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Da “Avvenire” di giovedì 7 gennaio 2010
CELEBRATA L’EPIFANIA. IN TUTTA ITALIA L’ARRIVO DEI MAGI NEI PRESEPI VIVENTI
Il Papa: troviamo il coraggio di essere bambini nel cuore GENNARO MATINO
LA MANIFESTAZIONE DI UN DIO COSÌ GRANDE DA FARSI PICCOLO
RICONOSCERE IL MESSAGGIO RESISTERE AGLI ERODI DI OGNI TEMPO
L’Epifania è un giorno che racconta luce svelata, è un giorno di straordinario fascino: e, ieri, il Santo Padre si è lasciato illuminare dalla luce della pagina di Matteo e l’ha riflessa nel significato quotidiano dei nostri giorni.
Nel cogliere l’apparente distanza tra il testo di Isaia e quello di Matteo, tra la profezia e la realtà della grotta di Betlemme, Benedetto XVI ci ha ricordato come invece tra la promessa e l’adempimento non vi sia affatto una frattura, ma la difficoltà dell’uomo di comprendere le vie di Dio, perché le sue parole non sono le nostre parole, i suoi pensieri non sono i nostri pensieri. Imprigionato in categorie propriamente umane, identificando l’onnipotenza in una sorta di strapotere capace di schiacciare e sottomettere chiunque, l’uomo di ogni tempo è incapace di comprendere che l’onnipotenza di Dio è tale perché Dio è Amore, amore infinito, gratuito che dona se stesso, il Figlio unigenito, per la salvezza dei suoi figli: «La sua grandezza e potenza non si esprimono nella logica del mondo, ma nella logica di un bambino inerme, la cui forza è solo quella dell’amore che si affida a noi».
Gaspare, Melchiorre, BaldassarreRavenna, Basilica di Sant'Apollinare in Classe, ca 600.Indubbiamente, ha spiegato il Santo Padre, rispetto alla splendida visione di Isaia, in cui la grande luce di Dio avrebbe attirato a sé tutti i re delle nazioni, «quella che ci presenta l’evangelista Matteo appare povera e dimessa: ci sembra impossibile riconoscervi l’adempimento delle parole del profeta Isaia. Infatti, arrivano a Betlemme non i potenti e i re della terra, ma dei Magi, personaggi sconosciuti, forse visti con sospetto, in ogni caso non degni di particolare attenzione ».
È dunque comprensibile che da sempre l’uomo sia rimasto affascinato dalla visione di Isaia, più che dal racconto di Matteo, tanto che ancora oggi, ha ricordato il Papa, nei nostri presepi i Magi vengono rappresentati con vesti da re, su cammelli e dromedari. Eppure, al di là dell’apparente contraddizione, della potenza e della crudeltà di Erode, che costringe alla fuga la Sacra Famiglia, nonostante «l’episodio dei Magi sembra essere cancellato e dimenticato», il Santo Padre ha colto in tutta la sua pienezza l’adempimento della profezia nella pagina di Matteo.
L’episodio dei Magi non si chiude con il ritorno frettoloso alle loro terre, non scompaiono dallo scenario della storia della salvezza. Al contrario per Benedetto XVI «quei personaggi provenienti dall’Oriente non sono gli ultimi, ma i primi della grande processione di coloro che, attraverso tutte le epoche della storia, sanno riconoscere il messaggio della stella, sanno camminare sulle strade indicate dalla Sacra Scrittura».
Le parole del Papa sono dunque un forte invito a seguire la stella, ad aprire gli occhi e il cuore per abbandonarci all’amore di Dio. Come i Magi nell’offrire oro, incenso e mirra, segno della regalità e divinità di quel Bambino che avrebbe ingoiato la più amara delle erbe, dichiarano la loro sottomissione al piccolo Re, così noi tutti, uomini della terra, di Oriente e di Occidente, del Nord e del Sud siamo chiamati a scegliere tra la presunzione del mondo e «l’umiltà autentica», tra il potere della terra e il vero coraggio «di essere bambini nel cuore, di stupirsi, e di uscire da sé per incamminarsi sulla strada che indica la stella, la strada di Dio».
