sabato 30 gennaio 2010

30/1/2010 PortaParola Ravenna

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Da “Avvenire” di martedì 26 gennaio 2010

LE RESPONSABILITÀ DEI CREDENTI L’OPERA CIVILE PIÙ GRANDE

FRANCESCO D’AGOSTINO
Le feste natalizie appena trascorse danno alla prolusione con la quale il cardinal An­gelo Bagnasco ha aperto i lavori del Consiglio permanente della Conferenza episcopale ita­liana un forte carattere spirituale e pastorale. Non si pensi però che la memoria del Natale abbia indotto il presidente della Cei, e i ve­scovi riuniti con lui, ad allontanarsi dalla sof­ferta realtà di queste ultime settimane (con­trassegnate dal terremoto haitiano, dalle do­lorose vicende di Rosarno, dalle sciagure – e non solo ecologiche – che hanno colpito la Li­guria, la Toscana, la Sicilia): il Natale – si ri­marca con energia fin dall’inizio di questa pro­lusione – è un’occasione fondamentale per il cristiano per non estraniarsi dal mondo, per tenere sempre nella sua mente e nel suo spi­rito quello che è il cuore della sua fede, il fat­to che, in Gesù Cristo, Dio ha definitivamen­te rivelato la sua volontà di stare con l’uomo, di condividere la sua storia. Queste parole di Papa Benedetto, che il cardinal Bagnasco fa sue, servono a ribadire come la nostra sia u­na fede di incarnazione; una fede che esige un continuo confronto con il mondo. Chi la professa non può cedere alla tentazione del­l’indifferenza verso le cose, né è legittimato ad assumere verso i non credenti un atteg­giamento di freddezza. Nessuno deve sentir­si ignorato dalla Chiesa e di nessuno possia­mo dire che non ci interessa.
L’esortazione a inventare modalità nuove di attenzione verso coloro che non credono – co­sa non facile, ma indispensabile – viene rias­sunta dal cardinale col riferimento a uno dei compiti centrali del nostro tempo, quello del­la «riconciliazione»: un tema che precede ogni tema politico e ne costituisce nello stesso tem­po il fondamento. Riconciliarsi non significa solo fare il primo passo verso l’altro, ma (e an­che qui sono preziosi i diretti riferimenti alle parole del Papa) «assumersi la sofferenza che comporta la rinuncia al proprio aver ragione». Le ricadute di questo principio ci aiutano a mettere a fuoco l’unico modo corretto, per un cristiano, di pensare alla politica. Questa, che continua ad essere intesa da parte di un mal inteso realismo come l’ordine del potere, del­la forza, della persuasione delle masse, è piut­tosto l’ordine della solidarietà, della sussidia­rietà, della reciprocità. I successivi riferimen­ti che il cardinale fa ad alcune delle questioni più urgenti o più scottanti della società inter­nazionale e italiana (la questione ecologica e ambientale, quella bioetica, quella educativa, quella economico-sociale) acquistano una lo­ro corretta configurazione solo in questo qua­dro di riferimento.
Non si può elogiare la Chiesa, quando essa si batte per la salvaguardia dell’ambiente, quan­do chiede al mondo economico di farsi cari­co seriamente dei bisogni dei soggetti social­mente più deboli, angosciati dalla perdita del posto di lavoro o quando essa richiama l’at­tenzione di tutti sull’emergenza educativa che caratterizza il nostro tempo e non compren­dere le sue ragioni quando stigmatizza la ba­nalizzazione dell’aborto (l’unico autentico e­sito della pillola Ru486) o la frettolosa e ingiu­stificata «iniziativa dei registri», che in alcuni Comuni e in alcune Regioni è indice di inde­bite fughe in avanti, sulle delicatissime que­stioni del fine vita di timbro palesemente pro­eutanasico. Ancora una volta – e può forse es­sere la sintesi di questa prolusione – al centro dell’attenzione della Chiesa italiana c’è anche la sfera politica. Non però la politica pensata come equilibrio di forze, o peggio ancora co­me potere, secondo il tipico paradigma pro­prio dei laicisti, al di là del quale i laicisti non riescono a spingere lo sguardo. Il cardinal Ba­gnasco ci ha parlato di un’altra politica, ben più autentica e umana; la politica che, per citare una sua efficace espressione, è l’«opera civile più grande» che si possa porre in essere al ser­vizio degli altri. Un’opera che merita anche il «sogno» di una nuova generazione di cattoli­ci capaci di presenza e d’impegno.

