sabato 6 febbraio 2010

PORTA PAROLA 6 febbraio 2010


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7 Febbraio 2010 32a GIORNATA PER LA VITA
La forza della vita una sfida nella povertà
A partire dal 1979 la Chiesa italiana celebra ogni anno in Italia, nella prima domenica di febbraio, la Giornata per la Vita.

«Nessuno si salva da solo»
Stare accanto nella crisi
di Marco Tarquinio

Fare argine alla precarietà di vita che segna sempre più la nostra società. E servire la vita, prendendoci cura gli uni degli altri e continuando a stare sempre e solo dalla parte della persona umana, «nella sua interezza». Il messaggio che i vescovi hanno deciso di inviare ai cattolici italiani e a ogni donna e uomo di buona volontà in occasione della 32esima Giornata nazionale per la vita si fa carico in questi termini del peso ulteriore e troppe volte drammatico che la grande crisi ha scaraventato sulla quotidianità di tante famiglie e di tanti singoli.
Richiama l'attenzione sulle situazioni di indigenza e di bisogno rese più acute e dolorose da una tempesta economico-finanziaria che ha fatto grandinare numeri sballati, scoperchiato vergogne affaristiche e stravolto progetti ed esistenze. E chiama tutti noi che «conosciamo Cristo» a testimoniare con la passione di sempre eppure con un'urgenza nuova il valore della vita umana, esercitando il «dovere» di riconoscere e denunciare i «meccanismi» che producono povertà e disuguaglianza e feriscono «soprattutto i più deboli e indifesi».
Ogni tempo dell'uomo, lo sappiamo, è un tempo di prova. E purtroppo in ogni tempo accade che la vita dei piccoli e dei senza difesa venga misconosciuta, colpita e, addirittura, negata. Ma ogni tempo ha anche caratteristiche sue proprie. Quello che stiamo vivendo propone difficoltà e insidie che sembrano fatte apposta per enfatizzarne altre, già esistenti, moltiplicandone gli esiti nefasti per la nostra comunità nazionale (e non solo per essa) e inducendo una crescita del tasso di insicurezza e di egoismo. E' proprio per questo, mentre il 2010 è ancora giovane, che la riflessione sull'impegno per la vita ci viene riproposta con accentuazioni un po' insolite che fanno tornare alla mente temi e tempi forti dell'anno che ci siamo appena lasciati alle spalle.
Pensiamo solo ai gesti esemplari e "contagiosi" - perché tesi, appunto, a suscitare una solidarietà diffusa e iniziative analoghe di altri soggetti istituzionali - con cui Conferenza episcopale e Diocesi hanno promosso fondi di sostegno alle famiglie e alle imprese investite dalla crisi. O alla parola forte e alla presenza collaborativa (con autorità e realtà civili) spese dai nostri Pastori in tutte le situazioni di emergenza create dai disastri (non solo naturali) che si sono abbattuti su realtà piccole e grandi della nostra Italia: dalla ricostruzione post-sismica nell'Aquilano al complicato dopo-alluvione nel Messinese e al disorientante dopo-terremoto in una minuscola porzione d'Umbria, dalla crisi occupazionale in Sardegna al disagio crescente in importanti realtà industriali del Centro-Nord. Segni chiari, segni di speranza e di contraddizione.
«Nessuno si salva da solo», continua infatti a rammentarci Charles Peguy. Ed è quanto mai opportuno tenerlo a mente in questi mesi di crisi, mentre continua a emergere e rischia di accentuarsi una preoccupante tendenza ad affievolire gli impegni reciproci, ad allentare i legami di solidarietà, a non accettare accanto a sé presenze scomode e, comunque, "ingombranti". Il mito della "qualità della vita" porta a smarrire il senso della vita e a squalificare le vite che sono o vengono percepite come inadeguate o imperfette, vite minori e d’insuccesso: il bambino non nato, il disabile o il malato grave, l'anziano non autosufficiente, l'immigrato a cui si chiede e dà lavoro ma non vita civile, il disoccupato che pesa sulla fiscalità generale, il padre separato divenuto barbone, la madre abbandonata, la donna sola che cerca un'alternativa alla "libertà" di abortire e non riesce a trovarla nei labirinti libertari costruiti attorno al suo dramma.
«Nessuno si salva da solo». E’ proprio necessario ricordarlo in un momento storico in cui il montare dell’onda degli egoismi viene o sottovalutato o addirittura nobilitato come un conquistato approdo di autonomia e di autodeterminazione. Ci sono "architetti" che progettano una società di persone sole. Noi no. E anche il tempo della crisi può diventare un'occasione per affermarlo nei fatti. Per ribadire che c’è ancora e sempre un’alternativa a quello sguardo cupo ed escludente, che non sta scritto che nella sofferenza si debba essere soli e che la disperazione può e deve essere vinta. Il popolo della vita lo dimostra nelle opere e nei giorni. Con riconoscenza, con coraggio e con pazienza.