E chi si lascia illuminare dalla stella come i Magi non può più tornare indietro, né può sottomettersi al potere degli Erodi di ogni tempo, ma seguirà la luce, quella dell’amore di Dio, che sempre si manifesta tra i poveri, tra gli ultimi della terra.
L’invito del Santo Padre a incamminarci sulla strada segnata dalla stella è un invito coraggioso a non lasciarsi vincere dalla notte, la notte della crisi economica, la notte della violenza, del terrorismo, è un invito a non rimanere indifferenti di fronte alla stravolgente novità di un Dio che si fa carne per rimanere vicino a noi.
Un Dio così grande da farsi piccolo, che facendosi Bambino ha l’umiltà di affidarsi alle nostre cure per poter crescere nel nostro cuore, nella nostra storia, nella storia del mondo.
Da “Avvenire” di mercoledì 6 gennaio 2010
A TREVISO UNA STORIA DI NATALE TUTTA DA RACCONTARE
Sara e il suo bambino: gran notizia che non fa rumore
GABRIELLA SARTORI
Fino all’Epifania le favole di Natale si possono raccontare. Se poi sembrano favole ma sono storie vere, raccontarle è necessario.
La notte del 23 dicembre scorso, Sara, di Montebelluna, Treviso, trentadue anni, incinta alla ventinovesima settimana, si sente male. Diagnosi pesante: « aneurisma dissecante all’aorta ascendente » , patologia molto grave in sé ma ancora più grave in quanto Sara non solo è incinta ma ha anche già subito un importante intervento al cuore, di diversa natura, nel 2005. Sara e il bambino che porta in grembo hanno bisogno urgente di ricovero in una struttura altamente attrezzata: se no, moriranno tutti e due. Comincia il giro convulso di telefonate in vari ospedali del Veneto e del Friuli, ma il posto non si trova: periodo difficile, molti operatori hanno appena cominciato le agognate ferie natalizie. All’ospedale civile ' Ca’ Foncello' di Treviso, il cardiochirurgo professor Carlo Valfrè, con la sua équipe, è impegnato in un intervento d’urgenza. Ma i dirigenti di Ca’ Foncello non si arrendono. Con un giro di telefonate, fanno l’impossibile per reperire altro personale in tempi record, medici, infermieri, ostetriche, anestesisti: e ci riescono. Anche perché trovano in tutte le persone allertate la massima disponibilità a tornare immediatamente in servizio anche se sono appena rientrati a casa per il meritato riposo e si apprestano a festeggiare il Natale in famiglia.
Nessuno dice di no: in poche ore nasce una seconda équipe cardiochirurgica in grado di far fronte alla difficile situazione.
L’elicottero del Suem porta la mamma Sara a Ca’ Foncello alle sedici e trenta. Comincia l’intervento. Sara dice: pensate prima al bambino. Così si fa: alle sedici e 41, il primario di ginecologia Giuseppe Dal Pozzo e la patologa neonatale dottoressa Linda Bordignon portano alla luce Lorenzo, 942 grammi di peso, vitale e sano. È il primo bambino trevigiano che nasce in cardiologia.
Poi comincia l’intervento su Sara: otto ore di duro lavoro e alle due di notte della vigilia è salva anche lei.
Cardiologia dei miracoli quella natalizia di Treviso? Chi se ne intende, dice che l’espressione non è esagerata. Però di questa meravigliosa storia nessuna traccia è arrivata sui mass media nazionali.
I quali, anche a Natale, non hanno mancato di informarci di tutt’altre vicende. Vedi il caso della sfortunata bambina di Agrigento che ha perduto la vita in quanto non soccorsa in tempo dai volontari (?) del 118: che avrebbero litigato per ore su chi avesse il compito di intervenire prima di passare ai fatti.