Da “Avvenire” di mercoledì 27 gennaio 2010
OGGI LA GIORNATA DELLA MEMORIA
LASCIAMOCI FERIRE PER STARE SVEGLI PER RESTARE UOMINI
MARINA CORRADI
Sono le facce di 364 ebrei italiani finiti nei lager, u­na parte delle migliaia deportate in Germania. Dei 1.023 di Roma solo in diciassette ritornarono. Le ha messe on line il Centro di documentazione ebraica contemporanea (
www.cdec.it/voltidellamemoria), per la Giornata della memoria. E chi va su può restarci pa­recchio. È un attonito viaggio tra storia collettiva e privati ricordi, quello in cui cadi in questo allinearsi di volti dai nomi, dai sorrisi italiani. Uomini e donne, così uguali alle foto d’epoca di ogni altro nostro non­no. Qualcuno che di nome fa Vittorio Emanuele, o I­talo: nell’ingenuo patriottismo che almeno fino ai pri­mi anni del Ventennio aveva contagiato anche gli e­brei – certi, com’era ovvio, di essere italiani come gli altri. Ci sono donne e vecchi, in quell’elenco, di set­tant’anni, e più vecchi; ma accanto, inesorabile, la scritta: deportato a Auschwitz.
Ci sono giovani foto­grafati su una barca a vela, o ai bordi di un campo da tennis, in ancora spensierate estati. Proprio questa normalità serena da album di famiglia ha un impat­to da schiaffo su chi osserva. Non sono, questi, i vol­ti dei lager tramandati dai primi scatti dell’esercito a­mericano nel ’45, non sono i corpi scheletriti sotto la divisa da prigionieri, con le facce sca­vate di fantasmi. Questi sono borghesi, artigiani, famiglie lie­te e impettite davanti al foto­grafo, in un giorno di festa: mentre ti pare di immaginare, appena un attimo dopo lo scat­to, i bambini che corrono alla tavola imbandita. Proprio la normalità delle immagini ren­de ancora più lacerante la me­moria di ciò che è accaduto.
E poi, ci sono i bambini. Molti bambini. A nidiate, tre fratelli o quattro divisi da pochi anni. Come Fiorella, Anna, At­tilio, nati tra il ’37 e il ’41 a Roma, portati via dal Ghet­to. (Fiorella sembra una bambola, i nastri bianchi tra i capelli ricci). E la famiglia Sadun coi due ragazzini, ritratti al mare, in costume, in una giornata che si in­dovina di piena, felice estate. E Olimpia, infagottata e ridente nel freddo della sua Bolzano. E Carlo e Mas­simo, fratelli milanesi, il maggiore che abbraccia il più piccolo, neonato, con tenero orgoglio.
Questi non sono i ragazzini atterriti delle foto con la stella gialla sul petto e le mani in alto davanti ai sol­dati nazisti. Sono gli stessi, ma 'prima'. Bambini e ba­sta. Solo da Roma, ne deportarono 288 (ne tornò u­no solo). E non puoi non pensare come fu che li strap­parono ai parenti, li incolonnarono, e con quali rau­che grida straniere li fecero salire sui camion. Non puoi non pensare cosa fu, nel brutale tramestio del rastrellamento, staccarsi dal padre, e avvinghiarsi al­la mano di una sorella di poco più grande, che sus­surrava materna: non aver paura. Partire stringendo in mano un orsacchiotto, disperatamente, come un ultimo brandello di casa. Poi, su quei treni, non sap­piamo. Il film si ferma, l’immaginazione si oscura – forse perché non tolleriamo di sapere. Che le vedano i nostri figli, le facce di quei vecchi i­nermi, e di quei bambini. Che facciano questo dolo­roso sbalordito tuffo in una memoria che, se a noi pa­re lontana, è in realtà così breve: quei ragazzi anda­vano a scuola con i nostri genitori. 66 anni, nei mil­lenni della storia, sono un soffio. L’Olocausto – il cuo­re del male, il genocidio sistematico, scientifico, pia­nificato, taylorizzato in una maggiore efficienza – è sta­to appena ieri. Che sappiano, i figli. Che non siano troppo, ottusa­mente tranquilli. Girano voci su Internet e non solo che dicono che l’Olocausto è bugia e propaganda. Che non è vero. Che non è accaduto. In un vertice di menzogna, che vorrebbe annientare anche la me­moria. Che li guardino, i nostri ragazzi, quei bambi­ni. Che sussultino, riconoscendoli familiari. Che sia­no, dal loro destino, almeno per un momento feriti. Ci sono ferite necessarie, che occorre lasciare aperte. Occorre lasciarsi ferire e ricordare per stare svegli, per restare uomini.
www.cdec.it/voltidellamemoria


