domenica 26 dicembre 2010

BUON NATALE

UNITI CON LUI E TRA DI NOI
SCIOGLIAMO LE PAURE
ANGELO BAGNASCO
L’ Apostolo Paolo invita i cristiani di Fi­lippi a gioire.
È, la gioia, il desiderio di ogni uomo. Così come la vita e l’amore. E la festa di Natale evoca questi sentimen­ti nell’umanità intera, intensifica questi de­sideri, riaccende la nostalgia di questi be­ni. L’uomo – possiamo dire – è 'nostalgia', espressione che raccoglie e manifesta tut­to ciò che di bello e di buono, di presente e di futuro, di tempo e di eternità, abita nel nostro cuore.
Presente come realtà e come promessa: realtà che le nostre mani co­struiscono giorno per giorno; promessa perché l’esperienza ci insegna che non so­lo la vita e il bene sono segnati dallo scor­rere del tempo e che sempre sono incom­piuti. Finito e incompiuto sembrano il de­stino fatale dell’umanità e del mondo, sembrano cifra di questo splendido e drammatico universo.
Quanto più l’uomo scopre la precarietà di tutto, tanto più rie­merge e si rafforza il desiderio che si tin­ge di anelito e tensione - potremmo dire d’amore - e che si protende in avanti sa­pendo che la pienezza definitiva è un do­no davanti a noi.
Il Natale, mistero dell’Incarnazione di Dio nella storia, è la risposta a questo strug­gente desiderio: dalla notte di Betlemme la Luce è apparsa nelle nostre tenebre, la Presenza è entrata nelle solitudini del mondo, così che nessuno sarà più dispe­ratamente solo.
La vicinanza di Dio all’uomo è l’evento che – come un filo d’oro – attraversa tutto l’an­no liturgico: dal Natale alla Pasqua alla Pentecoste. Ma nella notte santa quella pre­senza si tinge di umiltà e tenerezza.
Quanto bisogno di umiltà e tenerezza!
Quanto più il mondo è arrogante e duro, tanto più ha bisogno di incontrare umiltà e tenerezza.
E Gesù Bambino ci viene in­contro proprio rivestito di questi abiti che ci richiamano all’essenziale, sciolgono le nostre paure, ci restituiscono la speranza.
Dio è con te! Questo è il Natale.
Non sei so­lo sotto i colpi della vita, nella ricerca del­la verità, nelle incomprensioni dei rappor­ti umani, davanti a responsabilità gravi.
Non siamo soli!
Ci guardiamo intorno e non possiamo negare il momento difficile per l’occupazione, le famiglie, i giovani. La vicinanza di Cristo, Figlio di Dio, non risolve miracolosamente le prove, ma ci aiuta a guardarle in modo nuovo e ad affrontarle insieme e con fiducia. Insieme con Lui, e in­sieme tra noi: ecco la solidarietà cristiana.
Andare incontro al Natale, lasciarci pren­dere dal suo segreto di luce, aprire il cuore alla divina presenza dell’Amore fatto uo­mo, genera la gioia. Non quella scialba e triste delle circostanze fortunose o delle soddisfazioni effimere, ma quella reale che penetra l’anima e ispira la vita: è la gioia di sapere di non essere più soli perché Dio-è­ con- noi.
Davanti all’incanto del presepe, alla straordinaria poesia della piccola grot­ta, ci uniamo al cammino dei pastori e ci auguriamo un buon Natale.

venerdì 17 dicembre 2010

Il sogno di Giuseppe, gesto d'amore

Il Vangelo a cura di Ermes Ronchi

IV Domenica di Avvento Anno A
Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo.
Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto.
Però, mentre stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa.
Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati» (...).

Secondo il Vangelo di Luca l'Annunciazione è fatta a Maria, secondo Matteo l'angelo parla a Giuseppe. Chi ha ragione?
Sovrapponiamo i due Vangeli e scopriamo che l'annuncio è fatto alla coppia, allo sposo e alla sposa insieme, al giusto e alla vergine innamorati.
Dio non ruba spazio alla famiglia, la coinvolge tutta; non ferisce l'armonia, cerca invece un sì plurale, che diventa creativo perché è la somma di due cuori, di molti sogni e moltissima fede.
Dio è all'opera nelle nostre relazioni, parla dentro le famiglie, dentro le nostre case, nel dialogo, nel dramma, nella crisi, nei dubbi, negli slanci, nelle oasi di verità e di amore che sottraggono il cuore al deserto. Maria si trovò incinta, dice Matteo.
Sorpresa assoluta della creatura che arriva a concepire l'inconcepibile, il proprio Creatore. Qualcosa che però strazia il cuore di Giuseppe: non volendo accusarla pubblicamente pensò di ripudiarla in segreto. Ma è insoddisfatto della decisione presa, perché è innamorato di Maria, e continua a pensare a lei, presente fin dentro i suoi sogni.
Giuseppe, l'uomo dei sogni, non parla mai, ma sa ascoltare il proprio profondo, i sogni che lo abitano: anzi, l'uomo giusto ha gli stessi sogni di Dio.
Non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Non temere, non avere paura, sono le prime parole con cui nella Bibbia Dio apre il dialogo con gli uomini: la paura è il contrario della fede, della paternità, del futuro, della libertà. Perché Dio non fa paura; se hai paura, non è da Dio.
Giuseppe prende con sé la madre e il bambino, preferisce l'amore per Maria, e per Dio, al suo amor proprio. La sua grandezza è amare qualcuno più di se stesso, il primato dell'amore.
Per amore di Maria, scava spazio nel suo cuore e accoglie quel bambino non suo. E diventa vero padre di Gesù, anche se non è il genitore.
Generare un figlio è facile, ma essergli padre e madre, amarlo, farlo crescere, farlo felice, insegnargli il mestiere di uomo, è tutta un'altra avventura. Padri e madri si diventa nel corso di tutta la vita.
L'annunciazione ha luogo nelle case. Al tempio Dio preferisce la casa, perché lì si gioca la buona battaglia della vita.
Ogni giorno di vita offerto è una annunciazione quotidiana.
Ogni figlio che nasce ci guarda con uno sguardo in cui ci attende tutta l'eternità. Dio ci benedice ponendoci accanto persone come angeli, annunciatori dell'infinito, e talvolta - per i più forti tra noi - ponendoci accanto persone che hanno bisogno, un enorme bisogno di noi.
Ed è così che non ci lascia vivere senza mistero.

(Letture: Isaia 7,10-14; Salmo 23; Romani 1,1-7; Matteo 1,18-24)

Nota sul dipinto Chiesa e Museo di San Francesco Museo del Metauro (PU)
Il dipinto, proveniente dalla chiesa di S. Francesco, raffigura l'Annunciazione secondo la consueta iconografia: in un interno, la Vergine orante volge lo sguardo verso l'arcangelo Gabriele che, recando il giglio in una mano, è inginocchiato di fronte a lei e con l'altra indica in alto la colomba dello Spirito Santo che, al momento dell'annuncio, discenderà su Maria.
Sullo sfondo, a destra, San Giuseppe al lavoro.
L'opera, seicentesca, è di un ignoto artista marchigiano che palesa influenze di Federico Barocci.

martedì 7 dicembre 2010

8 DICEMBRE: IMMACOLATA CONCEZIONE


Festività dell’Immacolata Concezione

Già celebrata dal sec. XI, questa solennità si inserisce nel contesto dell’Avvento-Natale, congiungendo l’attesa messianica e il ritorno glorioso di Cristo con l’ammirata memoria della Madre. In tal senso questo periodo liturgico deve essere considerato un tempo particolarmente adatto per il culto della Madre del Signore. Maria è la tutta santa, immune da ogni macchia di peccato, dallo Spirito Santo quasi plasmata e resa nuova creatura. Già profeticamente adombrata nella promessa fatta ai progenitori della vittoria sul serpente, Maria è la Vergine che concepirà e partorirà un figlio il cui nome sarà Emmanuele. Il dogma dell’Immacolata Concezione fu proclamato da Pio IX nel 1854. (Mess. Rom.)

Patronato: Patrona e Regina dell’ordine francescano

Martirologio Romano: Solennità dell’Immacolata Concezione della beata Vergine Maria, che veramente piena di grazia e benedetta tra le donne, in vista della nascita e della morte salvifica del Figlio di Dio, fu sin dal primo momento della sua concezione, per singolare privilegio di Dio, preservata immune da ogni macchia della colpa originale, come solennemente definito da papa Pio IX, sulla base di una dottrina di antica tradizione, come dogma di fede, proprio nel giorno che oggi ricorre.

Non memoria di un Santo, ricorre oggi: ma la solennità più alta e più preziosa di Colei che dei Santi è chiamata Regina.

L’Immacolata Concezione di Maria è stata proclamata nel 1854, dal Papa Pio IX. Ma la storia della devozione per Maria Immacolata è molto più antica. Precede di secoli, anzi di millenni, la proclamazione del dogma che come sempre non ha introdotto una novità, ma ha semplicemente coronato una lunghissima tradizione.

Già i Padri della Chiesa d’Oriente, nell’esaltare la Madre di Dio, avevano avuto espressioni che la ponevano al di sopra del peccato originale. L’avevano chiamata: ” Intemerata, incolpata, bellezza dell’innocenza, più pura degli Angioli, giglio purissimo, germe non- avvelenato, nube più splendida del sole, immacolata “.
In Occidente, però, la teoria dell’immacolatezza trovò una forte resistenza, non per avversione alla Madonna, che restava la più sublime delle creature, ma per mantenere salda la dottrina della Redenzione, operata soltanto in virtù del sacrificio di Gesù.