O l’altra bambina di Cosenza, cui medici... disattenti, hanno ingessato il braccino sano invece di quello rotto. Anche stavolta, il circo mass- mediatico italiano ha obbedito all’antica , cinica legge secondo la quale « una buona notizia non è una notizia » . E che importa se, a dare solo cattive notizie, si altera in negativo il profilo morale e professionale del Paese, si distrugge la speranza delle persone, si scoraggiano i giovani.
Nel suo discorso di Capodanno alla nazione, il presidente Napolitano ha detto con forza che l’Italia reale è migliore di come la si fa apparire. Il presidente dice il vero, e chi sta in mezzo alla gente lo sa. Tanto più noi credenti per i quali Natale o ' è' la Buona Notizia o non è Natale. Per questo, noi sappiamo che, a Treviso, quest’anno il Bambino è nato in un reparto di cardiologia, che sua madre, che l’ha voluto a rischio della vita, si chiama Sara, che gli angeli sono scesi dal cielo con l’elicottero del Suem, e che i pastori che l’hanno soccorso indossavano i camici bianchi della sala operatoria. È una buona notizia: e vogliamo che sia conosciuta.
Da “Avvenire” di giovedì 7 gennaio 2010
INTITOLATA AD ALDO MORO L’UNIVERSITÀ DI BARI
Un debito saldato Un obiettivo cruciale DOMENICO DELLE FOGLIE
Forse Bari ha finalmente saldato il suo debito d’onore nei confronti dell’uomo che più le ha dato lustro nel secolo scorso: Aldo Moro. Il senato accademico ha infatti deciso di intitolare l’Università degli Studi allo statista pugliese, nato a Maglie ma studente e poi professore di Diritto penale nell’Ateneo barese. Il presidente della Democrazia cristiana rapito e ucciso dalle Brigate Rosse, il cui nome ha segnato anche la ritrovata forza della nazione nel combattere l’eversione terroristica, sarà forse ricordato più facilmente dalle generazioni future. E quanto serva la memoria nel nostro Paese è facile verificarlo facendo solo qualche domanda a tanti nostri giovani, forse a più agio con il Grande Fratello o con X Factor. La decisione del senato accademico, peraltro, sana formalmente un vecchio problema: viene infatti abrogata la vecchia intestazione al cavaliere Benito Mussolini. Caduta effettivamente in disuso dopo la Liberazione e bandita dalla legge, non era mai stata annullata con un atto ufficiale dell’Ateneo. Ora un voto rimette le cose a posto.
In queste ore in cui la Puglia fa notizia soprattutto per la difficoltà nel trovare i candidati giusti nella corsa alla presidenza della Regione e mentre a Milano si discute sull’opportunità di intitolare una piazza a Bettino Craxi, è confortante che almeno sul nome di Aldo Moro si trovi un’ampia intesa, sia pure dopo un dibattito approfondito e con un voto contrario che resta agli atti. Il 'no' è quello del giovane rappresentante degli studenti di Azione universitaria, formazione di destra, che così ha motivato la sua scelta: «Intitolare l’Ateneo a un uomo politico connota eccessivamente la nostra Università e non ci permette di riconoscerci in essa'» In queste parole, c’è tutto il retaggio di un giudizio politico che affonda le radici in alcune scelte strategiche di Aldo Moro, dal centrosinistra alla solidarietà nazionale. Se quelle opzioni politiche alle quali lui spinse non senza pesanti contraccolpi personali (e anche ecclesiali) l’intera Democrazia cristiana, nella quale la sua corrente non superò mai il 4/5 per cento, hanno trasformato e segnato la storia repubblicana, è certamente vero che Aldo Moro aveva soprattutto una grande aspirazione: allargare la base democratica del Paese. Una possibilità realizzabile, in quel contesto storico, solo estendendo la partecipazione alle masse popolari che si riconoscevano nelle diverse sinistre (socialdemocratica, socialista e comunista) che popolavano la scena politica italiana.