Da “Avvenire” di domenica 24 Gennaio 2010


BENEDETTO XVI CHIEDE AI SACERDOTI DI APRIRSI ALL’UMANITÀ « DIGITALE »
C’è Dio sul Web 2.0 FRANCESCO OGNIBENE

Saper riconoscere Dio che passa. È la millenaria competenza naturale della creatura umana, che nell’età moderna sembra però essersi offuscata fino a smarrirsi in questa nostra contemporaneità pulviscolare dentro il dedalo inesauribile delle opinioni.
Eppure, lo sappiamo: per quanto si adoperi, il clamore del mondo non riesce a spegnere la voce interiore che ci rende ancora distinguibile una Presenza sottesa ai segni della vita quotidiana. A istinto, Dio lo 'sentiamo': capiamo ancora che è Lui, per quanto insensibile o distratta sia diventata l’anima di ciascuno. Nessuna raffinata spiegazione scientifica, psicologica o economica riesce infatti da sola a dar conto di ciò che l’intelligenza coglie e registra, di offrire risposte all’altezza della nostra ricerca. Siamo 'capaci' di Dio ma è come se ce lo fossimo dimenticato, nello stordimento al quale siamo ormai consegnati. L’esplosione digitale dei mezzi di comunicazione, dei loro strumenti e messaggi, non fa altro che alzare il volume col quale dobbiamo convivere da abitatori della 'pubblica piazza' mediatizzata, condivisa con tutti. Un rumore di fondo che rende semmai più acuta quella nostalgia infinita del cuore colta da sant’Agostino. C’è un solo 'canale' che dà sempre il programma giusto, ma è necessario che qualcuno ci aiuti a captare la sua non facile frequenza. Basterebbe un prete, la figura che deve «aiutare gli uomini di oggi a scoprire il volto di Cristo». È sempre bastato, dentro qualsiasi cultura. E quando lo stordimento cresce la sua mano si fa ancor più necessaria.
È dunque ai sacerdoti – guide predestinate di una simile ricerca del 'Dio che passa' in ogni tempo – che Benedetto XVI ha pensato di dedicare il Messaggio 2010 per la Giornata mondiale delle comunicazioni, in calendario domenica 16 maggio. Una scelta in qualche modo annunciata nell’Anno Sacerdotale al quale il Papa sta riservando una cura magisteriale continua. Ma col testo diffuso ieri – e che oggi pubblichiamo a pagina 9 – il Santo Padre delinea per la prima volta i tratti di una inedita «pastorale nel mondo digitale», citata per ben due volte come il percorso necessario all’annuncio del Vangelo in quel territorio mediatico definito nel Messaggio 2009 come un vero «continente» brulicante di vita e in attesa di nuovi evangelizzatori. Anche 'giù nel cyberspazio' – per dirla con lo scrittore-futurologo William Gibson – Dio chiama apostoli evangelicamente saldi e mediaticamente credibili, i sacerdoti in primis: non 'occupatori' di una porzione di suolo – avverte il Papa – secondo una «mera esigenza di rendersi presente», ma «animatori di comunità che si esprimono ormai, sempre più spesso, attraverso le tante 'voci' scaturite dal mondo digitale». Se Dio oggi passa nel Web 2.0 e nella galassia multicanale della tv digitalizzata, i sacerdoti devono farsi carico della nuova ricerca che sgorga da navigazioni e consumi entrati nella struttura stessa dell’esistenza: quasi una loro componente essenziale, una dimensione nutrita da strumenti a loro volta trasformati in prolungamenti dei sensi, protesi indispensabili per connettersi al prossimo. Altro che sfizi per tecno-maniaci: computer, cellulare e televisore rivisitati dalla tecnologia digitale hanno il volto amichevole del compagno di viaggio quotidiano, e chi ha anime affidate alla propria cura deve conoscere le mediazioni per le quali oggi passa la ricerca di notizie, valori, mete, amicizie. Di Dio, anche.
Non è più il tempo dei soli sacerdoti col 'pallino' delle comunicazioni: il Papa vuole farlo capire bene al punto da scrivere che siamo «all’inizio di una storia nuova»: «Quanto più le moderne tecnologie creeranno relazioni sempre più intense e il mondo digitale amplierà i suoi confini, tanto più egli (il sacerdote) sarà chiamato a occuparsene pastoralmente». Chi avesse dubbi al riguardo venga a Roma, a fine aprile: il Papa attende tutti gli «animatori» della comunicazione della Chiesa italiana per un convegno – «Testimoni digitali» – che scriverà una delle prime pagine di questa «storia nuova». È anche nel digitale che Dio passa, per aprirci gli occhi e riconoscerlo, come ai discepoli di Emmaus.
Per la Giornata mondiale delle comunicazioni 2010 il Papa consegna un messaggio che descrive ai preti le esigenze di «una storia nuova»