Se Maria fosse stata immacolata, se cioè fosse stata concepita da Dio al di fuori della legge dei peccato originale, comune a tutti i figli di Eva, ella non avrebbe avuto bisogno della Redenzione, e questa dunque non si poteva più dire universale. L’eccezione, in questo caso, non confermava la regola, ma la distruggeva. Il francescano Giovanni Duns, detto Scoto perché nativo della Scozia, e chiamato il ” Dottor Sottile “, riuscì a superare questo scoglio dottrinale con una sottile ma convincente distinzione. Anche la Madonna era stata redenta da Gesù, ma con una Redenzione preventiva, prima e fuori del tempo. Ella fu preservata dal peccato originale in previsione dei meriti del suo figlio divino. Ciò conveniva, era possibile, e dunque fu fatto.

Giovanni Duns Scoto morì sui primi del ‘300. Dopo di lui, la dottrina dell’Immacolata fece grandi progressi, e la sua devozione si diffuse sempre di più. Dal 1476, la festa della Concezione di Maria venne introdotta nel Calendario romano.

Sulle piazze d’Italia, predicatori celebri tessevano le lodi della Vergine immacolata: tra questi, San Leonardo da Porto Maurizio e San Bernardino da Siena, che con la sua voce arguta e commossa diceva ai Senesi: ” Or mi di’ : che diremo noi del cognoscimento di Maria essendo ripiena di Spirito Santo, essendo nata senza alcun peccato, e così sempre mantenendosi netta e pura, servendo sempre a Dio? “.

Nel 1830, la Vergine apparve a Santa Caterina Labouré, la quale diffuse poi una ” medaglia miracolosa ” con l’immagine dell’Immacolata, cioè della ” concepita senza peccato “. Questa medaglia suscitò un’intensa devozione, e molti Vescovi chiesero a Roma la definizione di quel dogma che ormai era nel cuore di quasi tutti i cristiani.

Così, l’8 dicembre 1854, Pio IX proclamava la ” donna vestita di sole ” esente dal peccato originale, tutta pura, cioè Immacolata.

Fu un atto di grande fede e di estremo coraggio, che suscitò gioia tra i fedeli della Madonna, e indignazione tra i nemici del Cristianesimo, perché il dogma dell’Immacolata era una diretta smentita dei naturalisti e dei materialisti.

Ma quattro anni dopo, le apparizioni di Lourdes apparvero una prodigiosa conferma del dogma che aveva proclamato la Vergine ” tutta bella “, ” piena di grazia ” e priva di ogni macchia del peccato originale. Una conferma che sembrò un ringraziamento, per l’abbondanza di grazie che dal cuore dell’Immacolata piovvero sull’umanità.

E dalla devozione per l’Immacolata ottenne immediata diffusione, in Italia, il nome femminile di Concetta, in Spagna quello di Concepción: un nome che ripete l’attributo più alto di Maria, ” sine labe originali concepta “, cioè concepita senza macchia di peccato, e, perciò, Immacolata.

Fonte: www.santiebeati.it

sabato 4 dicembre 2010

La buona notizia del Dio vicino

Il Vangelo di Ermes Ronchi

II Domenica di Avvento Anno A
In quei giorni, venne Giovanni il Battista e predicava nel deserto della Giudea dicendo: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!».
Egli infatti è colui del quale aveva parlato il profeta Isaìa quando disse: «Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!».
E lui, Giovanni, portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo erano cavallette e miele selvatico.
Allora Gerusalemme, tutta la Giudea e tutta la zona lungo il Giordano accorrevano a lui e si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati.
(...)


La frase centrale dell’annuncio del Battista suona così: il regno dei cieli è vicino, convertitevi. Sono le stesse parole con cui inizierà la predicazione di Gesù.

Dio è vicino, prima buona notizia.
Il grande Pellegrino ha camminato, ha consumato distanze. Per ora, solo il profeta vede i passi di Dio. Ma «non è la Rivelazione che s’attarda /sono i nostri occhi non ancora pronti» (E. Dickinson).
Avvento è l’annuncio che Dio è vicino, vicino a tutti, rete che raccoglie insieme, in armonia, il lupo e l’agnello, il leone e il bue, il bambino e il serpente (parola di Isaia), uomo e donna, arabo ed ebreo, musulmano e cristiano, bianco e nero, per una nuova architettura del mondo e dei rapporti umani. Il Regno dei cieli e la terra come Dio la sogna. Non si è ancora realizzata? Non importa, il sogno di Dio è il nostro futuro che ci chiama. Noi andiamo chiamati dal futuro.

La seconda buona notizia: allora la mia vita cambia.
Ciò che converte il freddo in calore è la vicinanza del fuoco. «Stare vicino a me è stare vicino al fuoco» ( Vangelo apocrifo di Tommaso), non si torna indenni dall’incontro col fuoco. La forza che cambia le persone è una forza non umana, una forza immane, il divino in noi, Dio che viene, entra e cresce dentro. Ciò che mi converte è un pezzetto di Cristo in me.
Convertitevi! Più che un ordine è una opportunità: cambiate strada, azioni, pensieri; con me il cielo è più vicino e più azzurro, il sole più caldo, il suolo più fertile, e ci sono cento fratelli, e alberi forti, e miele. Con me vivrai solo inizi. Vivrai vento e fuoco.
E frutti buoni. Rivelazione che nella vita il cambiamento è possibile sempre, che nessuna situazione è senza uscita, per grazia.

Il terzo centro dell’annuncio di Giovanni: portate frutti degni di conversione.
Scrive Alda Merini: la fede è una mano / che ti prende le viscere/ la fede è una mano / che ti fa partorire. Partorire un frutto buono!
Quando Dio si avvicina la vita diventa feconda e nessuno è più sterile. Dio viene al centro della vita non ai margini di essa (Bonhoeffer). Raggiunge e tocca quella misteriosa radice del vivere che ci mantiene diritti come alberi forti, che permette speranze nonostante le macerie, frumento buono nonostante la erbe cattive del nostro campo. Viene nel cuore della vita, nella passione e nella fedeltà d’amore, nella fame di giustizia, nella tenacia dell’onestà, quando mi impegno a ridurre la distanza tra il sogno grande dei profeti e il poco che abbiamo fra le mani. Perché il peccato non è trasgredire delle regole, ma trasgredire un sogno.
Un sogno grande come quello di Gesù, bello come quello di Isaia, al centro della vita come quello di Giovanni.

(Letture: Isaia 11,1-10; Salmo 71; Matteo 3,1-12; Romani 15, 4-9).

venerdì 26 novembre 2010

È Avvento, il tempo dell’ascolto

È Avvento, il tempo dell’ascolto Il Vangelo di Ermes Ronchi

I Domenica di Avvento Anno A
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Come fu­rono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio del­l’uomo.
Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e be­vevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè en­trò nell’arca, e non si ac­corsero di nulla finché ven­ne il diluvio e travolse tut­ti: così sarà anche la venu­ta del Figlio dell’uomo.
Al­lora due uomini saranno nel campo: uno verrà por­tato via e l’altro lasciato.
Due donne macineranno alla mola: una verrà porta­ta via e l’altra lasciata.
Ve­gliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Si­gnore vostro verrà».

Avvento è il tempo magnifico che sta tra il gemito delle creature e la venuta di Si­gnore, lunga ora tra le do­glie e il parto. Tempo per guardare in alto e più lonta­no, per essere attenti a ciò che sta accadendo. Noi sia­mo così distratti, che non riusciamo a gustare i giorni e i mille doni. Per questo non siamo felici, perché sia­mo distratti.

I giorni di Noè: mangiavano e bevevano gli uomini in quei giorni, prendevano mo­glie e marito. Ma che face­vano di male? Niente, era­no solo impegnati a vivere. Ma a vivere senza mistero, in una quotidianità opaca: e non si accorsero di nulla. È possibile vivere così, senza sapere perché, senza accor­gersi neppure di chi ti sfio­ra nella tua casa, di chi ti ri­volge la parola; senza ac­corgersi di cento naufraghi a Lampedusa, di questo pia­neta depredato, dei germo­gli che nascono. Non ci ac­corgiamo che questa affan­nosa ricerca di sempre più benessere sta generando un rischio di morte per l’intero pianeta. Un altro diluvio.

Il tempo dell’Avvento è un tempo per svegliarci , per ac­corgerci.

Il tempo dell’at­tenzione. Attenzione è ren­dere profondo ogni mo­mento.

Due uomini saranno nel campo, uno verrà portato via e uno lasciato . Non è del­l’angelo della morte che parla il Vangelo, ma di due modi diversi di vivere nel campo della vita: uno vive in modo adulto, uno infan­tile; uno vive affacciandosi sull’infinito, uno è chiuso solo dentro la sua pelle; u­no è chino solo sul suo piat­to, uno è generoso con gli altri di pane e di amore. Tra questi due uno è pronto al­l’incontro con il Signore, quello che vive attento, l’al­tro non si accorge di nulla.

Se il padrone di casa sapes­se a quale ora viene il ladro...

Mi ha sempre inquietato l’immagine del Signore che viene di soppiatto come un ladro nella notte. Cerco di capire: Dio non è un ladro di vita, e infatti non è la morte che viene adombrata in questa piccola parabola, ma l’incontro. Il Signore è un la­dro ben strano, non ruba niente, dona tutto, viene con le mani piene. Ma l’in­contro con Lui è rapinoso, ti obbliga a fare il vuoto in te di cento cose inutili, altri­menti ciò che porta non ci sta. Mette a soqquadro la tua casa, ti cambia la vita, la fa ricca di volti, di luce, di o­rizzonti.

Io ho qualcosa di prezioso che attira il Signore, come la ricchezza attira il ladro: è la mia persona, il fiume della mia vita che mescola insie­me fango e pagliuzze d’oro, questo nulla fragile e glo­rioso cui però Lui stesso ha donato un cuore.

Vieni pure come un ladro, Signore, prendi quello che è prezioso per te, questo po­vero cuore. Prendilo, e rido­namelo poi, armato di luce.

