheran non c’è stata in Italia nessuna mobilitazione.
Due iniziative a Bolzano e Firenze sollevano il tema
di LORENZO FAZZINI

Iran, ma dove sono i pacifisti?
Perché la repressione di Teheran contro le manifestazioni post­elezioni non ha suscitato nel Belpaese un sussulto popolare di piazza, come invece avvenuto per episodi come la guerra anglo-americana in Iraq?
Qualche piccolo movimento sembra finalmente esserci: ieri a Bolzano il premio Nobel per la pace Shirin Ebadi ha ritirato il premio «Langer» assegnato alla sua collaboratrice, la giornalista Narges Mohammadi, vicepresidente e portavoce del Centro dei difensori dei diritti umani di Teheran, trattenuta in Iran dalla crisi in corso. Oggi Ebadi sarà a Trento e Verona, poi lunedì a Firenze su invito del consiglio regionale e della r ivista Testimonianze. Di certo, però, questi appuntamenti non stanno lasciando un segno profondo nell’opinione pubblica né stanno scuotendo il sonnecchioso mondo della politica. O quello della cultura.
In Francia un gruppo eterogeneo di in­tellettuali ha pubblicato su Le Monde un appello in favore della popolazione persiana sottoscritto, tra gli altri, da Noam Chomsky, Robe5rt Redeker, François Jullien, Michel Onfray, Ab­delwahab Meddeb. Da parte sua Pier­luigi Battista nei giorni scorsi sul Cor­riere della Sera ha messo il dito nella piaga della «passione effimera di un’o­pinione pubblica che ama emozionarsi per le piazze in fermento».
Ma cosa dicono quanti stanno 'alla ba­se' del mondo pacifista? «L’impressio­ne è di una certa disillusione e stan­chezza nell’opinione pubblica, una mancanza di slancio verso il tema dei diritti umani». Severino Saccardi è un nome storico dell’impegno cristiano a favore della pace: è direttore del perio­dico Testimonianze, fondato da padre Ernesto Balducci. Oggi siede nel consi­glio regionale della Toscana. «Di recen­te ci sono stati alcuni anniversari im­portanti, piazza Tienanmen o la que­stione Tibet. Al di là dell’adesione di principio, non c’è stata una partecipa­zione di massa: vige un certo disincan­to ». Concorda Christine Stufferin , presi­dente della Fondazione Alex Langer di Bolzano (che ieri ha ospitato la Ebadi): «Ahimè, a questi drammi si assiste e se ne prende atto leggendo sui giornali. In termini di mobilitazione, mi pare che sia cambiata la reazione: la 'vecchia guardia' del ’68 pensa ancora in termi­ni di protesta plateale e pubblica. I giovani invece si mobilitano in maniera più privata e su internet. Ad e­sempio, tanti, qui da noi, sono andati in giro con un braccialetto verde in solida­rietà con i ragazzi di Tehe­ran ». «Firenze è stata un’i­sola felice sulla questione dell’Iran – riprende Saccar­di – . Abbiamo avuto il coinvolgimento di una folta comunità iraniana qui resi­dente, risalente al tempo del sindaco La Pira: alcuni giovani ora residenti qui sono figli di quanti protestavano contro lo scià.
Nelle manifestazioni di Firenze ho no­tato una partecipazione al di là delle appartenenze politiche o ideologiche». Ma come si spiega un certo 'silenzia­mento' del pacifismo nostrano su dramma 'lontano' come la repressio­ne iraniana? «Credo che quando non è immediatamente riconducibile a una critica anti-occidentale scaldi di meno l’opinione pubblica italiana – denuncia Saccardi – . Questo anti-occidentali- smo è un riflesso incondizionato. Qualche anno fa un pacifista mi diceva: la Cecenia? In fon­do non ci preme più di tanto perché non è al centro dell’Impero».
L’esperto Khaled Fouad Allam , docente di sociologia dell’islam all’Università di Trieste, allarga la prospettiva: «Questo disinteresse non è solo italiano. Guar­davo la tv francese nei giorni scorsi e non v’erano più notizie riguardo all’I­ran. Siamo in un’epoca in cui l’opinio­ne pubblica ha abdicato ad impegnarsi sui grandi temi della democrazia e del­la libertà di e­spressione.
È qualcosa di preoccupan­te, perché dimostra che siamo in so­cietà post-democratiche». Christine Stufferin punta il dito su quel sensazio­nalismo mediatico che, a volte, brucia l’impegno silenzioso, costante, sotto­traccia di tanti gruppi di base: «Quan­do di recente abbiamo annunciato il premio Alex Langer a Narges Moham­madi, in tanti ci hanno detto: avete scelto bene, visto quanto succede in I­ran. Ma invece la nostra decisione di premiare risale a marzo scorso: erava­mo ben coscienti dell’im­portanza di questo Paese nello scacchiere mondiale.
Abbiamo assegnato il rico­noscimento anche a perso­naggi cinesi mai incontrati a causa della censura. Il no­stro obiettivo è tenere desta l’attenzione su tutti i fronti dei diritti umani». Si scende in piazza solo quando è pre­ponderante l’elemento an­ti- americano? «Difficile dir­lo. Mi preoccupa di più que­sta opinione pubblica nar­cotizzata », sospira Fouad Allam, che è pure editorialista dell’Osservatore ro­mano.
«Può darsi che l’elemento anti­occidentale ci sia, ma noto di più que­sto disincanto verso la lotta per la li­bertà e la democrazia». Qualche spe­ranza c’è, chiosa Saccardi: «Ho visto dei passi in avanti: alla nostra manifesta­zione di Firenze sull’Iran c’erano filoso­fi come Sergio Givone, i sindacati, l’Ar­ci. Almeno qui a Firenze ho notato un atteggiamento positivo a 360° verso il tema dei diritti». Saccardi: «Quando non c’è la critica contro l’Occidente nessuno si muove». Stufferin: «I giovani protestano via web». Allam: «Anche all’estero si avverte un certo disimpegno»

Centro culturale “IL SEME”
parrocchia Natività di Maria Santissima
di Piangipane

“Una fede che non diventa cultura è una fede non pienamente accolta, non pienamente pensata, non pienamente vissuta”
Queste le parole di Giovanni Paolo II hanno stimolato il desiderio di formare questo centro culturale. Abbiamo voluto chiamarlo “IL SEME” perché ci è sembrato il nome che meglio esprime il nostro tentativo: essere testimonianza pubblica di come la Fede possa generare diventare cultura

“Vagliate tutto e trattenete il valore” diceva San Paolo

“Quanta gioia in questa furia di capire” diceva, per contro, duemila anni dopo Pier Paolo Pasolini

Il centro culturale “IL SEME” nasce per rispondere a questa esigenza che, più o meno coscientemente, fa parte di ogni uomo: è l’esigenza di conoscere, di confrontarsi, di scoprire la realtà per scoprire sempre di più se stessi.

Per associarsi è sufficiente telefonare ai seguenti numeri:

Emilio Crudeli 333 4050520 Giulia Plazzi 329 8533166 Claudia Baruzzi 333 3612227