venerdì 26 novembre 2010

È Avvento, il tempo dell’ascolto

È Avvento, il tempo dell’ascolto Il Vangelo di Ermes Ronchi

I Domenica di Avvento Anno A
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Come fu­rono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio del­l’uomo.
Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e be­vevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè en­trò nell’arca, e non si ac­corsero di nulla finché ven­ne il diluvio e travolse tut­ti: così sarà anche la venu­ta del Figlio dell’uomo.
Al­lora due uomini saranno nel campo: uno verrà por­tato via e l’altro lasciato.
Due donne macineranno alla mola: una verrà porta­ta via e l’altra lasciata.
Ve­gliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Si­gnore vostro verrà».

Avvento è il tempo magnifico che sta tra il gemito delle creature e la venuta di Si­gnore, lunga ora tra le do­glie e il parto. Tempo per guardare in alto e più lonta­no, per essere attenti a ciò che sta accadendo. Noi sia­mo così distratti, che non riusciamo a gustare i giorni e i mille doni. Per questo non siamo felici, perché sia­mo distratti.

I giorni di Noè: mangiavano e bevevano gli uomini in quei giorni, prendevano mo­glie e marito. Ma che face­vano di male? Niente, era­no solo impegnati a vivere. Ma a vivere senza mistero, in una quotidianità opaca: e non si accorsero di nulla. È possibile vivere così, senza sapere perché, senza accor­gersi neppure di chi ti sfio­ra nella tua casa, di chi ti ri­volge la parola; senza ac­corgersi di cento naufraghi a Lampedusa, di questo pia­neta depredato, dei germo­gli che nascono. Non ci ac­corgiamo che questa affan­nosa ricerca di sempre più benessere sta generando un rischio di morte per l’intero pianeta. Un altro diluvio.

Il tempo dell’Avvento è un tempo per svegliarci , per ac­corgerci.

Il tempo dell’at­tenzione. Attenzione è ren­dere profondo ogni mo­mento.

Due uomini saranno nel campo, uno verrà portato via e uno lasciato . Non è del­l’angelo della morte che parla il Vangelo, ma di due modi diversi di vivere nel campo della vita: uno vive in modo adulto, uno infan­tile; uno vive affacciandosi sull’infinito, uno è chiuso solo dentro la sua pelle; u­no è chino solo sul suo piat­to, uno è generoso con gli altri di pane e di amore. Tra questi due uno è pronto al­l’incontro con il Signore, quello che vive attento, l’al­tro non si accorge di nulla.

Se il padrone di casa sapes­se a quale ora viene il ladro...

Mi ha sempre inquietato l’immagine del Signore che viene di soppiatto come un ladro nella notte. Cerco di capire: Dio non è un ladro di vita, e infatti non è la morte che viene adombrata in questa piccola parabola, ma l’incontro. Il Signore è un la­dro ben strano, non ruba niente, dona tutto, viene con le mani piene. Ma l’in­contro con Lui è rapinoso, ti obbliga a fare il vuoto in te di cento cose inutili, altri­menti ciò che porta non ci sta. Mette a soqquadro la tua casa, ti cambia la vita, la fa ricca di volti, di luce, di o­rizzonti.

Io ho qualcosa di prezioso che attira il Signore, come la ricchezza attira il ladro: è la mia persona, il fiume della mia vita che mescola insie­me fango e pagliuzze d’oro, questo nulla fragile e glo­rioso cui però Lui stesso ha donato un cuore.

Vieni pure come un ladro, Signore, prendi quello che è prezioso per te, questo po­vero cuore. Prendilo, e rido­namelo poi, armato di luce.

(Letture: Isaia 2,1-5; Salmo 121; Romani 13,11-14a; Matteo 24 ,37 -44 )

mercoledì 24 novembre 2010

In preghiera con il mondo per la Vita nascente

L’Associazione privata di fedeli “Progetto Gemma”, su indicazione e in comunione con Sua Santità Benedetto XVI, ha promosso la Veglia per la Vita nascente, che si terrà a livello mondiale la prima domenica di Avvento.

A Ravenna l’appuntamento, che ha carattere diocesano, sarà giovedì 25 novembre alle ore 20.45 presso la chiesa di San Vittore (via Narsete).

Il momento di preghiera prevede l’intronizzazione di un’icona della Madonna, i vespri, la celebrazione dei misteri gaudiosi del Rosario davanti il Santissimo Esposto, le suppliche non ancora pervenute dalla Santa Sede, la recita della preghiera finale dell’Evangelium Vitae; al termine, S. E. Mons. Giuseppe Verucchi presiederà la Santa Messa.

sabato 20 novembre 2010

Vangelo Domenica 21 novembre: Un Dio che si sacrifica per l’uomo

Un Dio che si sacrifica per l’uomo di Ermes Ronchi

XXXIV Domenica- Anno C Solennità di Cristo Re

In quel tempo, [dopo che eb­bero crocifisso Gesù,] il po­polo stava a vedere; i capi in­vece deridevano Gesù di­cendo: «Ha salvato altri! Sal­vi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto». (...). Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei».
U­no dei malfattori appesi al­la croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stes­so e noi!».
L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stes­sa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le no­stre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male».
E dis­se: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo re­gno ».
Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».