Questo può ancora oggi non piacere e creare dei moti di rifiuto, ma la storia recente della cosiddetta Seconda Repubblica sta lì a dimostrare che l’opzione morotea dell’allargamento della base democratica era assolutamente giusta. Basterebbe pensare all’ancora recente sdoganamento di Alleanza nazionale (anch’essa una formazione popolare), da parte di Silvio Berlusconi, per valutare con un occhio meno prevenuto le lontane scelte di Aldo Moro. Non si finirà mai di associare lo statista democristiano ai 'professorini' cattolici della Costituente, ma di sicuro è bello poterlo ricordare con una vecchia foto custodita nei polverosi archivi cartacei dei giornali. Lui che si affaccia dal finestrino di un treno, alla stazione di Bari, mentre parte per Roma. La sua mano accenna un saluto e un sorriso contenuto gli illumina il volto. Meglio ricordarlo così, piuttosto che nella istantanea che ne immortalò il corpo rannicchiato nella Renault 4, in via Caetani, quel terribile 9 maggio del 1978. Una vita fa.
Da “Avvenire” di giovedì 7 gennaio 2010
DOPO L’ITALIA ( E IL CROCIFISSO) NEL MIRINO L’IRLANDA ( E LA LEGGE ANTIABORTO)
I consueti bersagli «cattolici» dell’ormai solita Corte GIANFRANCO AMATO
Dopo i crocifissi in Italia, tocca alla legge antiabortista irlandese. Nei giorni scorsi si è svolta infatti a Strasburgo, davanti ai 17 giudici della Grande Camera della Corte europea dei Diritti dell’uomo, l’udienza sul ricorso promosso contro l’Irlanda a causa della sua legislazione contraria all’aborto. Il caso è giunto avanti alla Corte a seguito della richiesta avanzata da tre donne di veder riconoscere il 'diritto' di abortire anche nell’isola, anziché dover cercare – come loro hanno fatto – una soluzione in Inghilterra.
L’interruzione volontaria della gravidanza è illegale in Irlanda – a meno che la vita della donna non sia in grave pericolo –, tanto che persino la Costituzione è stata modificata nel 1983 per includere un emendamento prolife: «Lo Stato – si legge nella Carta – afferma il diritto alla vita del nascituro e, tenuto conto dell’eguale diritto alla vita della madre, garantisce nella propria legislazione il riconoscimento e, per quanto possibile, l’esercizio effettivo e la tutela di tale diritto, attraverso idonee disposizioni normative».
Davanti ai giudici di Strasburgo, che si pronunceranno nei prossimi mesi, il governo irlandese non ha esitato a difendere a spada tratta la propria Costituzione e le norme che ne derivano in tema di aborto, argomentando che «il diritto alla vita del nascituro è basato su fondamentali valori morali profondamente radicati nel tessuto sociale irlandese». A prescindere dal merito dei singoli casi pendenti avanti la Corte (prima il crocifisso, ora l’aborto), la questione più generale che si pone è di capire se sia ammissibile che la cultura, la tradizione, i valori e persino le norme approvate in Parlamento attraverso un processo democratico possano essere messe in discussione da un organismo internazionale artificialmente creato e del tutto avulso dal contesto che è chiamato a giudicare. Il paradosso si ingigantisce se si considera che quella cultura, quelle tradizioni, quei valori e quelle leggi appartengono a uno Stato membro dell’Unione Europea e possono essere smantellate da un organismo che con l’Unione non ha nulla a che vedere. Sì, perché la 'Corte europea dei diritti dell’uomo', non è un’istituzione della Ue e non va confusa, come spesso accade, con la Corte di giustizia europea, che invece è, a tutti gli effetti, un’importante componente dell’architettura istituzionale comunitaria.