(Letture: Isaia 2,1-5; Salmo 121; Romani 13,11-14a; Matteo 24 ,37 -44 )

mercoledì 24 novembre 2010

In preghiera con il mondo per la Vita nascente

L’Associazione privata di fedeli “Progetto Gemma”, su indicazione e in comunione con Sua Santità Benedetto XVI, ha promosso la Veglia per la Vita nascente, che si terrà a livello mondiale la prima domenica di Avvento.

A Ravenna l’appuntamento, che ha carattere diocesano, sarà giovedì 25 novembre alle ore 20.45 presso la chiesa di San Vittore (via Narsete).

Il momento di preghiera prevede l’intronizzazione di un’icona della Madonna, i vespri, la celebrazione dei misteri gaudiosi del Rosario davanti il Santissimo Esposto, le suppliche non ancora pervenute dalla Santa Sede, la recita della preghiera finale dell’Evangelium Vitae; al termine, S. E. Mons. Giuseppe Verucchi presiederà la Santa Messa.

sabato 20 novembre 2010

Vangelo Domenica 21 novembre: Un Dio che si sacrifica per l’uomo

Un Dio che si sacrifica per l’uomo di Ermes Ronchi

XXXIV Domenica- Anno C Solennità di Cristo Re

In quel tempo, [dopo che eb­bero crocifisso Gesù,] il po­polo stava a vedere; i capi in­vece deridevano Gesù di­cendo: «Ha salvato altri! Sal­vi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto». (...). Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei».
U­no dei malfattori appesi al­la croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stes­so e noi!».
L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stes­sa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le no­stre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male».
E dis­se: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo re­gno ».
Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».

Cristo re dell’universo, proclama la liturgia. Ma dov’è il suo regno, dov’è mai la terra come Lui la sogna, la nuova architettura del mondo e dei rapporti u­mani? Lui, venuto come se non fosse venuto...Il Vangelo di oggi ci aiuta a delineare al­cuni tratti del Regno. Il pri­mo è rivelato dalle parole dei capi del popolo: ha salvato gli altri, salvi se stesso. Rico­noscono in Gesù una storia di uomini e donne salvati, guariti, rimessi in piedi, tra­sfigurati. Riconoscono che Gesù salva altri e non pensa a salvare se stesso. Qui è po­sta l’immagine nuova di Dio, l’assoluta novità cristiana: un Dio che non chiede sacrifici all’uomo, ma che si sacrifica lui per l’uomo. Che al centro dell’universo non pone se stesso, ma l’uomo salvato e guarito; che come obiettivo della storia non mette la pro­pria gloria o l’adorazione, ma la vita piena dell’uomo.
Regale è davvero questo a­more che si inabissa, dimen­ticandosi, nell’amato.
Il secondo tratto del volto del re è rivelato dalle parole del malfattore appeso alla croce: egli invece non ha fatto nul­la di male. Una frase sola, di semplicità sublime: non ha fatto nulla di male. In queste parole è racchiuso il segreto della regalità vera: niente di male, in quell’uomo; inno­cenza mai vista ancora, nes­sun seme di odio, il solo che non ha nulla a che fare con la violenza e con l’inganno.
Questo è bastato ad aprirgli il cuore: il ladro intravede in quell’uomo non solo buono, ma esclusivamente buono, un possibile futuro diverso, l’inizio di una umanità nuo­va. Intuisce che quel cuore pulito è il primo passo di u­na storia diversa, l’annuncio di un regno di bontà e di per­dono, di giustizia e di pace. Ed è in questo regno che do­manda di entrare.
Ricordati di me - prega il la­dro morente. Sarai con me ­risponde l’Amore. Sintesi ul­tima di tutte le possibili pre­ghiere.
Ricordati - prega la paura. Ti terrò con me - ri­sponde l’Amore. Solo ricor­dati e mi basta - prega l’ulti­mo respiro di vita. Sarai con me, risponde l’immortale. Non solo nel ricordo, ma in un abbraccio forte.
Ecco il nostro Re: uno che ha la forza regale e divina di di­menticare se stesso dentro la paura e la speranza dell’al­tro; il cuore di chi rivolge le sue ultime parole per gli uo­mini a un assassino e, in lui, a tutti noi che nascondiamo in fondo all’anima la tenta­zione o la capacità di una cul­tura di morte. È lì, nel ladro ucciso, la consacrazione su­prema della dignità dell’uo­mo: nel suo limite più basso l’uomo è sempre e ancora a­mabile per Dio, basta solo la sincerità del cuore. Non c’è nulla e nessuno di definiti­vamente perduto, nessuno che non possa sperare, per oggi e per domani.

(Letture: 2 Samuele 5,1-3; Sal­mo 121; Colossesi 1,12-20; Lu­ca 23 , 35 -43 ).

sabato 13 novembre 2010

Vangelo di Domenica 14 novembre: Viene un Dio esperto d’amore

il vangelo
Viene un Dio esperto d’amore di Ermes Ronchi

XXXIII Domenica Tempo Ordinario-Anno C

In quel tempo, mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: «Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta ». Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere? ». Rispose: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro! Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine» (...).

Verranno giorni in cui di tutto quello che vedete non sarà lasciata pietra su pietra.

Niente è eterno sulla terra, eccetto l’uomo. Non resterà pietra su pietra, ma l’uomo resterà, frammento su frammento.

Questo Vangelo ci fa camminare sul crinale stretto della storia: da un lato il versante oscuro della violenza che distrugge: guerre, terremoti, menzogne; dall’altro il versante pacificato da una immagine minima e fortissima: neppure un capello del vostro capo andrà perduto. Il crinale della violenza che distrugge, il versante della tenerezza che salva. E noi in mezzo, mantenendo chiaro il confine.
Quando avverrà tutto questo? Gesù non risponde al quando, perché il quando è adesso. Adesso il mondo è fragile, fragili la natura e l’amore. Ogni giorno un mondo muore e un mondo nuovo nasce, con lacerazioni e germogli.
Invece del quando, Gesù indica come camminare: con perseveranza.

Il cristiano non evade, non si toglie, sta in mezzo al mondo e alle sue piaghe, e se ne prende cura. Sta vicino alle croci di oggi, ma non per caso, se capita, fortuitamente, non occasionalmente, ma come progetto, con perseveranza: nella perseveranza salverete la vostra vita.

Ogni volta che perseveri e vai fino in fondo a un’idea, a una intuizione, a un servizio sfoci nella verità della vita. Ogni atto umano perseverante nel tempo si avvicina all’assoluto di Dio.
Salverete la vita significa la renderete libera da inganno e da violenza, i due elementi distruttori del mondo, i due nomi che il Vangelo dà al nemico dell’uomo: Padre della menzogna e omicida fin dal principio .
Quello di oggi non è un Vangelo sulla fine, ma un testo «apocalittico», cioè rivelatore del senso della storia e delle forze che la guidano.
I giorni dell’uomo sono pena e affanno, dice il salmista, ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto.

Al di là di guerre, di odio e cataclismi, oltre la stessa morte, viene un Dio esperto d’amore. Per Lui nulla è insignificante di ciò che appartiene all’amato. È l’infinita cura di Dio per l’infinitamente piccolo: un solo capello del capo interessa al Signore. Cosa c’è più affidabile di un Dio che si perde a contarti i capelli in capo? Che ama come innamorato ogni fibra dell’amato, l’uomo nella sua interezza, uno solo dei capelli e tutto il mio mistero?

Mi colpisce una parola: sarete odiati da tutti . Discepoli odiati: perché contestano la logica del mondo, smascherano l’inganno del denaro e del potere, l’inganno del mondo che ama la morte dicendo di amare la vita. Ci sono due mondi, loro sono dell’altro.

(Letture: Malachia 3,19-20; Salmo 97; 2 Tessalonicesi 3,7-12; Luca 21,5-19)

sabato 6 novembre 2010

Vangelo di Domenica 7 novembre

Il Vangelo di Ermes Ronchi

Non Dio dei morti ma dei viventi

XXXII Domenica Tempo ordinario - Anno C
In quel tempo, si avvicinarono a Gesù alcuni sadducèi – i quali dicono che non c’è risurrezione e gli posero questa domanda: (...) C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli.
Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli.
Da ultimo morì anche la donna.
La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie».
Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito (...)».

I sadducei propongono a Gesù una storia paradossale per mettere in ridicolo l’ipotesi stessa della risurrezione.
Ci sono molti cristiani come sadducei: l’eternità appare loro poco attraente, forse perché percepita più come durata che come intensità; come prolungamento del presente, mentre in primo luogo è il modo di esistere di Dio.
C’erano sette fratelli, e quella donna mai madre e vedova sette volte, di chi sarà nell’ultimo giorno? Non sarà di nessuno. Perché nessuno sarà più possesso di nessuno.
All’inizio, nei sette fratelli preme un’ansia di dare la vita, un bisogno di fecondità. Alla fine, l’ansia umana diventa ansia divina quando Gesù afferma: e saranno figli di Dio, perché sono figli della risurrezione . In Dio e nell’uomo urge lo stesso bisogno di dare la vita, a figli da amare.
La fede nella risurrezione non è frutto del mio bisogno di esistere oltre la morte, ma racconta il bisogno di Dio di dare vita, di custodire vite all’ombra delle sue ali .
Quelli che risorgono non prendono moglie né marito, dice Gesù.
In quel tempo sarà inutile il matrimonio, ma non inutile l’amore. Perché amare è la pienezza dell’uomo e la pienezza di Dio.
Saranno come angeli . Gli angeli non sono le creature gentili e un po’ evanescenti del nostro immaginario. Nella Bibbia gli angeli hanno la potenza di Dio, un dinamismo che trapassa, sale, penetra, che vola nella luce, nell’ardore, nella bellezza. Il loro compito sarà custodire, illuminare, reggere, rendere bello l’amore.
Ogni amore vero che abbiamo vissuto si sommerà agli altri nostri amori, senza gelosie e senza esclusioni, donerà non limiti o rimpianti, ma una impensata capacità di intensità e di profondità.
« Il Signore è Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe. Dio non è Dio di morti, ma di vivi ». Dio «di»: in questo «di» ripetuto cinque volte è contenuto il motivo ultimo della risurrezione, il segreto dell’eternità.
Una sillaba breve come un respiro, ma che contiene la forza di un legame, indissolubile e reciproco, e che significa: Dio appartiene a loro, loro appartengono a Dio.
Così totale è il legame, che il Signore giunge a qualificarsi non con un nome proprio, ma con il nome di quanti ha amato. Il Dio più forte della morte è così umile da ritenere i suoi amici parte integrante di sé.
Dio di Abramo, di Isacco, di Gesù, Dio di mio padre, di mia madre… Se quei nomi, quelle persone non esistono più è Dio stesso che non esiste. Se quel legame si dissolve è il nome stesso di Dio che si spezza.
Per questo li farà risorgere: solo la nostra risurrezione farà di Dio il Padre per sempre.