Cristo re dell’universo, proclama la liturgia. Ma dov’è il suo regno, dov’è mai la terra come Lui la sogna, la nuova architettura del mondo e dei rapporti u­mani? Lui, venuto come se non fosse venuto...Il Vangelo di oggi ci aiuta a delineare al­cuni tratti del Regno. Il pri­mo è rivelato dalle parole dei capi del popolo: ha salvato gli altri, salvi se stesso. Rico­noscono in Gesù una storia di uomini e donne salvati, guariti, rimessi in piedi, tra­sfigurati. Riconoscono che Gesù salva altri e non pensa a salvare se stesso. Qui è po­sta l’immagine nuova di Dio, l’assoluta novità cristiana: un Dio che non chiede sacrifici all’uomo, ma che si sacrifica lui per l’uomo. Che al centro dell’universo non pone se stesso, ma l’uomo salvato e guarito; che come obiettivo della storia non mette la pro­pria gloria o l’adorazione, ma la vita piena dell’uomo.
Regale è davvero questo a­more che si inabissa, dimen­ticandosi, nell’amato.
Il secondo tratto del volto del re è rivelato dalle parole del malfattore appeso alla croce: egli invece non ha fatto nul­la di male. Una frase sola, di semplicità sublime: non ha fatto nulla di male. In queste parole è racchiuso il segreto della regalità vera: niente di male, in quell’uomo; inno­cenza mai vista ancora, nes­sun seme di odio, il solo che non ha nulla a che fare con la violenza e con l’inganno.
Questo è bastato ad aprirgli il cuore: il ladro intravede in quell’uomo non solo buono, ma esclusivamente buono, un possibile futuro diverso, l’inizio di una umanità nuo­va. Intuisce che quel cuore pulito è il primo passo di u­na storia diversa, l’annuncio di un regno di bontà e di per­dono, di giustizia e di pace. Ed è in questo regno che do­manda di entrare.
Ricordati di me - prega il la­dro morente. Sarai con me ­risponde l’Amore. Sintesi ul­tima di tutte le possibili pre­ghiere.
Ricordati - prega la paura. Ti terrò con me - ri­sponde l’Amore. Solo ricor­dati e mi basta - prega l’ulti­mo respiro di vita. Sarai con me, risponde l’immortale. Non solo nel ricordo, ma in un abbraccio forte.
Ecco il nostro Re: uno che ha la forza regale e divina di di­menticare se stesso dentro la paura e la speranza dell’al­tro; il cuore di chi rivolge le sue ultime parole per gli uo­mini a un assassino e, in lui, a tutti noi che nascondiamo in fondo all’anima la tenta­zione o la capacità di una cul­tura di morte. È lì, nel ladro ucciso, la consacrazione su­prema della dignità dell’uo­mo: nel suo limite più basso l’uomo è sempre e ancora a­mabile per Dio, basta solo la sincerità del cuore. Non c’è nulla e nessuno di definiti­vamente perduto, nessuno che non possa sperare, per oggi e per domani.

(Letture: 2 Samuele 5,1-3; Sal­mo 121; Colossesi 1,12-20; Lu­ca 23 , 35 -43 ).

sabato 13 novembre 2010

Vangelo di Domenica 14 novembre: Viene un Dio esperto d’amore

il vangelo
Viene un Dio esperto d’amore di Ermes Ronchi

XXXIII Domenica Tempo Ordinario-Anno C

In quel tempo, mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: «Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta ». Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere? ». Rispose: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro! Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine» (...).

Verranno giorni in cui di tutto quello che vedete non sarà lasciata pietra su pietra.

Niente è eterno sulla terra, eccetto l’uomo. Non resterà pietra su pietra, ma l’uomo resterà, frammento su frammento.

Questo Vangelo ci fa camminare sul crinale stretto della storia: da un lato il versante oscuro della violenza che distrugge: guerre, terremoti, menzogne; dall’altro il versante pacificato da una immagine minima e fortissima: neppure un capello del vostro capo andrà perduto. Il crinale della violenza che distrugge, il versante della tenerezza che salva. E noi in mezzo, mantenendo chiaro il confine.
Quando avverrà tutto questo? Gesù non risponde al quando, perché il quando è adesso. Adesso il mondo è fragile, fragili la natura e l’amore. Ogni giorno un mondo muore e un mondo nuovo nasce, con lacerazioni e germogli.
Invece del quando, Gesù indica come camminare: con perseveranza.

Il cristiano non evade, non si toglie, sta in mezzo al mondo e alle sue piaghe, e se ne prende cura. Sta vicino alle croci di oggi, ma non per caso, se capita, fortuitamente, non occasionalmente, ma come progetto, con perseveranza: nella perseveranza salverete la vostra vita.