Da “Avvenire” di mercoledì 3 febbraio 2010
Rimini, dalla comunità Giovanni XXIII sit-in davanti agli ospedali contro l’aborto
RIMINI. In preparazione alla 32esima Giornata per la Vita domenica prossima, la Comunità Papa Giovanni XXIII di Rimini ha organizzato 'L’ora di spiritualità', un sit in non violento e di preghiera contro gli aborti. A Rimini la manifestazione si è tenuta nella parrocchia della Resurrezione di via Ca’ Rossa, ed è stata ripetuta ieri mattina davanti all’ingresso dell’ospedale civile.
Spiega il responsabile dell’associazione, Giovanni Paolo Ramonda: «Da 11 anni in questo giorno la nostra comunità è presente davanti all’ingresso dell’ospedale, per essere sul luogo del martirio di tanti piccoli innocenti, per raccogliere il loro grido di aiuto supplicando Dio che perdoni questa strage e vi ponga fine. Questa iniziativa che si è diffusa in diverse città italiane ­prosegue - , è stata fortemente voluta da don Oreste Benzi, che continuamente spronava le coscienze a uscire dall’indifferenza e ad assumersi le proprie responsabilità di fronte al massacro dei bambini nel seno materno. Il nostro fondatore ci ripeteva continuamente: 'Anche le madri sono vittime dell’aborto e ne porteranno per sempre le conseguenze drammatiche'.
Sono vittime di una cultura di morte che ritiene naturale uccidere chi dà fastidio, spinte ad abortire da una società che non le aiuta come dovrebbe e le lascia terribilmente sole». E conclude: «L’aborto non è mai una scelta libera, ma forzata dalle circostanze, anzi, diventa un modo della società di non farsi carico dei problemi della donna incinta, lavandosene le mani».


Centri e servizi di aiuto alla vita
110mila sono i bambini aiutati a nascere dalla fondazione del primo Centro di aiuto alla vita che è avvenuta a Firenze nel 1975 a tutto il 2008. Centinaia di migliaia sono state le donne accolte, assistite, ascoltate, aiutate.
Il numero dei Centri e dei Servizi di aiuto alla vita (315 in tutta Italia) è già un dato di per sé importante, ma assai più eloquente è quello che i Cav e i Sav fanno con il loro impegno di solidarietà e di condivisione. Più delle operatrici dei Centri, sono quei bambini e le loro mamme (ogni anno 60mila donne vengono assistite in vario modo, di esse almeno la metà sono gestanti) che potrebbero raccontare storie drammatiche - quasi tutte, però, a lieto fine - di speranze perdute e ritrovate, di fiducia smarrita e restituita.
E nessuna mamma ha mai rimpianto la scelta fatta di tenersi il proprio bambino.
Invece diverse donne che avevano abortito, sono spesso diventate entusiaste operatrici dei Cav.
Anche molte donne che hanno fatto ricorso all’aborto sono state accolte e aiutate anche psicologicamente a superare le loro difficoltà.