(Letture: 2 Maccabei 7,1-2.9-14; Salmo 16; 2 Tessalonice¬si 2,16-3,5; Luca 20, 27-38).

domenica 31 ottobre 2010

Il VANGELO di DOMENICA 31 ottobre 2010

Incontrare Gesù rende libero l’uomo

XXXI Domenica Tempo ordinario-Anno C (...)
Un uomo, di nome Zac­chèo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusci­va a causa della folla, perché era piccolo di statura.
Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomòro, perché doveva passare di là. Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zacchèo, scendi su­bito, perché oggi devo fer­marmi a casa tua». Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia.Vedendo ciò, tutti mor­moravano: «È entrato in casa di un peccatore!». Ma Zacchèo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai pove­ri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tan­to » (...).

C’ è un Rabbi che riempie di gente le strade. Tanta gen­te, al punto che Zacchèo, pic­colo di statura, ha davanti a sé un muro. Ma questo pic­colo- grande uomo non ha complessi, ha un obiettivo: vuole vedere Gesù, di parlar­gli non spera, e invece di na­scondersi dietro l’alibi dei suoi limiti, cerca la soluzione: l’albero.
Zacchèo agisce in nome non della paura ma del desiderio, e così diventa creativo, in­venta, va’ controcorrente, re­spira un’energia che lo fa cor­rere avanti e salire in alto.
Gesù passando alzò lo sguar­do: guarda quell’uomo dal basso verso l’alto, come quando si inginocchia e lava i piedi ai discepoli. Dio non ci guarda mai dall’alto in basso, ma sempre dal basso verso l’alto, con infinito ri­spetto, annullando ogni di­stanza.

Lo sguardo di Gesù: il solo sguardo che non giudica, non condanna, non umilia, e perciò libera; che va diritto al cuore e interpella la parte migliore di ciascuno, quel frammento puro che nessun peccato arriverà mai a can­cellare. Zacchèo vuol dire «Dio si ricorda». Ma non del tuo peccato, bensì del tuo te­soro si ricorda. Zacchèo cerca di vedere Ge­sù e scopre che Gesù cerca di vedere lui. Il cercatore si ac­corge di essere cercato, l’a­mante scopre di essere ama­to: Zacchèo, scendi, oggi de­vo fermarmi a casa tua.

«Devo» dice Gesù, devo fer­marmi! Dio deve cercarmi, deve farlo per un suo intimo bisogno: a Dio manca qual­cosa, manca Zacchèo, man­ca l’ultima pecora, manco io. Se Gesù avesse detto: Zac­chèo, io ti conosco bene, so che sei un ladro, se restitui­sci ciò che hai rubato verrò a casa tua. Credetemi: Zac­chèo sarebbe rimasto sull’al­bero.

Zacchèo prima incontra, poi si converte: incontrare uno come Gesù fa credere nel­l’uomo; incontrare un uomo così rende liberi; incontrare questo amore fa amare; in­contrare un Dio che non fa prediche e non condanna ma che si fa amico moltipli­ca l’amicizia. Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. Po­che parole: fretta, accogliere, gioia, che dicono sulla con­versione più di tanti trattati. Apro la casa del cuore a Dio, con fiducia, e la gioia e la vi­ta si rimettono in moto.
Infatti vediamo la casa di Zacchèo riempirsi di amici, il ricco diventare amico dei poveri: «Metà di tutto ciò che ho è per loro» Come se i poveri fossero la metà di se stesso.

Oggi a casa tua. Dio alla por­tata di ognuno. Dio nella ca­sa: alla mia tavola, come un familiare, intimo come una persona cara. Perché Gerico è su ogni strada del mondo: per ogni piccolo c’è un albe­ro, per ognuno uno sguardo. La casa di Zacchèo è la mia. Sulla soglia attendo: La mia casa è aperta, vieni!

(Letture: Sapienza 11,22-12,2; Salmo 144; 2 Tessalonicesi 1,11-2,2; Luca 19,1-10).

sabato 28 agosto 2010

IL VANGELO DI DOMENICA 29 AGOSTO 2010

L’amore senza calcoli, motore di vita
XXII domenica del Tempo Ordinario Anno C
Avvenne che un sabato Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo. Diceva agli invitati una parabola, notando come sceglievano i primi posti: «Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: “Cèdigli il posto!”. Allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto. Invece, quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto, perché quando viene colui che ti ha invitato ti dica: “Amico, vieni più avanti!”. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato ». (...)

La gente sta ad osservare Gesù e Gesù osserva gli invitati. C’è un incrociarsi di sguardi in quella sala che è la metafora della vita: conquistare i primi posti, competere, illusi che vivere sia vincere, prevalere, ottenere il proprio appagamento. Gesù propone un’altra logica: Tu vai a metterti all’ultimo posto. L’ultimo posto non è un castigo, è il posto di Dio, il posto di Gesù, venuto non per essere servito, ma per servire; è il posto di chi ama di più, di chi fa spazio agli altri. Amico, vieni più su , dirà allora l’ospite. A colui che ha scelto di stare in fondo alla sala è riservato questo nome intenso e dolce: amico. Amico di Dio e degli altri. L’ha dimostrato con quel gesto che sembra dire ad ognuno dei commensali: «Tu sei più importante di me, prima vieni tu». E così si fa amico di Dio, che eternamente altro non fa che considerare ogni uomo più importante di se stesso. Lo garantisce la Croce di Cristo. Quando offri una cena non invitare né amici, né fratelli, né parenti, né vicini ricchi: belli questi quattro gradini del cuore in festa, quattro segmenti del cerchio caldo degli affetti; non invitarli, perché poi anche loro ti inviteranno e il cerchio si chiude nell’eterna illusione del pareggio contabile tra dare e avere. Quando offri una cena invita poveri, storpi, zoppi, ciechi . Ecco di nuovo quattro gradini che ti portano oltre il cerchio della famiglia e degli affetti, oltre la gratificazione della reciprocità, che aprono finestre su di un mondo nuovo: dare in perdita, dare per primo, dare senza contraccambio.
Nel Vangelo il verbo «amare» si traduce sempre con il verbo «dare». E sarai beato perché non hanno da ricambiarti. In questa piccola frase è contenuto il doppio segreto della felicità: essa ha sempre a che fare con il dono, non può mai essere solitaria. Doni un po’ di felicità a qualcuno e subito la riattingi, moltiplicata, dal volto dell’altro. E sarai beato perché c’è più gioia nel dare che nel ricevere, come molti, come forse tutti abbiamo sperimentato. E sarai beato perché agisci come agisce Dio, come chi impara l’amore senza calcolo che solo fa ripartire il motore della vita. Invita i più poveri dei poveri e assicurati che non possano restituirti niente.
Vangelo stravolgente e contromano, che convoca un altro modo di essere uomini, il coraggio di volare alto, nel cielo di Dio, «il totalmente Altro che viene affinché la storia diventi totalmente altra da quello che è» (Barth), affinché la forza giovane del Vangelo sia sempre come una breccia di luce.

(Letture: Siracide 3,17-20.28-29; Salmo 67; Ebrei 12, 18-19.22-24; Luca 14, 1. 7-14)

IL VANGELO DI DOMENICA 22 AGOSTO 2010

Dio non si merita, ma si accoglie
XXI Domenica del Tempo Ordinario – Anno C
... Disse loro: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cer­cheranno di entrare, ma non ci riusciranno. Quando il pa­drone di casa si alzerà e chiu­derà la porta, voi, rimasti fuo­ri, comincerete a bussare al­la porta, dicendo: “Signore, a­prici!”. Ma egli vi risponderà: “Non so di dove siete”.
Allora comincerete a dire: “Abbiamo mangiato e bevuto in tua pre­senza e tu hai insegnato nel­le nostre piazze”. Ma egli vi di­chiarerà: “Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!”. Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abra­mo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori. Verran­no da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzo­giorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. Ed ecco, vi sono ultimi che saranno pri­mi, e vi sono primi che sa­ranno ultimi».