Gli strenui difensori dei princìpi liberali e democratici si dovrebbero porre il problema se sia giusto consegnare la sovranità popolare di un Paese membro della Ue nelle mani di 17 uomini delle più disparate estrazioni, visto che fanno attualmente parte della Corte anche giudici provenienti da Turchia, Macedonia, Albania, Montenegro, Moldavia, Georgia e persino dall’Azerbaigian. Sono costoro che hanno la facoltà di giudicare cultura, tradizioni, valori e leggi di Paesi civili e democratici del Vecchio Continente come l’Irlanda e l’Italia, accomunati – guarda caso – dal 'difetto' di essere entrambi di tradizione cattolica. Quando scoppiò il caso dei crocifissi, scoprimmo che il giudice della Corte europea dei diritti dell’uomo in rappresentanza dell’Italia è Vladimiro Zagrebelsky, talmente imparziale da aver meritato il premio di 'Laico dell’anno 2008' conferitogli dalla Consulta torinese per la laicità delle istituzioni, aderente alla Ehf-Fhe, la Federazione umanista europea. E purtroppo abbiamo potuto già verificare che 'laicità' in questo caso non fa rima con 'terzietà' e neanche con 'serenità' (di giudizio).
Da “Avvenire” di domenica 3 gennaio 2010
L’ESTERNAZIONE DI UN MINISTRO DI ANKARA CONTRO LA CITTÀ DI BARI
Cose turche su san Nicola (ma non è un caso serio) GIORGIO FERRARI
« Se costruiremo un museo a Demre, la prima cosa che faremo sarà quella di chiedere le spoglie di Babbo Natale».
Non è una battuta di un film dei fratelli Coen, è accaduto davvero. Il minaccioso avvertimento lo dobbiamo al ministro della cultura turco, Ertugul Gunay, che forse da bimbo fantasticava sulle figurine del Feroce Saladino, forse ha nostalgia delle rodomontate che noi europei abbiamo cantato tanto bene nelle Chansons de Geste medievali, o forse ancora la battuta gli è semplicemente sfuggita di bocca: fatto che sta che, a sentire Gunay, la Turchia pare proprio voler reclamare le spoglie di san Nicola, conservate come è noto a Bari, che l’intemerato ministro bolla come «città di pirati» e dalla quale vorrebbe strappare le reliquie del patrono per riportarle in Anatolia, precisamente a Demre, che un tempo si chiamava Myra, e dove Nicola fu vescovo nel quarto secolo.
Stiamo scherzando? Si spera, anche se è storicamente vero che nel 1087 una spedizione navale partita da Bari si impadronì delle spoglie del Santo che due anni più tardi furono poste definitivamente nella cripta della Basilica a lui dedicata. Ma che dire allora di tutti i tesori italiani finiti all’estero per mano di condottieri e saccheggiatori senza scrupoli? Dovessimo reclamarli, si svuoterebbero i musei di mezzo mondo, alcuni dei quali chiuderebbero i battenti. E come sorvolare sul fatto che della città di Myra i Turchi hanno cancellato storia cristiana e nome? Un pregio tuttavia l’alzata d’ingegno del ministro Gunay – che involontariamente ci mostra come la Turchia che anela a far parte della Ue stia già metabolizzando i difetti più antichi del Vecchio Continente – ce l’ha: quella di aver ricordato a coloro che non lo sanno che l’onnipresente Babbo Natale è in realtà una trasposizione relativamente recente della figura di san Nicola, santo generoso e apportatore di doni, venerato un po’ dovunque: fu infatti una campagna della Coca Cola americana a globalizzare negli anni Trenta del secolo scorso quel vecchio barbuto e vestito di rosso. I turchi dunque sono avvertiti: se fanno sul serio, dovranno seriamente considerare che un Santo cristiano non è un «bene culturale» commerciabile. E non si mette in museo
Da “Avvenire” di martedì 5 gennaio 2010
Anche in questa nostra epoca sotto il segno della torre e del povero
DAVIDE RONDONI
Due notizie apparentemente riferite a cose lontane colpiscono in questi giorni. Ieri è stata inaugurata a Dubai la torre grattacielo più alta del mondo. La Burj Khalifa di 828 metri di altezza. Supera di gran lunga le sorelle di Taipei (508) e le Petronas malesi di Kuala Lumpur (452).