Ogni volta che perseveri e vai fino in fondo a un’idea, a una intuizione, a un servizio sfoci nella verità della vita. Ogni atto umano perseverante nel tempo si avvicina all’assoluto di Dio.
Salverete la vita significa la renderete libera da inganno e da violenza, i due elementi distruttori del mondo, i due nomi che il Vangelo dà al nemico dell’uomo: Padre della menzogna e omicida fin dal principio .
Quello di oggi non è un Vangelo sulla fine, ma un testo «apocalittico», cioè rivelatore del senso della storia e delle forze che la guidano.
I giorni dell’uomo sono pena e affanno, dice il salmista, ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto.

Al di là di guerre, di odio e cataclismi, oltre la stessa morte, viene un Dio esperto d’amore. Per Lui nulla è insignificante di ciò che appartiene all’amato. È l’infinita cura di Dio per l’infinitamente piccolo: un solo capello del capo interessa al Signore. Cosa c’è più affidabile di un Dio che si perde a contarti i capelli in capo? Che ama come innamorato ogni fibra dell’amato, l’uomo nella sua interezza, uno solo dei capelli e tutto il mio mistero?

Mi colpisce una parola: sarete odiati da tutti . Discepoli odiati: perché contestano la logica del mondo, smascherano l’inganno del denaro e del potere, l’inganno del mondo che ama la morte dicendo di amare la vita. Ci sono due mondi, loro sono dell’altro.

(Letture: Malachia 3,19-20; Salmo 97; 2 Tessalonicesi 3,7-12; Luca 21,5-19)

sabato 6 novembre 2010

Vangelo di Domenica 7 novembre

Il Vangelo di Ermes Ronchi

Non Dio dei morti ma dei viventi

XXXII Domenica Tempo ordinario - Anno C
In quel tempo, si avvicinarono a Gesù alcuni sadducèi – i quali dicono che non c’è risurrezione e gli posero questa domanda: (...) C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli.
Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli.
Da ultimo morì anche la donna.
La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie».
Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito (...)».

I sadducei propongono a Gesù una storia paradossale per mettere in ridicolo l’ipotesi stessa della risurrezione.
Ci sono molti cristiani come sadducei: l’eternità appare loro poco attraente, forse perché percepita più come durata che come intensità; come prolungamento del presente, mentre in primo luogo è il modo di esistere di Dio.
C’erano sette fratelli, e quella donna mai madre e vedova sette volte, di chi sarà nell’ultimo giorno? Non sarà di nessuno. Perché nessuno sarà più possesso di nessuno.
All’inizio, nei sette fratelli preme un’ansia di dare la vita, un bisogno di fecondità. Alla fine, l’ansia umana diventa ansia divina quando Gesù afferma: e saranno figli di Dio, perché sono figli della risurrezione . In Dio e nell’uomo urge lo stesso bisogno di dare la vita, a figli da amare.
La fede nella risurrezione non è frutto del mio bisogno di esistere oltre la morte, ma racconta il bisogno di Dio di dare vita, di custodire vite all’ombra delle sue ali .
Quelli che risorgono non prendono moglie né marito, dice Gesù.
In quel tempo sarà inutile il matrimonio, ma non inutile l’amore. Perché amare è la pienezza dell’uomo e la pienezza di Dio.
Saranno come angeli . Gli angeli non sono le creature gentili e un po’ evanescenti del nostro immaginario. Nella Bibbia gli angeli hanno la potenza di Dio, un dinamismo che trapassa, sale, penetra, che vola nella luce, nell’ardore, nella bellezza. Il loro compito sarà custodire, illuminare, reggere, rendere bello l’amore.
Ogni amore vero che abbiamo vissuto si sommerà agli altri nostri amori, senza gelosie e senza esclusioni, donerà non limiti o rimpianti, ma una impensata capacità di intensità e di profondità.
« Il Signore è Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe. Dio non è Dio di morti, ma di vivi ». Dio «di»: in questo «di» ripetuto cinque volte è contenuto il motivo ultimo della risurrezione, il segreto dell’eternità.
Una sillaba breve come un respiro, ma che contiene la forza di un legame, indissolubile e reciproco, e che significa: Dio appartiene a loro, loro appartengono a Dio.
Così totale è il legame, che il Signore giunge a qualificarsi non con un nome proprio, ma con il nome di quanti ha amato. Il Dio più forte della morte è così umile da ritenere i suoi amici parte integrante di sé.
Dio di Abramo, di Isacco, di Gesù, Dio di mio padre, di mia madre… Se quei nomi, quelle persone non esistono più è Dio stesso che non esiste. Se quel legame si dissolve è il nome stesso di Dio che si spezza.
Per questo li farà risorgere: solo la nostra risurrezione farà di Dio il Padre per sempre.

(Letture: 2 Maccabei 7,1-2.9-14; Salmo 16; 2 Tessalonice¬si 2,16-3,5; Luca 20, 27-38).