Sono pochi quelli che si salvano, o molti? Gesù non risponde sul nume­ro dei salvati ma sulle moda­lità. Dice: la porta è stretta , ma non perché ami gli sforzi, le fatiche, i sacrifici. Stretta perché è la misura del bambino: « Se non sarete come bambini non entrerete!» . Se la porta è piccola, per passare devo far­mi piccolo anch’io. I piccoli e i bambini passano senza fati­ca alcuna. Perché se ti centri sui tuoi meriti, la porta è stret­tissima, non passi; se ti centri sulla bontà del Signore, come un bambino che si fida delle mani del padre, la porta è lar­ghissima.L’insegnamento è chiaro: fat­ti piccolo, e la porta si farà grande; lascia giù tutti i tuoi bagagli, i portafogli gonfi, l’elenco dei meriti, la tua bravu­ra, sgònfiati di presunzione, dal crederti buono e giusto, e dalla paura di Dio, del suo giu­dizio.La porta è stretta ma aperta . In questo momento aperta. Quello che Gesù offre non è solo rimandato per l’aldilà, ma è salvezza che inizia già o­ra. È un mondo più bello, più umano, dove ci sono costrut­tori di pace, uomini dal cuore puro, onesti sempre, e allora la vita di tutti è più bella, più pie­na, più gioiosa se vissuta se­condo il vangelo. È aperta e sufficiente per tan­ti, tantissimi , infatti la grande sala è piena, vengono da o­riente e da occidente e sono folla e entrano, non sono mi­gliori di noi o più umili, non hanno più meriti di noi, non è questo. Hanno accolto Dio per mille vie diverse. Dio non si merita si accoglie. Salvezza è accogliere Dio in me, perché cresca la mia parte divina, ed è così che io raggiungo pie­nezza. Più Dio equivale a più io.
La porta è stretta ma bella, in­fatti l’attraversano rumori di festa, una sala colma, una mensa imbandita e un turbi­nare di arrivi, di colori, cultu­re, provenienze diverse, un mondo dove gli uomini sono finalmente diventati fratelli, senza divisioni. Nel seguito della Parabola la porta da aperta si fa chiusa e una voce dura dice: «Voi, non so di dove siete». Sono come stranieri, eppure avevano se­guito la legge, erano andati in chiesa... Tutti abbiamo senti­to con dolore questa accusa: vanno in chiesa e fuori sono peggio degli altri... Può acca­dere, se vado in chiesa ma non accolgo Dio dentro. Dio che entra e mi trasforma, mi cam­bia pensieri, emozioni, paro­le, gesti. Mi dà i suoi occhi, e un pezzo del suo cuore. Il Dio della misericordia mi insegna gesti di misericordia, il Dio dell’accoglienza mi insegna gesti di accoglienza e di co­munione. E li cercherà in me nell’ultimo giorno. E, trovandoli, spalan­cherà la porta.
(Letture: Isaia 66, 18-21; Sal­mo 116; Ebrei 12, 5-7.11-13; Luca 13, 22-30)

IL VANGELO DI DOMENICA 15 AGOSTO 2010

il vangelo di Ermes Ronchi
Siamo germogli di luce nel mondo

Assunzione della Beata Ver­gine Maria

In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la re­gione montuosa, in una città di Giuda. Entrata nel­la casa di Zaccarìa, salutò E­lisabetta. Appena Elisabet­ta ebbe udito il saluto di Ma­ria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Be­nedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! [...]
E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signo­re le ha detto». Allora Maria disse: «L’anima mia magni­fica il Signore e il mio spiri­to esulta in Dio, mio salva­tore, perché ha guardato l’umiltà della sua serva [...]».

L’ Assunzione di Ma­ria al cielo in anima e corpo è l’icona del nostro futuro, anticipazione di un comune destino: an­nuncia che l’anima è santa, ma che il Creatore non spre­ca le sue meraviglie: anche il corpo è santo e avrà, trasfi­gurato, lo stesso destino del­l’anima. Perché l’uomo è u­no.
I dogmi che riguardano Ma­ria, ben più che un privilegio esclusivo, sono indicazioni esistenziali valide per ogni uomo e ogni donna. Lo in­dica benissimo la lettura dell’Apocalisse: vidi una donna vestita di sole, che sta­va per partorire, e un drago.
Il segno della donna nel cie­lo evoca santa Maria, ma an­che l’intera umanità, la Chiesa di Dio, ciascuno di noi, anche me, piccolo cuo­re ancora vestito d’ombre, ma affamato di sole. Con­tiene la nostra comune vo­cazione: assorbire luce, farsene custodi (vestita di sole) , essere nella vita datori di vi­ta (stava per partorire): ve­stiti di sole, portatori di vita, capaci di lottare contro il male (il drago rosso). Indos­sare la luce, trasmettere vi­ta, non cedere al grande ma­le.
La festa dell’Assunta ci chia­ma ad aver fede nell’esito buono, positivo della storia: la terra è incinta di vita e non finirà fra le spire della vio­lenza; il futuro è minaccia­to, ma la bellezza e la vitalità della Donna sono più forti della violenza di qualsiasi drago.
Il Vangelo presenta l’unica pagina in cui sono protago­niste due donne, senza nes­sun altra presenza, che non sia quella del mistero di Dio pulsante nel grembo. Nel Vangelo profetizzano per prime le madri. « Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo ». Prima parola di E­lisabetta, che mantiene e prolunga il giuramento irre­vocabile di Dio: Dio li bene­disse (Genesi 1,28), e lo e­stende da Maria a ogni don­na, a ogni creatura. La pri­ma parola, la prima germinazione di pensiero, l’inizio di ogni dialogo fecondo è quando sai dire all’altro: che tu sia benedetto. Poterlo pensare e poi proclamare a chi ci sta vicino, a chi condi­vide strada e casa, a chi por­ta un mistero, a chi porta un abbraccio: « Tu sei benedet­to », Dio mi benedice con la tua presenza, possa bene­dirti con la mia presenza.« L’anima mia magnifica il Signore ». Magnificare signi­fica fare grande. Ma come può la piccola creatura fare grande il suo Creatore? Tu fai grande Dio nella misura in cui gli dai tempo e cuore. Tu fai piccolo Dio nella misura in cui Lui diminuisce nella tua vita.
Santa Maria ci aiuta a cam­minare occupati dall’avve­nire di cielo che è in noi co­me un germoglio di luce. Ad abitare la terra come lei, be­nedicendo le creature e fa­cendo grande Dio.
(Letture: Apocalisse 11,19a;12,1-6a.10ab; Salmo 44; 1 Corinzi 15,20-27a; Lu­ca 1 ,39 -56)

sabato 10 luglio 2010

IL VANGELO DI DOMENICA 10 luglio 2010

Una terra abitata da prossimi
XV Domenica del Tempo Ordinario - Anno C
In quel tempo, un dottore della Legge si alzò per mettere alla prova Gesù e chiese: «Maestro, [...] chi è mio prossimo?».
Gesù riprese: «Un uomo scen­deva da Gerusalemme a Gèrico e cadde nelle ma­ni dei briganti, che gli portarono via tutto, lo per­cossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mez­zo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quel­la medesima strada e, quando lo vide, passò oltre.
Anche un levìta, giunto in quel luogo, vide e passò oltre.
Invece un Samaritano, che era in viaggio, pas­sandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vi­no; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui.
Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, di­cendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”.
Chi di questi tre ti sem­bra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui».
Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così».

Maestro, che cosa devo fare per essere vivo, per essere uomo vero? Gesù risponde con un racconto in cui è racchiusa la possibile so­luzione della storia, la sorte del mondo e il destino di ognuno.
Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico. Un uomo, dice Gesù. Guai se ci fosse un aggettivo, buo­no o cattivo, ricco o povero, dei nostri o straniero. Può essere perfino un disonesto, un brigante anche lui.
È l’uomo, ogni uomo aggredito e che ha bisogno. Ogni strada del mondo va da Gerusalemme a Geri­co.
Il mondo geme, con le vene aperte; c’è un im­menso peso di lacrime in tutto ciò che vive, un o­ceano di uomini derubati, umiliati, violati, naufra­gati per ogni continente. È questo il nome eterno dell’uomo. Per caso un sacerdote scendeva per quella stessa stra­da . Il primo che passa, un prete, un uomo spiritua­le, passa oltre.
Ma cosa c’è oltre? Oltre il dolore, ol­tre la carne dell’uomo non c’è lo spirito, bensì il nul­la.
Quel prete non troverà mai Dio. «Percorri l’uomo, dice sant’Agostino, e raggiungerai Dio».
Uomo, via maestra verso l’assoluto! Invece un samaritano che era in viaggio lo vide, ne ebbe compassione, gli si fece vicino.
Un samaritano: uno straniero, un extracomunitario d’oggi, ha com­passione e si avvicina, scende da cavallo, forse ha paura, non è spontaneo fermarsi.
Misericordia – a­vere cuore per il dolore – non è un istinto, ma una conquista. Bisogna avvicinarsi, vedere gli occhi, a­scoltare il respiro, allora ti accorgi che quell’uomo è tuo fratello, un pezzo di te. E nulla di ciò che è uma­no ti può essere estraneo. Il racconto di Luca mette in fila dieci verbi per de­scrivere l’amore: lo vide, si mosse a pietà, si avvi­cinò, scese, versò, fasciò, caricò, lo portò, si prese cura, pagò... fino al decimo verbo: al mio ritorno sal­derò il debito se manca qualcosa.
Questo è il nuovo decalogo, i nuovi dieci comanda­menti, una proposta per ogni uomo, credente o no, perché l’uomo sia uomo, la vita sia amica, la terra sia abitata da «prossimi», non da avversari. Ma chi è il mio prossimo? Gesù risponde: tuo pros­simo è chi ha avuto compassione di te. Allora ricor­dati di amare i tuoi samaritani, quelli che ti hanno salvato, hanno versato olio e vino sulle tue ferite, e riversato affetto in cuore. Non dimenticare chi ti ha soccorso e ha pagato per te.
Li devi amare, con gioia, con festa, con gratitudine. E poi da loro imparare. Va e anche tu fa lo stesso . An­che tu diventa samaritano, fatti prossimo, mostra misericordia.
Il vero contrario dell’amore non è l’o­dio, è l’indifferenza.