Adozione prenatale a distanza, sostieni una mamma in difficoltà e salvi il suo bambino.
Nel 1994 è nato Progetto Gemma, servizio per l'adozione prenatale a distanza di madri in difficoltà, tentate di non accogliere il proprio bambino. Una mamma in attesa nasconde sempre nel suo grembo una gemma (un bambino) che non andrà perduta se qualcuno fornirà l'aiuto necessario. Attraverso questo servizio e con un contributo minimo mensile di 160 euro, si può adottare per 18 mesi una mamma e aiutare così il suo bambino a nascere. Dalla nascita di Progetto Gemma i bambini così aiutati sono circa 14.000.
Chiunque può fare queste adozioni: singoli, famiglie, gruppi parrocchiali, di amici o di colleghi, comunità religiose, condomini e classi scolastiche. Che gioia sapere che un bambino è nato e una madre non ha abortito grazie alla tua solidarietà: sentirsi non solo genitori di un bambino, ma anche fratello o sorella di una mamma che finalmente sorride. Dividendo la spesa, l'impegno è più leggero, ma cresce la bellezza di una inedita fratellanza tra sconosciuti. Hanno aderito al Progetto anche Consigli comunali e perfino gruppi di carcerati. Capita anche che l'adozione venga proposta come dono per matrimoni, battesimi, nascite o in ricordo di una persona cara.
Centri e servizi di aiuto alla vita
RAVENNA
Via P. Costa 22
Tel. e fax 0544/35075
10-12 (tutti i giorni) 15-17 (lun,mer,gio)

www.mpv.org

Da “Avvenire” di mercoledì 3 febbraio 2010
I RAGAZZI E LO SPAZIO DIGITALE
NON LASCIAMOLI SOLI NELLE PIAZZE DEL SESTO CONTINENTE
FRANCESCO OGNIBENE
Su Internet non esiste una frontiera fisica davanti alla quale la colonizzazione si pos­sa arrestare. Il «sesto continente» digitale, co­me l’ha ribattezzato Benedetto XVI, si espan­de nell’inseguimento inesauribile tra le pre­stazioni della tecnologia e le nostre esigenze comunicative, spontanee o indotte. Lo stadio dei social network al quale siamo giunti – la galassia di bit nella quale l’opinione di chiun­que, il video artigianale, la petizione su qual­siasi causa, rimbalzano tra migliaia o milioni di utenti – è solo un crocevia provvisorio: al­tro seguirà a questa nuova esplosione creati­va nella quale chi naviga coincide con chi dà motivo agli altri di navigare, i contenuti sono scambiati in orizzontale, parole e immagini vengono immesse a ciclo continuo sul Web, reso contenitore nel quale ogni scoperta, con­tatto, iniziativa sembrano possibili. Libertà e sperimentazione, rela­zione impalpabile e sintonia profonda: le reti sociali sono am­bienti vivi, animati dal chiacchiericcio inson­ne di un popolo senza età e passaporto. Nulla conta quanto ciò che si comunica.
Schiusa la porta di que­sto pianeta immateria­le, i più giovani restano fatalmente abbacinati. La persuasione che di colpo tutto diventi plausibile li fa credere invulnerabili, al riparo da qualsiasi contatto indesiderato, come se bastasse spegnere la macchina per estingue­re un mondo ormai pervasivo e influente quanto quello tangibile. L’annuale monito­raggio dell’Associazione Meter di don Fortu­nato Di Noto, reso pubblico ieri, mostra inve­ce come di anno in anno all’espansione della galassia digitale corrisponda l’ampliarsi di u­na zona buia dove si muovono veri criminali.
Pedofilia e devianza sono reati che Meter se­gnala alle autorità di polizia perché provveda­no a neutralizzare le aree infette dentro il mag­ma delle reti sociali, restituendo il Web alla sua funzione originaria. Ma c’è una regione sem­pre più indistinta dove il limite tra normalità ed eccesso, controllo sociale e assenza di nor­me si fa inafferrabile. A volte basta davvero un clic in più per trovarsi dentro ambienti e si­tuazioni dove non esiste più filtro.
Qui l’ado­lescente – o il bambino – si trova da solo a fron­teggiare codici comportamentali e linguistici che lo proiettano dentro un contesto non suo, e dal quale nel mondo reale viene tenuto alla larga. Genitori e figure educative sembrano in­vece credere che oltre lo schermo si svolga nient’altro che un indecifrabile videogioco, do­ve i ragazzi possano rischiare al più di perde­re molto tempo. L’attenzione verso le amicizie 'reali', talora ansiosa quando non oppressiva, lascia il posto a una svagatezza distratta per le frequentazioni online, come se Internet fosse ancora quello dei tempi eroici, una televisio­ne più allegra, e non il Web sociale di oggi do­ve si allacciano incessantemente relazioni e la qualità dell’ambiente è affidata all’autodisci­plina, dunque spesso all’arbitrio e alla sopraf­fazione dei modelli. Un’antropologia casuale, dalla quale il mondo adulto non può conti­nuare a chiamarsi fuori per estraneità genera­zionale.
Occorre condividere i mondi dei propri figli, anche quelli virtuali, saperli frequentare in­sieme a loro, rendersi conto dal vivo delle co­munità nelle quali la generazione digitale pla­sma nuovi scenari piantando le tende sulle frontiere future del sesto continente. Anche questa è «sfida educativa». http://www.associazionemeter.org/