Figuriamoci di quanto svetta su quei grattacielini oramai mignon che pur ci stupiscono ancora in giro per Manhattan o quelli progettati con gran sussiego a Milano. Però c’è un problema: Dubai è attraversata da una crisi profonda, e la torre che doveva gridarne la potenza economica al mondo diviene un simbolo grottesco (e per metà sfitto, visto che gli appartamenti non son per nulla andati a ruba…). E l’altra notizia, ben approfondita da questo giornale domenica scorsa, riguarda il numero di coloro che sono in Europa a rischio povertà. Una cifra enorme, 78 milioni. A costoro un po’ di riparo viene dai cosiddetti 'ammortizzatori sociali'. E dalla gran carità diffusa tra il popolo.
La gran torre di Dubai è stata lanciata al cielo come segno di potenza. Facevano così già le famiglie medievali nelle nostre città e nei borghi d’Italia. Tra le due torri di Bologna e questa nuova di Dubai corre un filo diretto: manifestazioni di potere e di prestigio. E l’Europa che si sta dotando di organismi politici di governo tesi a farne una potenza unica, scopre di avere così tanti suoi abitanti sulla soglia della povertà. Due potenze che scoprono di non esserlo. O di esserlo molto meno di quanto pensavano. La torre e il povero sono due segni della nostra epoca.
Forse i due principali segni della nostra epoca, si potrebbe dire come di ogni epoca. In ogni regno antico c’è stata la costruzione di torri e la plebe piangente. Così in ogni regno moderno e ora anche nella nostra epoca. Che pensa di essere diversa, che ha millantato per tanto tempo d’essere la 'moderna', la 'nuova', la 'più avanzata', e invece si ritrova come le altre: con la torre che evoca un prestigio destinato a passare, e con le folle dei poveri vicino a casa, anzi in casa. C’è qualcosa di vertiginoso nell’accostare questi due segni. Queste due notizie simbolo. Dubai con il suo mercato finanziario e immobiliare che parevano aver inserito il turbo fino a pochi mesi fa, erano visti come la nuova mecca, il futuro. E l’Europa pur tra mille difficoltà raggiungeva lo status di grande realtà politica, con un presidente, un ministro degli esteri (anche se quasi nessun europeo sa come si chiamano). Ma ecco che la grande costruzione economico-finanziaria e la grande architettura politica mostrano la loro debolezza. La loro fragilità.
La torre e il povero. La torre in rovina già all’inaugurazione e il povero che non cessa di rovinare la festa alla corte dei potenti sono il segno anche della nostra epoca. Che non è in definitiva né migliore né peggiore di quelle che i nostri avi si sono trovati a vivere. Che non è più forte solo perché si autodefinisce più moderna. Il problema di ieri è anche il problema di oggi. Come ricorda il grande poeta Eliot: c’è qualcosa che non cambia nella storia degli uomini. Una lotta che non cambia. Tra bene e male, per la quale occorre essere buoni. La torre e il povero stanno ancora lì, come in ogni civiltà a ricordarci di cercare davvero quale è la nostra forza. Il Papa in questi giorni ha parlato di sobrietà e solidarietà.
Solo l’uomo che ha una vera forza è capace di sobrietà e di solidarietà. È dei deboli il ricorso al lusso e all’egoismo. Ma allora, in questa nostra epoca ancora sotto il segno della torre e del povero, da dove ci verrà la forza per costruire case per tutti e non totem, e ripari per chi ne ha bisogno? Da dove ci può venire la forza?