( Letture: Deuteronomio 30,10-14; Salmo 18; Colosse­si 1 ,15 -20 ; Luca 10 ,25 -37 )

PORTA PAROLA 10 luglio 2010



Da PiùVoce.net del 8 Luglio 2010
Su "Europa" il professor Fagioli vede nero, anzi nerissimo
RIFORMA O ABBANDONO DELLA CHIESA: FALSO DILEMMA
Domenico Delle Foglie
“… nella situazione attuale la reazione prevalente in molti cattolici non è la proposta di una riforma della chiesa, ma l’abbandono della Chiesa”. Così Massimo Faggioli sul quotidiano “Europa” affronta la crisi della Chiesa determinata dallo scandalo della pedofilia e ritiene che il peggio tocchi proprio al Continente da rievangelizzare, dove il cattolicesimo ha vissuto immerso “in un quadro giuridico concordatario, lascito di un’eredità storico culturale che faceva della chiesa cattolica non una comunità religiosa fra le altre, ma il dirimpettaio e il rivale dello stato nazionale”. Maiuscole e minuscole sono tutte dell’autore.
Un’analisi disarmante e pessimistica che ipotizza l’eclissi del cattolicesimo europeo dal cuore dell’Europa. Senza risparmiare neanche un pizzico di ironia a proposito della tendenza a “spiritualizzare la crisi” nella quale si dibatte la Chiesa.
La realtà, come mi ha detto un amico cattolico, è che tutti gli analisti finiscono per confondere i piani. “Io sto col Papa – mi ha ripetuto tre volte questo amico milanese –. Ero in piazza San Pietro per manifestargli il mio affetto. E oggi mi fido di lui che mi indica l’assoluta necessità di tornare all’essenzialità della fede cristiana. Cioè l’amicizia che Gesù mi ha donato. A me basta per credere nel futuro della mia fede, ma anche della Chiesa”.
“Riforma”, caro professor Faggioli, forse non è parola adatta ai credenti. Meglio conversione del cuore. E amicizia di un Dio che ci ha salvato per sempre.
Il peccato orrendo della pedofilia di alcuni, non può cancellare la fede dei popoli.
Abbandoneranno la Chiesa, questa Chiesa, come prevede Faggioli? Chi può dirlo? E poi chi può dire che non possa essere addirittura un bene? Un prezzo da pagare oggi, per veder rifiorire la fede già domani? Meglio dubitare di tutte le nostre facili certezze e coltivare l’unica amicizia che davvero conta. Quella che ci aiuta a distinguere fra il peccato e il peccatore, anche quando veste i panni sacri del sacerdote. E soprattutto ci fa essere incondizionatamente fratelli della vittima.

Da PiùVoce.net del 8 Luglio 2010

No alle mere semplificazioni procedurali Sì al Tribunale unico per famiglia e minori
SEPARARSI DAL NOTAIO? SCORCIATOIA PERICOLOSA
Francesco Belletti
Sono sicuramente contrario alla proposta, ripresa dallo stesso Ministro Angelino Alfano venerdì 2 luglio, nel corso del Consiglio Nazionale del Notariato, di trasferire ai notai la gestione delle separazioni coniugali quando non ci sono figli, sia pure nella versione soft “per i soli aspetti patrimoniali”, ma da subito prefigurata anche come “per l’intera separazione”. La sacrosanta (e urgente!) esigenza di snellire le procedure della giustizia civile non può essere soddisfatta con scelte che rischiano di lanciare un segnale - l’ennesimo! - di totale privatizzazione delle scelte di coppia, che escono così dalla sfera della rilevanza pubblica per restare nel più puro ambito privatistico, anzi, addirittura commerciale. Come non ci convinceva lo slogan “adozioni più facili”, così non ci convince lo slogan “separazioni più facili”!
In altri termini, non possiamo accettare che l’impegno coniugale sia ridotto ad un accordo commerciale, ad un mero contratto privato, senza rilevanza di bene comune; siamo infatti convinti che “fare famiglia”, vale a dire contrarre matrimonio, sia una scelta di grande responsabilità sociale, che sia un vero impegno di costruzione della società, e che quindi il suo scioglimento abbia a che fare in modo significativo anche con un sistema giuridico che tenda a custodire la vita sociale del Paese a favore del bene comune, oltre che del legittimo interesse dei singoli cittadini. Invece “limitare” alla presa d’atto notarile la scelta di separarsi significa ridurre la scelta di coppia ad un atto totalmente privatizzato, escludendo qualunque “eccedenza di responsabilità pubblica”.
Non abbiamo bisogno, nel nostro Paese, di mere semplificazioni procedurali, che di fatto lasciano le persone ancora più sole di fronte alle scelte spesso drammatiche che la vita propone: abbiamo invece bisogno di un grande progetto di alleanza tra persone e società, che metta al centro la costruzione del bene comune, rafforzando, anziché alleggerendo, interventi di sostegno e di accompagnamento che aiutino le famiglie ad attraversare le crisi, anche grazie a giudici e operatori del diritto specializzati, competenti e motivati, esigenza emersa con chiarezza, nei mesi scorsi, anche dal dibattito sulla possibile costituzione di un “Tribunale unico per la famiglia e i minori” (e nodo su cui aspettiamo segnali forti dal Ministero competente).
Se ai cittadini viene giustamente chiesto di onorare i doveri di cittadinanza (anche nel loro “fare famiglia”), alla società spetta di sostenere i loro diritti di cittadinanza.
Nello specifico, non c’è certo bisogno, oggi, di una ulteriore privatizzazione del rapporto coniugale (talmente privato che basta l’occhio neutrale di presa d’atto del notaio, anziché la responsabilità pubblica del giudice); al contrario, difendere la necessità di riportare al foro giuridico la scelta di rompere il legame coniugale - scelta peraltro ampiamente possibile e facilitata, come le statistiche chiaramente documentano - significa riaffermare che quel legame è uno strumento insostituibile di coesione sociale e di cittadinanza. In un certo senso, significa riaffermare che “la famiglia è cellula fondamentale della società”, affermazione già contenuta nella Carta fondamentale dei Diritti dell’Uomo del 1948 e gravemente disattesa nel nostro Paese.

Da E’Vita supplemento di Avvenire di giovedì 8 luglio 2010
La petizione per fermare la campagna Sigo sul sesso sicuro che si rivolge a giovani e giovanissimi, è stata inviata al ministero della Gioventù dall’associazione «Due Minuti per la vita», con 800 firme raccolte in pochissimi giorni
«Ministro Meloni, tolga il patrocinio a Travelsex»
Antonella Mariani
Sospendere il patrocinio alla campagna pro­contraccezione lanciata per il periodo estivo dalla Sigo, la Società italiana di ginecologia e ostetricia.
È questa la petizione avanzata al ministero della Gioventù dall’associazione «Due Minuti per la vita», forte di una raccolta firme che in pochissimi giorni ha già raccolto 800 adesioni. La richiesta ufficiale è stata inviata al ministro Giorgia Meloni martedì scorso, 6 luglio, con una lettera circostanziata in cui si dà conto della contrarietà alla campagna Sigo, portatrice di una visione della sessualità «edonista e deresponsabilizzante, priva di valori veri, una visione in ultima analisi che considera l’altra persona come strumento di piacere, di divertimento e nulla più».
La campagna della Sigo per il sesso sicuro si rivolge a giovani e giovanissimi. Lanciata all’inizio dell’estate, comprende appuntamenti pubblici in 10 città italiane, con distribuzione di materiale informativo sulla più efficace 'protezione' durante i rapporti sessuali, tra cui la guida Travelsex, che offre il vocabolario base in tutte le lingue straniere per assicurarsi di non correre rischi durante le vacanze estive (tipo: «Prendi la pillola?». «Dove posso trovare un preservativo?»).
La campagna si avvale del contributo finanziario della Bayer Schering Pharma (produttrice tra l’altro di contraccettivi) e l’obiettivo dichiarato è di ridurre, attraverso l’uso di opportuni metodi contraccettivi, l’incidenza delle malattie sessualmente trasmissibili e il picco di aborti che, secondo la Sigo, si verificherebbero tra le giovanissime ogni anno a fine estate.
Contro questa impostazione si è mossa l’associazione «Due minuti per la vita», lanciando a metà giugno una raccolta di firme via Internet e invitando gli aderenti a spedire email di protesta direttamente alla Sigo e al ministero della Gioventù, anche utilizzando il modello disponibile sul suo sito (
www.dueminutiperlavita.info).
«Chi semina contraccettivi raccoglie aborti», si intitola la mozione. Non a caso: perché è ormai accertato che la diffusione della contraccezione non porta affatto a una diminuzione degli aborti, ma anzi può indurre, in alcuni casi, un effetto paradosso. In Francia e Gran Bretagna, per fare un esempio, dove la copertura contraccettiva è pressoché totale, nel 2008 sono stati effettuati rispettivamente quasi 47mila e 32mila aborti tra minorenni. Il 30 giugno, pochi giorni dopo l’avvio della protesta, il presidente della Sigo, Giorgio Vittori, ha inviato una lettera di risposta all’associazione. Vittori insiste sui comportamenti a rischio degli adolescenti ma si dichiara aperto «al dialogo» e pronto a misurarsi «anche con altre scuole di pensiero».
L’altra scuola di pensiero – l’associazione «Due minuti per la vita» – ha ripreso carta e penna e ha fatto presente a Vittori che molti autorevoli studiosi ritengono che il contraccettivo non sia la misura di prevenzione più efficace contro l’Aids, e che la strategia della «riduzione del danno» – diffusione dei preservativi per far decrescere gli aborti – non ha funzionato in diversi Paesi del mondo. Detto questo (e molto altro), l’associazione da una parte invita la Sigo a «ritirare la campagna pro-contraccezione, in quanto foriera di una visione della sessualità che non rende affatto giustizia alla verità, né a quella scientifica né a quella antropologica», e dall’altra sollecita il ministro della Gioventù a ritirarne il patrocinio.