Da “Avvenire” di mercoledì 3 febbraio 2010

MAI SOTTO LE BANDIERE DI UN INDIVIDUALISMO RADICALE E IMPAURITO

I cattolici sempre e solo dalla parte della vita DAVIDE RONDONI
Non ne posso più. Lo so che non servirà più di tanto dirlo, ma con l’avvicinarsi delle elezioni regionali (come ad ogni altra elezione) inizia il tormentone: e i cattolici? Per chi voteranno i cattolici? E via con dietrologie, supposizioni, interpretazioni e filologie. Mentre le cose sono chiarissime, e solo un cieco può far finta di non vedere.
I cattolici sono una parte, non un partito. Come la Chiesa è sempre stata una parte nella storia, ma non un partito.
Nel senso che intendiamo oggi per la parola partito. Inutile chiedere a quale partito appartengono. Ma è invece chiaro da che parte stanno.
Sono la parte che ama la vita, in questa epoca della paura della vita. E dunque questa parte, questa fazione, questa brigata o questa strano popolo, sarà dalla parte di coloro che amano la vita, in tutti i suoi aspetti. È una parte, a cui si oppongono altre parti. E duramente, lo abbiamo visto, in nome di un individualismo radicale e impaurito. Solo un cieco può non vedere che questo amore è trasversale agli schieramenti, così come pure trasversalmente viene negato. Il Papa e il presidente dei vescovi italiani mi pare abbiano detto di auspicare il sorgere di una nuova leva di politici cattolici, non una nuova forma di partiti cattolici. Le cose stanno così, stanno chiaramente, e dunque ogni confusione è finta, è voluta. Non è la Chiesa a fare le leggi elettorali.
A dettare le condizioni in cui si vota. I cattolici sapranno chi votare, almeno quelli che stanno attenti alle indicazioni della Chiesa.
Perché sono in tanti a genuflettersi e a baciare anelli sotto elezioni (o a fare finta).
Ma non sono molti ad ascoltare. I cattolici lo sanno. Non sono degli ingenui. E sanno che la politica, come constatava il cardinal Ratzinger, è luogo del compromesso.
Ed è luogo della carità, richiamava Paolo VI. Per i cattolici sono poco importanti le questioni di schieramento, perché hanno già qualcosa per cui sono schierati.
Prima e dopo le elezioni. Sono gli altri che fanno un sacco di problemi, un sacco di sofismi, un sacco di giravolte per giustificare i loro schieramenti politici. Perché non hanno altro per cui sono schierati, se non il potere e l’appartenenza politica. I cattolici hanno uno schieramento ben prima che politico. Uno schieramento in cielo. Nel senso che credono alle cose del cielo. E uno schieramento in terra, nel senso che amano la vita e le condizioni per cui essa può continuare a essere donata. E servita, e sviluppata. Perciò sono una parte, non un partito. E nemmeno due o tre partiti. Ma una parte. Che inquieta e tormenta tutti i partiti. Che non lascia in pace nessuno schieramento. E che non si riduce a nessuno schieramento. I partiti vorrebbero che la Chiesa fosse un partito. Il loro, possibilmente, così da lucrare consenso. O quello dell’avversario, così da poterla attaccare più comodamente. E invece i cattolici non ci stanno al gioco imposto da chi vorrebbe comandare tutti i campi, quelli della politica, della società e dei valori. Non tutto è politica, e non tutto si riduce agli schieramenti elettorali. Ci provano sempre a ridurre la Chiesa a politica, i suoi nemici esteriori e a volte i suoi nemici interni. Una Chiesa-partito fa comodo a chi pensa che tutto si determini politicamente.
Preferirebbero dei cattolici-partito, piuttosto che dei cattolici dalla parte di alcune grandi cose. Li potrebbero sistemare, o comandare, o potrebbero fare concessioni politiche. Invece la libertà di essere dalla parte della vita continua a rendere meno tranquillo il sonno in cui spesso cade la politica, quando dimentica a cosa serve. I cattolici facendo la loro parte aiutano la politica di tutti a non essere fine a se stessa o al perseguimento del solo potere. In questo senso, la presenza della parte dei cattolici è oggi uno delle garanzie migliori di una buona democrazia.