Da “Avvenire” di domenica 24 Gennaio 2010

Verucchi: «Tornare ad alimentare l’autentica riflessione sulla verità»

DA RAVENNA QUINTO CAPPELLI

«Negli ultimi decenni i mass media mirano più a sedurre che a conquistare, più a emozionare che a far riflettere, più al patologico che alla ragione. I media sono come l’ac­qua per i pesci: li avvolge, li accarez­za e li massaggia, mentre dovrebbe dare loro l’ossigeno per la vita». L’im­magine usata dall’arcivescovo di Ra­venna-Cervia, Giuseppe Verucchi, a­prendo i lavori del convegno regio­nale dell’Ucsi dell’Emilia Romagna a Ravenna, su Informazione e verità, è stata analizzata dai relatori inter­venuti per celebrare il patrono dei giornalisti, san Francesco di Sales. Per il presidente della Fondazione Cassa dei Risparmi di Ravenna, An­tonio Patuelli, «i media hanno sosti­tuito alla pacatezza dei toni e alla forza del ragionamento le urla e la provocazione». Non si salvano nep­pure i giornali, «che non svolgono più il compito di approfondimento delle notizie televisive, attraverso la cultura della verità e del ragiona­mento, per seguire il fanatismo vio­lento che dalle curve degli stadi è sbarcato in tv e nei giornali».
Il vaticanista del Tg1, Aldo Maria Val­li, ha approfondito «le tre parole che fondano la verità per un cristiano impegnato nei mass media: servizio, dubbio, rispetto». Per Valli «il servi­zio alla verità (dono di Dio, non i­deologia), alla gente e all’onestà in­tellettuale è una sfida continua, per­ché la tentazione di molti è di esse­re al servizio del potere o di corrom­pere la verità». «La verità – ha con­cluso – va guidata dal rispetto per o­gni persona, dal Papa al barbone di strada, perché la persona umana è sempre il soggetto e mai l’oggetto di un servizio giornalistico o televisi­vo ». Nel dibattito, moderato da Ful­via Sisti della Rai di Bologna, sono intervenuti Elio Pezzi, vice presi­dente regionale dell’ordine dei gior­nalisti, Giorgio Tonelli della Rai e An­tonio Farnè, presidente regionale dell’Ucsi, che hanno denunciato il rischio dei media quali «strumenti di consenso e consumo e non di ve­rità». In conclusione Verucchi ha e­sortato i giornalisti a invertire la ten­denza culturale dei giovani, per « i quali il valore della vita sta nell’ap­parire nei media e non più nell’es­sere persone».