Associazione Due minuti per la vita
Preghiera in difesa della vita nascente
Casella postale 299 - 10121 Torino - Fax. 011.19.83.42.99
www.dueminutiperlavita.info - info@dueminutiperlavita.org
www.facebook.com/dueminutiperlavita
e-campagn@: “Chi semina contraccettivi raccoglie aborti”
Protesta via e-mail contro la campagna pro-contraccezione lanciata dalla Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia con il patrocinio del Ministro della Gioventù

Cara amica, Gentile amico,
1. sappiamo che il mito della diffusione della contraccezione al fine di fare diminuire il numero degli aborti è ormai crollato da tempo. Ne è esempio lampante quello della Francia, paese in cui gli aborti non accennano a diminuire nonostante l’educazione sessuale sempre più precoce, nonostante un accesso alla contraccezione che più facile non si può, compresa la variante “d'emergenza” – la pillola del giorno dopo è fornita alle ragazzine gratis e senza ricetta nelle farmacie e da poco si è aggiunta quella dei “cinque giorni dopo” – nonostante uno dei tassi di diffusione della contraccezione medica più alti del mondo, nonostante le martellanti campagne sul sesso sicuro;

2. difendiamo il diritto dei giovani ad essere educati all’affettività, all’amore ed alla sessualità nel vero e profondo rispetto della dimensione integrale della persona umana e non a vedersi propinare una sorta di “manuale di istruzioni” su come poter praticare il sesso libero senza “spiacevoli conseguenze”. Non abbiamo bisogno di più profilattici nei nostri zaini e nelle nostre borsette, ma di più ragionevolezza e amore alla verità nei nostri cervelli e nei nostri cuori! Essendo giovani e conoscendo i nostri coetanei ne siamo sicuri: non è con le macchinette distributrici di lattici e di pillole che si educano l’uomo e la donna a divenire responsabili, ma con la fatica di interrogarsi su ciò che è adeguato, giusto e rispettoso nei confronti della dignità della propria persona;

3. riteniamo che l’impostazione della campagna pro-contraccezione lanciata dalla SIGO non sia rispettosa della vera natura della persona umana e possa condurre facilmente ad una visione della sessualità puramente edonistica e deresponsabilizzante, priva di valori veri, una visione che considera l’altra persona come strumento di piacere, di divertimento e nulla più.

Se condividete le nostre istanze Vi invitiamo a scrivere un'e-mail al Consiglio Direttivo della Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia (SIGO) ed allo staff del Ministro della Gioventù Giorgia Meloni per esprimere la personale contrarietà nei confronti di tale campagna pro-contraccezione e per chiederne il ritiro.

www.dueminutiperlavita.info

Da Avvenire di mercoledì 7 luglio 2010
VOLETE UN AUTENTICO MODELLO?
ECCOLO: MATEMATICO E UMANISSIMO:
SI CHIAMA GRISHA PERELMAN, È IL MIGLIORE. CON COERENZA E IN POVERTÀ
di Gabriella Sartori
Dici Maradona o Michael Jakson e tutti sanno di chi si tratta . Anche da sconfitti, o da morti, l’uno e l’altro restano un “mito “ per milioni (forse miliardi) di persone. Ma se dici Grigorij Perelman, la quasi totalità di queste persone non sa nemmeno chi sia.
Eppure, Grigorij Jakovlevic Perelman, Grisha per gli amici, qualche motivo per essere considerato un «mito» lo avrebbe. Specie per i giovani del nostro tempo: sui quali folle di educatori, e specialisti ciclicamente levano lamentele contro la «bassezza» dei nostri tempi incapaci, a loro dire, di offrire alle nuove generazioni alti esempi umani cui ispirarsi.
E se Grisha facesse al caso nostro ? Solo che ci si prenda la briga di sapere (e far sapere) chi è. A 44 anni d’età, Grigorij Perelman, matematico ed “eremita” di San Pietroburgo, è uno dei più grandi geni della matematica, che, come diceva Galileo, è la madre di tutte le scienze. È l’unico scienziato al mondo che sia riuscito a dimostrare per esempio, la «congettura di Poincaré», definita dagli esperti «un’impresa ai limiti dell’impossibile».
Una soluzione, quella trovata bellamente dal nostro Grisha, che potrà avere enormi ricadute anche economiche. Motivo per cui, per chi avesse vinto la sfida, il prestigioso Istituto Matematico Clay aveva messo in palio un premio da un milione di dollari. Che Grisha ha appena rifiutato. Come fa da sempre. Ed è qui che affiora anche l’altra straordinaria faccia del nostro eroe: che, da quando aveva 16 anni, vince a ripetizione i premi più inarrivabili senza mai "ritirarne" il corrispondente valore in denaro e fama. Con la buona ragione che «se la soluzione è quella giusta, non c’è bisogno di alcun altro riconoscimento».
Perelman, tra l’altro, ha rifiutato, negli anni scorsi, anche la prestigiosissima Medaglia Fields: un premio che è molto più arduo da conseguire di un premio Nobel (tutt’altro che immune – come si sa – da spinte politiche e ideologiche), in quanto viene assegnato, all’unanimità, e solo ogni quattro anni, dalla comunità mondiale dei matematici al migliore di loro che abbia meno di 40 anni. Grazie, non mi occorre, disse anche quella volta il nostro Grisha. Che, dopo aver insegnato e lavorato nelle migliori università e nei più considerati centri di ricerca statunitensi, vive e pensa e studia in povertà e nascondimento nella "sua" San Pietroburgo. Snobbando giornalisti, foto, interviste, collaborazioni con le più famose riviste scientifiche, da “Nature” in giù, girando per la sua città, o per gli amati boschi che la circondano, in abiti da mendicante.
Uno studentello che l’ha fotografato col suo cellulare in un angolo della metro cittadina, si duole oggi di non aver saputo “vendere” a dovere quella preziosa foto. Perché così gli è stato insegnato: che fama e denaro sono i soli valori che contano. Però non tutti i suoi coetanei gli somigliano. Nella bellissima San Pietroburgo, ci si può imbattere in giovani che indossano magliette con la foto di Grisha commentate dalla scritta «Non tutto si può comprare». Noi ci auguriamo che molti giovani, e non giovani, di tutto il mondo, li imitino.
La a lungo “impossibile” «congettura di Poincaré», l’aveva formulata nel 1904 questo grandissimo matematico francese che così scriveva: «Lo scienziato non studia la natura perché è utile, ma perché ne prova piacere perché è bella: se la natura non fosse bella,non varrebbe la pena di studiarla per tutta la vita e la vita non varrebbe la pena di essere vissuta». Parole vicine a quanto scriveva Einstein distinguendo, nel «tempio della scienza» coloro che vi entrano per fama, per orgoglio, per soldi, da quelli che lo fanno per l’inesausta ricerca dell’«armonia prestabilita», per una passione tanto pura quanto intensa non diversa da quella che – per lui – anima i mistici, i santi, i veri filosofi, poeti e artisti.
È bello che da Einstein a Poincaré a Perelman, resista forte il filo rosso che unisce attraverso il tempo questi uomini cui l’umanità deve molto più delle loro pur straordinarie scoperte. È triste che questi esempi umani non vengano conosciuti né proposti abbastanza. Un peccato, questo, contro la verità e contro la speranza.

Da Avvenire di martedì 6 luglio 2010
FICTION FEST
LUX: «PORTIAMO IN TIVÙ LA VERA STORIA DI PIO XII» di Tiziana Lupi
«Un uomo complesso, consapevole del dramma che va crescendo intorno a lui così come della grande prova che dovrà affrontare». E, anche, «un uomo intelligente, attivo, ma che trae la sua forza dal totale affidamento a Dio». Questo è, nelle parole dei produttori Matilde e Luca Bernabei, il ritratto di Pio XII che emerge dalla miniserie Sotto il cielo di Roma, la fiction che la Lux ha voluto dedicare a Papa Pacelli. Della miniserie è stato presentato in anteprima un trailer ieri, nella prima giornata del RomaFictionFest, nell’incontro intitolato «Lo stile Lux» in cui la società di produzione fondata da Ettore Bernabei ha proposto un assaggio anche di Preferisco il Paradiso, due puntate dedicate a San Filippo Neri (interpretato da Gigi Proietti), e di Ho sposato uno sbirro 2, sequel della fortunata serie interpretata da Flavio Insinna e Christiane Filangieri.
Sotto il cielo di Roma racconta lo scorcio di pontificato di Pio XII (interpretato dall’attore inglese James Cromwell) durante l’occupazione tedesca di Roma tra il 1943 e il 1944 e, spiegano i Bernabei, «in questo contesto ci è sembrato giusto raccontare il ruolo di Pacelli come defensor civitatis; i suoi sforzi, troppo spesso misconosciuti, di proteggere i cittadini della capitale a prescindere dalla loro razza e appartenenza di fede; il confronto con le autorità tedesche in cui giocò tutta la sua abilità diplomatica, mettendo anche a rischio la sua incolumità personale». Il film si apre e si chiude su un momento di raccoglimento e preghiera, in cui il pontefice si affida a Dio e, concludono i produttori, «nel rimandare al Signore il giudizio sul suo operato, Pio XII esprime il dramma del cristiano chiamato a fare scelte difficili in un tempo tragico. Scelte che, come hanno testimoniato tanti fin da allora, portarono alla salvezza di molte persone nascoste negli istituti religiosi su ordine del Papa che preferì agire piuttosto che fare proclami, deciso a spendersi per chiunque fosse minacciato».
Sicuramente meno controversa la vicenda terrena di san Filippo Neri, l’uomo che quando gli fu chiesto se voleva diventare cardinale disse che preferiva il Paradiso. Anche la sua storia sarà raccontata in due puntate (in onda come Sotto il cielo di Roma su Raiuno) che ne ripercorreranno la vita: nato a Firenze e vissuto per sessant’anni a Roma, «il Santo della gioia» mentre si celebrava il Concilio di Trento e prendeva avvio la Controriforma, formava bande di giovani scapestrati trasteverini avvicinandoli alla liturgia e facendoli divertire, cantando e giocando in quello che sarebbe divenuto l’Oratorio. Chiude la rassegna delle anteprime della Lux Vide Ho sposato uno sbirro 2: le vicende del commissario Diego Santamaria e di sua moglie Stella riprendono là dove si erano interrotte nella prima serie: con la nascita delle loro due gemelline.