Da “Avvenire” di martedì 5 gennaio 2010
La seconda vita del pane “salvato” dal cassonetto DA MILANO PAOLO FERRARIO
Siticibo, Lastminute market e gli altri: ecco le storie di chi valorizza il recupero delle eccedenze alimentari e invita a sprecare di meno
Interi sacchi di pane destinati alla spazzatura. Un pugno nello stomaco di quanti fanno fatica non solo ad arrivare alla fine del mese ma, spesso, anche a coniugare il pranzo con la cena. L’allarme del pane sprecato è ritornato drammaticamente in primo piano in questi giorni, insieme a quello per altre quantità di cibo gettate nella spazzatura. Ma è un trend inarrestabile? No. Da tempo infatti sono attive organizzazioni che si occupano di raccogliere il pane in eccedenza e di distribuirlo ai poveri. Una di queste è Siticibo, che dal 2004 raccoglie e distribuisce cibo non consumato da refettori scolastici, mense aziendali, ospedali, alberghi, ristoranti e da altre strutture della ristorazione organizzata (vedi dati nel grafico in pagina). L’idea è venuta a un’imprenditrice milanese, Cecilia Canepa, che un pomeriggio, andando a recuperare i figli a scuola, ha assistito alla preparazione degli avanzi della mensa per il camion della nettezza urbana. Uno choc (che soltanto a Milano è quantificato in 180 quintali di pane buttato ogni giorno) che presto si è tradotto in azione a beneficio di chi fa fatica a mettere insieme il pranzo con la cena.
Secondo gli ultimi dati Istat, in Italia, dove si buttano, ogni anno, 6 milioni di tonnellate di cibo, oltre 8 milioni di persone non hanno la possibilità di avere una dieta alimentare diversificata e, rileva la Fondazione per la sussidiarietà, almeno 3 milioni sopravvivono in una condizione di vera e propria “povertà alimentare”. Dal 2004 al 2009, Siticibo, che fa riferimento alla Fondazione Banco alimentare ed è presente in cinque città italiane (Milano, Como, Roma, Firenze e Modena), con i suoi 119 volontari ha raccolto e distribuito, ad 88 enti caritativi, 350 tonnellate di pane, per un controvalore commerciale di 770mila euro. «Nelle scuole dove raccogliamo il pane non consumato – spiega la responsabile nazionale di Siticibo, Giuliana Malaguti – abbiamo assistito anche a profondi cambiamenti nel comportamento dei bambini nei confronti del cibo.
A loro raccontiamo della fatica che, dal contadino che semina e raccoglie il grano fino al fornaio che lavora la farina e sforna le pagnotte, sta dietro alla rosetta che trovano sul tavolo in mensa. È una metafora che fa centro e che spinge i bambini a rispettare il pane e a consumarlo con una consapevolezza maggiore, evitando di sprecarlo ». Il pane non consumato dai piccoli milanesi finisce poi sulla tavola dei poveri ed emarginati. In questo senso, è molto interessante l’esperienza in atto con i Fratelli di San Francesco, realtà che nella metropoli lombarda gestisce una mensa da 1.200 pasti al giorno. Il quantitativo di pane quotidianamente necessario è garantito dalla raccolta delle eccedenze alimentari di dodici scuole della città, che coprono interamente il fabbisogno.
www. bancoalimentare.org www.siticibo.it www. fratellisanfrancesco.it www.lastminutemarket.org
Trasformare lo spreco in risorsa è anche l’obiettivo di Last minute market, un progetto della Facoltà di Agraria di Bologna, che da dieci anni raccoglie e ridistribuisce, a enti caritativi che operano nel terzo settore, eccedenze alimentari in quaranta città italiane. Grazie a una fitta rete di volontariato locale, è garantito il recupero “a chilometro zero”, «senza costi di trasporto e costi ambientali », come spiega il presidente Andrea Segrè, docente di Politica agraria internazionale e comparata. «Per favorire i più bisognosi – sottolinea il docente – non ci si può permettere di sprecare neppure un minuto e nemmeno un prodotto». Di grande interesse è anche il risvolto educativo che i volontari di Last minute market osservano tra i donatori di cibo. «Nei punti di raccolta storici – racconta Segrè – le eccedenze alimentari che noi intercettiamo sono sempre più contenute, segno che si produce e quindi si spreca di meno».