Da “Avvenire” di mercoledì 27 Gennaio 2010

«Testimoni digitali» parla online
di VINCENZO GRIENTI
Il primo avviso ai 'naviganti' della Rete è stato lanciato il 24 gennaio scorso con l’attivazione del sito internet http://www.testimonidigitali.it/. La risposta dal web è stata immediata: e-mail, telefonate e sms ricchi di spunti di riflessione, di suggerimenti ma anche le prime richieste di informazioni al desk della segreteria sulle modalità di iscrizione al convegno nazionale 'Testimoni digitali.
Volti e linguaggi nell’era crossmediale' (Roma dal 22 al 24 gennaio 2010). Promosso dalla Commissione episcopale per la cultura e le comunicazioni sociali ed organizzato dall’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali e dal Servizio nazionale per il Progetto culturale della Cei, il convegno è articolato in quattro sessioni: tecnologica, antropologica, teologica e pastorale. Il sito web è strutturato con criteri di usabilità e immediatezza ed è una piattaforma caratterizzata da una interfaccia grafica e da una struttura che offrirà contenuti informativi prima, durante e dopo il convegno di aprile. Grazie alla sinergia con i media Cei, sono disponibili i servizi televisivi e radiofonici di Tv2000 (http://www.tv2000.it/) e Radio inBlu (http://www.radioinblu.it/), gli approfondimenti di Avvenire (http://www.avvenire.it/), i lanci, gli speciali e le interviste curate dall’Agenzia Sir (http://www.agensir.it/) ma anche diversi contenuti realizzati dallo staff di chiesacattolica.it. Stare al passo con il mondo del web 2.0 è stata la mission del sito che sfrutta le opportunità offerte dai social network senza dimenticare il significato delle tradizioni cristiane. Ne è un esempio l’immagine della testata che fa riferimento alla Cappella Sistina intesa come medium e come messaggio.
«Due caratteristiche della Cappella Sistina la avvicinano alla tv di oggi: l’esperienza immersiva in cui è trasportato chi vi entra, avvolto e sovrastato da immagini grandiose e il carattere tattile di questa esperienza generato – si legge nel sito – secondo la nota definizione di 'tattilità' di Marshall McLuhan, da un coinvolgimento profondo di tutti i sensi e da una 'traduzione' delle percezioni da un canale sensoriale all’altro, in modo tale da intensificare il rapporto con l’ambiente». Altro link importante è dedicato all’ufficio stampa (con la possibilità di accreditamento on line dei giornalisti). Infine, l’area 'mediacenter' contiene contenuti video-audio e foto su temi riguardanti i media e le nuove tecnologie. Interessante l’area 'rassegna stampa' con gli articoli di opinionisti, intellettuali ed esperti del web sul ruolo e sull’impatto di Internet nella società e sull’informazione.