da Jesus di luglio 2010
LA FEDE IN INTERNET
RETE NOSTRA, DACCI OGGI IL NOSTRO HI-TECH QUOTIDIANO
di Giorgio Banaudi internauta
La piccola cappellina è in penombra, i fotofori a led non avranno il profumo della lavanda ma vuoi mettere la praticità? Li ricarichi per un paio di ore e fanno la loro bella figura ovunque, senza fili tra i piedi. Ecco, inizia il vespro: un click e il monitor si accende.
Sullo schermo, in morbida dissolvenza, paesaggi, boschi, oceani sterminati e tramonti. Non c’è bisogno di essere irriverenti o estremi fautori dell’hi-tech per immaginare ben presto scene del genere. La penetrazione della tecnologia è di casa nelle chiese. Da sempre. Dai primi orologi che scandivano l’ora et labora, alle tipografie, alla radio... E non finirà certo con il computer...
Quello che invece difficilmente comprendiamo è come e quanto queste tecnologie stanno modificando le nostre abitudini.
Cambia il linguaggio, sorgono nuovi ambiti di significato, cresce una nuova mentalità di relazioni. Basterebbe osservare la diffusione delle recenti applicazioni per palmari e tablet. L’enfasi che il mercato ha decretato all’ultimogenito di Steve Jobs, l’iPad, indica come ormai il mercato sia maturo per il suo inserimento nei riti ufficiali del quotidiano.
Si stanno consolidando varie nicchie di mercato, oltre a quella di casa Apple, per le applicazioni dei nuovi strumenti. E mentre il pc lentamente si riduce, si indossa e si camuffa abilmente, la fantasia
degli utilizzatori ne traccia l’evoluzione. Smartphone, cellulari intelligenti, netbook, piccoli pc... Ci stiamo abituando a vedere la Rete non più come collante per unire altri pezzi, ma come l’ossigeno nel quale realizzare tutto il nostro vivere. Il mercato di iTunes (www.apple.com/itunes/), ma anche quello di Android (www.android.com), la piattaforma operativa concorrente, contraddistinta da una maggior apertura al software libero, iniziano a popolarsi di applicazioni che un tempo potevano sembrare degli sfizi e oggi sono concrete possibilità.
Non si contano i gadget compilativi, che riportano versetti, frasi e proverbi tratti dalla Bibbia; il versetto del giorno, ma anche la lettura del testo integrale; sono scaricabili per cellulare varie versioni, anche se quella della Cei, per il momento, non è ancora disponibile; possiamo rifarci con il greco o il latino cercando su www.acrobible.com o su cadreworks.com. Poi ci sono programmi con qualche pretesa in più. Didattica, come l’adventure della SimpleComplexity Games che racconta ai ragazzi la storia di Noè, o pratica, come l’italianissimo iBreviary che trasforma l’iPhone in un libro delle ore completo e tascabile (www.dimix.it). Per tenersi aggiornati, senza dover setacciare tutto il web, conviene sempre fare riferimento a qualche appassionato, come al curatore del blog www.religione20.net, che a contatto con i giovani respira le medesime tendenze.

Da Madre di Luglio 2010
GUARDARE E NON LEGGERE
di Mirella Poggialini
Sono sempre più impegnati, i nostri occhi: fra display del cellulare e schermi grandi e piccoli, siamo costantemente presi dalla decifrazione di immagini e messaggi, in un gioco costante di rimandi che arricchisce e anche complica la nostra vita.
Le immagini, che nei tempi antichi erano preziosa eredità collettiva da conservare e proteggere ora sono inflazionate da una miriade di supporti e di mezzi con i quali vengono proposte, registrate, diffuse, archiviate: in una serie infinita che ha influenzato anche il nostro modo di vedere e di guardare, che è invece prodotto di una scelta e di una decisione. Ne ha ricevuto un danno la nostra capacità di lettura, fortemente diminuita negli ultimi decenni, come dimostrano le indagini statistiche sulla scuola e sull’alfabetizzazione.
Molti leggono a fatica, senza la speditezza che l’operazione lettura esige: sono sempre più numerosi, soprattutto, coloro che non amano la lettura, la decifrazione di segni che non sono immagini, ma rimandano all’immagine indirettamente. È sempre più difficile orientare i piccoli alla lettura e suscitare nei più giovani interesse per il giornale o, tanto meno, il libro. Ne sanno qualcosa gli insegnanti, che devono assegnare la lettura che una volta si definiva «amena» come compito vero e proprio: e si vedono consegnare, alla fine, dei riassunti tutti uguali copiati da internet con ilare sicurezza, indicativa di una lettura mancata. L’evocazione dell’immagine che la letteratura suggerisce, in un’appropriazione dei personaggi e dei luoghi in cui ognuno traduce il racconto che legge, ora è sovrastata dall’immagine preconfezionata che ora la tecnica diffonde con dilagante abbondanza.
Educati dalla tv-baby sitter, i ragazzi di oggi non sono attratti dalla lettura come scoperta personale, come viaggio nella fantasia creativa: che anzi è stata soffocata da immagini – non è casuale la ripetizione del termine – costruite da altri. Il che isterilisce la capacità immaginativa, la soffoca in una formidabile abbondanza di riferimenti di cui tuttavia siamo usufruttuari e non creatori, e allontana il desiderio di misurarsi con la fatica della lettura, che è costruzione volitiva e possesso conquistato.
Fa malinconia il distacco con il quale i giovanissimi considerano il libro, nella sua più ampia capacità di assumere forme e valenze molteplici: quei libri che per noi anziani erano una volta dono significativo e desiderato, da conservare gelosamente, sono oggi quasi soltanto oggetti da rivendere una volta usati, come strumenti non amati.

Da L'Osservatore Romano di giovedì 8 luglio 2010
Dopo gli attacchi al cardinale Urosa Savino
Libertà d'espressione per la Chiesa in Venezuela
Caracas, 7. La Chiesa cattolica in Venezuela respinge con determinazione l'inqualificabile aggressione verbale di cui è stato fatto oggetto il cardinale arcivescovo di Caracas, Jorge Liberato Urosa Savino, da parte del presidente della Repubblica, Hugo Chávez. Quest'ultimo nei giorni scorsi ha infatti gettato benzina sul fuoco nei rapporti tra Stato e Chiesa. Lo ha fatto in due occasioni, approfittando anche delle celebrazioni per il bicentenario dell'indipendenza nazionale. Proprio il 5 luglio, parlando all'Assemblea nazionale nel corso della solenne seduta commemorativa, Chávez ha rivolto insulti pesantissimi al porporato, che recentemente aveva denunciato la chiusura di molti media dell'opposizione e aveva invitato il Governo a rispettare i diritti democratici sanciti dalla Costituzione. Insulti ribaditi anche in una trasmissione televisiva.
La reazione della Chiesa non si è fatta attendere. Per le prossime ore è stata annunciata una dichiarazione ufficiale dell'episcopato, mentre a caldo sono intervenuti il segretario generale della Conferenza episcopale, il vescovo Jesús González de Zárate Salas, e il consiglio presbiterale dell'arcidiocesi di Caracas.
In un'intervista alla rete Globovisión, il segretario generale dell'episcopato ha respinto con forza le accuse, facendosi anche portavoce delle numerosissime espressioni di solidarietà al cardinale giunte da tutto il Paese. "Purtroppo - ha detto il presule - il presidente ritiene essere un attacco personale tutto ciò che non è in linea con il suo modo di pensare". Ma la "posizione dei vescovi" - ha assicurato il segretario generale dell'episcopato - non è politica, ma ha lo scopo esclusivo di "illuminare la coscienza dei venezuelani". Da parte del presule, si stigmatizza poi la decisione di utilizzare per simili attacchi un "atto solenne" come la cerimonia per l'indipendenza nazionale.
Sulla stessa lunghezza d'onda anche il comunicato diffuso dal consiglio presbiterale dell'arcidiocisi di Caracas. Nel testo, infatti, "si deplora profondamente" che il presidente della Repubblica, "il presidente di tutti i venezuelani", utilizzi i mezzi di comunicazione e della televisione nazionale in una data così significativa come il 5 luglio, "che dovrebbe servire a riunire tutti i venezuelani", per "offendere e ridicolizzare" un cittadino che è anche pastore della Chiesa cattolica. Dopo aver ricordato che il cardinale Urosa, in quanto cittadino, ha il diritto a esprimere la propria opinione per contribuire al bene comune del Paese, il comunicato sottolinea ancora che come arcivescovo di Caracas il porporato "ha tutto il diritto, anzi, ha il sacro dovere di orientare tutti i cattolici all'esercizio dei principi e dei valori della morale religiosa nel contesto dell'attuale situazione sociale e politica del nostro Paese". E respingendo ogni ingerenza nell'organizzazione interna della Chiesa, si fa notare, inoltre, che tutti gli interventi del porporato su temi inerenti il bene comune sono stati ispirati ai principi del Vangelo e della dottrina sociale della Chiesa.


Segnaliamo il bellissimo sito cattolico: www.reginamundi.info
per chi cerca un momento intenso di spiritualità, preghiera e riflessione.