Da “Avvenire” di sabato 30 gennaio 2010

Crocifisso, al via il ricorso dell’Italia
L’Italia ha presentato ieri alla Corte dei diritti dell’uomo il ri­corso contro la sentenza sulla presenza del crocifisso nelle aule scolastiche. È quanto si è appreso dalla Corte di Strasburgo. La domanda di ri­corso sarà ora esaminata dal collegio di cinque giudici della Grande Camera ( la sezione della Corte che normal­mente si occupa dei ricorsi e delle cau­se più importanti) di cui non fanno par­te i giudici che si sono espressi per la prima sentenza.
La domanda, spiegano dalla Corte, verrà presa in considerazione quanto prima, forse già a marzo, per valutarne la ricevibilità.
Nella sentenza dello scor­so 3 novembre, l’Italia era stata con­dannata, secondo quanto stabilito dai giudici, per aver violato il diritto a e­ducare i figli secondo le loro convin­zioni e il diritto alla libertà di religione dei ragazzi. Da allora, al coro di critiche espresse in modo trasversale dal mon­do politico, si era aggiunto anche il pro­posito di intervenire al più presto con­tro quanto stabilito da Strasburgo.
Il 21 gennaio scorso, era stato il sottosegre­tario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta, intervenendo a una con­ferenza all’ambasciata italiana presso la Santa Sede, a preannunciare il ricor­so del nostro Paese. « Abbiamo fiducia – disse in quell’occasione Letta – che la Corte dei diritti umani di Strasburgo ri­pari quello che consideriamo un grave torto alla cultura prima ancora che al diritto, allo spirito prima ancora che al sentimento religioso » .
Immediato il plauso del presidente del­la Cei, il cardinale Angelo Bagnasco. « È da apprezzare decisamente questa ini­ziativa del governo italiano – disse Ba­gnasco –. La sentenza veramente va contro non solo all’oggettività della sto­ria europea ma anche al sentire popo­lare della gente » .
Secondo fonti della Corte, la domanda potrebbe essere presa in considerazione al più presto, forse già a marzo.

Domenica 7 e 14 febbraio Carnevale dei Ragazzi - Città di Ravenna
La tradizionale sfilata di carri allegorici si svolge ogni anno a Ravenna lungo Via di Roma e Viale Santi Baldini con numerosi gruppi di bambini e ragazzi in maschera, band musicali e allegre animazioni.
La manifestazione Carnevale dei Ragazzi Città di Ravenna è organizzata dal Comitato del Carnevale dell' Ufficio Pastorale Giovanile di Ravenna ed i carri sono allestiti da varie parrocchie della città. Inizio sfilate ore 14.30.
Per l'occasione in entrambe le giornate a Ravenna annullo postale speciale su cartolina del Carnevale. Il 14 febbraio il Carnevale sarà a Punta Marina Terme.