Da “Avvenire” di venerdì 29 Gennaio 2010

«Un sant’Agostino tv per i confusi d’oggi» di TIZIANA LUPI
Su una cosa sono unanime­mente d’accordo tutti coloro che, a vario titolo, hanno lavo­rato alla miniserie Sant’Agostino (Raiuno, domenica 31 gennaio e lu­nedì 1 febbraio in prima serata): la modernità del pen­siero del Santo. E, insieme, «la speranza che, proprio in virtù di questa mo­dernità, la sua storia possa lasciare nel pubblico qualcosa in più della sensa­zione di avere visto un bel film». Sant’A­gostino (realizzata dalla Lux Vide e in­terpretata da Alessandro Preziosi, Monica Guerritore, Franco Nero e Andrea Giordana, con la regia di Ch­ristian Duguay) ripercorre la vicen­da umana e spirituale dell’autore de Le Confessioni , dall’inquieta adole­scenza a Tagaste, paesino dell’en­troterra nordafricano, fino alla mor­te, avvenuto nel 430 ad Ippona, du­rante l’assedio della città da parte dei Vandali di Genserico.
Sono gli anni confusi e difficili del­la caduta dell’Impero Romano e, per Agostino, sono, prima, gli anni tor­mentati del lusso e della spregiudi­catezza che precedono l’incontro con Dio e, poi, quelli della conver­sione, fortemente voluta e incorag­giata dalla madre Monica, e di una vita al servizio del Signore e della pa­ce.
Il presidente della Lux Vide Ettore Bernabei osserva: «Questa fiction fa conoscere al pubblico non solo un periodo della storia dell’umanità ma anche il percorso di un uomo che sarebbe potuto benissimo vivere ai giorni nostri. Sono in molti oggi a potersi riconoscere nella sua vicen­da di uomo che, in tutte le sue e­sperienze, anche le più trasgressive, ha sempre avvertito la sensazione di qualcosa che gli mancava. Fino al momento in cui Sant’Ambrogio, allora Vescovo di Milano, non gli dis­se di non cercare la verità ma di lasciarsi trovare da essa. Quando, lo scorso settembre, abbiamo mostra­to in anteprima una parte di questa fiction a Papa Benedetto XVI a Ca­stel Gandolfo, lui ci ha detto: 'Spe­riamo che qualcuno si faccia trova­re dalla verità e poi trovi la carità'». A dare il volto a Sant’Agostino sono, negli anni della maturità e in quelli della vecchiaia, rispettivamente A­lessandro Preziosi e Franco Nero. Entrambi sottolineano l’importan­za della parola: «La cosa che mi ha affascinato di più di Sant’Agostino è la ricerca della verità legata alla pa­rola – osserva Preziosi –. Oggi che le parole vogliono dire tutto e niente a seconda di come le interpretiamo, il rapporto di Sant’Agostino con la pa­rola è, senza dubbio, il suo aspetto più moderno » . Franco Nero ag­giunge: « La sua modernità è nel­l’importanza data alla parola. Oggi potrebbe parlare molto ai giovani, insegnando loro ad essere meno su­perficiali e meno pressappochisti». E, probabilmente, non solo ai gio­vani. Perché, come sottolineano i produttori Luca e Matilde Bernabei, « l’ansia, il disagio e il disorienta­mento di Agostino e dei suoi con­temporanei sono gli stessi di noi, uomini e donne di oggi. E fu attra­verso queste esperienze nella sua e­sistenza piena di cambiamenti che Agostino giunse a scrivere, rivolto a Dio: il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te».
Sant’Agostino in prima serata domenica 31 gennaio lu­nedì 1 febbraio

«Bella», il film che promuove la vita
Arriva nelle nostre sale la pellicola che in Usa è stata un caso DI ALESSANDRA DE LUCA

Mentre Avatar prose­gue la sua corsa agli incassi conquistan­do botteghini e spettatori, piccoli film crescono nelle sa­le, in silenzio, sperando nel pubblico che ama la qualità. Arriva nei nostri cinema que­sta settimana Bella del messicano Alejandro G. Monte­verde, girato in quattro setti­mane e costato solo tre mi­lioni di dollari.
Diventato un vero e proprio caso cinema­tografico negli Usa, Bella è na­to dall’impegno dell’attore protagonista, Eduardo Vera­stegui, che ha gettato alle or­tiche il suo glamour di ex star televisiva per fondare con il regista Monteverde e il pro­duttore Leo Severino una ca­sa di produzione impegnata nel finanziamento di pellico­le nate per interrogarsi sulle grandi questioni umane, ce­lebrando i valori della vita e della fede. Bella è infatti la sto­ria di José, ex calciatore che, abbandonato il pallone in se­guito a tragiche circostanze, fa il cuoco nel ristorante del fratello a New York.
Nello stes­so locale lavora Nina, appena licenziata a causa di una gra­vidanza. Sola, senza aiuto né soldi, la ragazza decide di in­terrompere la gravidanza, ma José le farà cambiare idea re­galandole tutto il proprio so­stegno. Ad aiutare la difficile circolazione del film, anche attraverso copie dvd, ci sono invece la società Microcinema con il suo circuito di sale digitali e l’Acec (esercenti cat­tolici cinema).

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