L’esperienza di Last minute market è stata presentata anche al recente Klimaforum di Copenaghen, in Danimarca, dove il professor Segrè ha rivelato che «il 10% delle emissioni di gas serra dei Paesi sviluppati deriva dalla produzione di cibo che viene giornalmente gettato». «Se il modello Last minute market venisse implementato sull’intero territorio italiano – aggiunge il professor Segrè – secondo i nostri studi sull’impatto ambientale, da tutto il settore distributivo dall’ingrosso al dettaglio, si potrebbero recuperare all’anno ben 244.252 tonnellate di cibo per un valore complessivo di 928.157.600 euro. Sarebbe inoltre possibile fornire tre pasti al giorno a 636.600 persone e risparmiare 291.393 tonnellate di anidride carbonica che sono invece attualmente prodotte a causa dello smaltimento del cibo come rifiuto. Per neutralizzare tutta questa anidride carbonica sarebbero necessari 586.205.532 metri quadrati di area boschiva equivalenti a 58.620 ettari o a 117.200 campi da calcio».
Da “Avvenire” di mercoledì 6 gennaio 2010
Radio inBlu vetrina di future popstar
Parte stasera «Effetto Notte Live» in cui gli artisti emergenti avranno a disposizione un’intera ora per far sentire la loro musica
Un passaporto per la popolarità. Lo offre a partire da stasera il circuito radiofonico cattolico Radio inBlu attraverso Effetto Notte Live, il nuovo programma dedicato agli artisti emergenti ma di provata qualità, che cercano, spesso con enorme fatica, un piccolo e meritato angolo di notorietà.
A partire da stasera, ogni mercoledì alle 22, negli studi romani di Radio inBlu, ogni giovane avrà a disposizione un’ora di musica eseguita rigorosamente dal vivo e alternata all’intervista al microfono di Paola De Simone. «Dare spazio agli emergenti – spiega la curatrice e conduttrice del programma – è una scelta coraggiosa.
Se poi si sceglie di offrire un intero programma a giovani senza etichetta chiamati a esibirsi dal vivo, allora la scommessa si fa più dura. Ma affascinante. Questo è quello che abbiamo deciso di fare con Effetto Notte Live, una trasmissione che non ha traguardi, ma tanta curiosità e voglia di esplorare nell’infinito sottobosco della musica indipendente. Una vetrina, un trampolino di lancio. Ma forse qualcosa di più». Alla puntata integrale di Effetto Notte Live farà eco, la domenica successiva, la rubrica Provini (in onda alle 17.15) che conterrà un breve estratto dell’esibizione del mercoledì e, non a caso, è anche il riferimento email per iscriversi alle selezioni: provini@radioinblu.it.
Tutto è pronto, dunque, per l’esordio con Carlo Contocalakis che finora ha pubblicato un singolo e un ep e attualmente sta lavorando, in piena autonomia, al suo primo disco di inediti. Carlo ha suonato molto dal vivo, tra concerti e festival. Nel suo curriculum c’è anche la vittoria al 'Premio 29 settembre', dedicato a Lucio Battisti.
Ora il taglio del nastro a Effetto Notte Live. Con la speranza di un esordio beneaugurante per sé e per la nuova avventura di inBlu, estesa a tutta Italia grazie alla fitta rete di radio locali che animano il singolare circuito radiofonico. (P.F.)
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