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il quotidiano e tutti i supplementi in internet

Riportiamo di seguito l’articolo pubblicato sul quotidiano “Avvenire” di mercoledì 18 febbraio 2009 firmato da Franco Gàbici, autore del libro La Lôva. Trent’anni di Carnevale a Ravenna (Itaca) che ripercorre la storia di 30 anni di Carnevale a Ravenna con storie, documenti e curiosità, foto d’epoca e moderne.

Coriandoli contro il comunismo
IL CARNEVALE DEL CARDINALE

Fu l’arcivescovo Lercaro negli anni Cinquanta a promuovere a Ravenna la rinascita della sfilata delle maschere, per contrastare le organizzazioni «rosse»
A Ravenna prima del 1952 il Carnevale era solamente un ricordo lontano nella memoria di qualche nonno. Gli ultimi coriandoli e stelle filanti, infatti, avevano svolazzato nel festoso clima del carnevale alla fine dell’Ottocento, quando le feste erano organizzate, con intenti filantropici, dalla Società della Mariola. Poi un lungo silenzio.
Ma all’inizio degli anni Cinquanta del secolo corso qualcosa si muove e l’arcivescovo di Ravenna monsignor Giacomo Lercaro decide di dar fuoco alle polveri e di preparare un Carnevale degno della migliore tradizione.
Le feste del Carnevale, con tanto di sfilata di carri per le vie della città, non nascono però come un fungo dopo la pioggia, ma sono suggerite da un evento particolare.
Il clima degli anni Cinquanta è caratterizzato da forti polemiche fra cattolici e comunisti e questi ultimi sono considerati un vero pericolo da combattere e da «arginare». Non a caso il settimanale cattolico che inizia le pubblicazioni nell’immediato dopoguerra si chiama proprio «L’Argine».
Nel gennaio del 1952 la città di Ravenna ospita il primo raduno dell’API (Associazione Pionieri Italiani) che richiama nel salone della «Camera del lavoro» alcune centinaia di ragazzi ai quali vengono proposti slogan in evidente contrasto con la Chiesa.
I ragazzi erano chiamati i «Pionieri» perché leggevano un giornale che aveva lo stesso titolo, “Il Pioniere”, e inoltre agli associati veniva rilasciata una tessera che assomigliava molto a quelle distribuite delle associazioni cattoliche. I ragazzi della Azione Cattolica leggevano “Il Vittorioso”, uscito nel 1937 e che ebbe fra i suoi direttori Luigi Gedda e Carlo Carretto. “Il Pioniere”, invece, iniziò le pubblicazioni all’inizio degli anni Cinquanta.
L’API, si legge in una cronaca, «non vuole creare ragazzi che siano disposti a chinare la testa di fronte al potente bensì uomini che sappiano lottare contro di esso per portare l’uguaglianza e la fratellanza».
I messaggi sono molto politicizzati e forse un po’ troppo forti per ragazzi di giovane età: «Il Pioniere, ragazzo scelto, deve sentire la lotta di classe, deve fin dai primi anni della sua fanciullezza crearsi la mentalità socialista, deve odiare il ricco… al fine di eliminarlo e instaurare la giustizia sociale». Ma gli organizzatori hanno le idee ben chiare e lanciano una ben precisa sfida a quelli dell’Azione Cattolica formulando accuse gratuite: «Oggi noi lanciamo una sfida all’Azione Cattolica che è una setta di ragazzi depravati. Nei ricreatori dei preti si studia di attirare col pallone e il calcio-balilla le simpatie dei ragazzi, per impartire loro una educazione legata a troppi loschi interessi privati che riempie il loro animo di odio e di intolleranza. Maestre dell’AC hanno strappato copertine di quaderni raffiguranti gesta di partigiani… Le scuole serali sono una propaganda di calunnie contro il Comunismo… A Faenza, ove vi è un sindaco DC, le scuole sono indecenti e i fanciulli che le frequentano si trovano nel pericolo di contrarre la tubercolosi… Ma l’Azione Cattolica presto avrà finito la sua marcia perché sta ora finalmente subentrando anche in Italia la sensibilità della nuova educazione, e questa sensibilità è stata suscitata solo dall’API».
Il cronista informa anche che un professore aveva proposto di cambiar nome perfino ai tradizionali giochi dei ragazzi. «Guardie e ladri», ad esempio, si sarebbe trasformato in «Capitalisti e proletari», mentre il «Gioco dell’oca» sarebbe diventato «La marcia del proletariato».
Al raduno dei Pionieri vengono offerti ai ragazzi alcuni spettacoli fra i quali il cronista ricorda una poesia contro il governo, una caricatura della scuola nella quale la maestra picchia col righello le dita dei piccoli contadini e regala doni ai figli dei ricchi e un’altra dove il figlio di un contadino non sa leggere perché il prete avrebbe convinto la madre a non farlo studiare.
Questo, dunque, il clima che si respira in quegli anni e proprio in seguito alle accuse lanciate dai Pionieri l’arcivescovo monsignor Lercaro decide di passare al contrattacco e convoca nel suo studio la «Commissione diocesana per la fanciullezza» della quale fanno parte l’assistente don Arrigo Barboni, Maria Teresa Venturi, Maria Orselli, Elena Frattini Guberti e Dora Marani Dragoni. Alla riunione partecipa anche Gusella Fabbri in rappresentanza delle signore della città.
Il verbale della seduta è molto chiaro: «L’intento di S.E. era di attirare il maggior numero possibile di ragazzi alle Parrocchie. Lo spunto di questa iniziativa fu dato all’Arcivescovo dal Congresso del Partito Comunista per tutti i fanciulli iscritti all’API (tenutosi a Ravenna nel mese di gennaio). In tale congresso vennero accusati i Sacerdoti di accattivarsi le simpatie dei ragazzi tramite il divertimento. L’Arcivescovo, venuto a conoscenza di ciò, volle che tale accusa fosse vera e ideò il Corso mascherato delle Parrocchie che fu lanciato come “Il Carnevale dei Ragazzi”».
Nelle successive riunioni vennero stabilite le regole per la partecipazione, così riassunte nel verbale: «1) Ogni Parrocchia doveva impegnarsi a preparare un carro allegorico, affrontando qualunque ostacolo e difficoltà finanziarie, 2) Cercare aiuti di persone competenti e capaci anche a pagamento, 3) Il lavoro doveva essere eseguito dai ragazzi iscritti e non iscritti all’A.C. collaborando coi più grandi, 4) Far pervenire in busta chiusa, nel limite di una settimana, il soggetto scelto per la partecipazione al corso mascherato, 5) Per il progetto e per la lavorazione era stabilito di conservare il massimo segreto, 6) Per i carri migliori si fissarono tre premi. Primo premio £. 10.000, secondo £. 5.000, terzo £. 5.000».
In una successiva riunione l’arcivescovo illustrò il suo programma «e la necessità e la bellezza dello scopo della festa che non aveva solo carattere folcloristico, ma soprattutto educativo e apostolico». Con la sfilata dei carri, dunque, l’arcivescovo intendeva offrire alla sua diocesi una importante occasione di svago e di divertimento trasformando il lieto evento del carnevale in un importante momento di aggregazione che avrebbe riunito grandi e piccini.

Franco Gabici
La Lôva
Trent'anni di Carnevale a Ravenna

Domenica 7 e 14 febbraio
Carnevale dei Ragazzi - Città di Ravenna
La tradizionale sfilata di carri allegorici si svolge ogni anno a Ravenna lungo Via di Roma e Viale Santi Baldini con numerosi gruppi di bambini e ragazzi in maschera, band musicali e allegre animazioni.
La manifestazione Carnevale dei Ragazzi Città di Ravenna è organizzata dal Comitato del Carnevale dell' Ufficio Pastorale Giovanile di Ravenna ed i carri sono allestiti da varie parrocchie della città. Inizio sfilate ore 14.30.
Per l'occasione in entrambe le giornate a Ravenna annullo postale speciale su cartolina del Carnevale.
Il 14 febbraio l'evento si svolgerà lungo le vie e piazze principali della località turistica Punta Marina Terme.

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